Sedici temporali autunnali dopo...

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Yoongi è sempre stato il tipo da smancerie velate. Da abbracci incastrati nella gola che avrebbe voluto ricevere e che nessuno voleva mai dargli. Né sua madre, né suo padre, né nessun altro. Nessuno al modo avrebbe voluto stringere quel pezzo di carne e ossa fra le braccia, neanche avesse avuto una qualche malattia contagiosa. E di notte allora lui pensava se mai avesse fatto qualcosa di male, se il problema fosse stato qualcosa detto, qualcosa fatto, qualche comportamento insolito. Ma anche se le lacrime scendevano copiose e i singhiozzi riempivano d'angoscia la camera, Yoongi non avrebbe saputo dire quando tutto sarebbe cambiato. E gli anni passarono, passarono e niente cambiò, così a poco a poco cambiò lui. Le sue richieste insistenti di attenzioni si affievolirono, diventarono deboli steli di fiori mangiati dalla tempesta, divorati dalla solitudine. Era sempre lui, ma in qualche modo era comunque diverso. Parlava allo stesso modo, mangiava allo stesso modo, ma era diverso. Se ne accorse una mattina, di corsa come al solito, al penultimo anno di scuola: lo zaino gli stringeva la carne della schiena e i capelli sembravano aver fatto un patto con la corrente elettrica. Ma qualcosa attirò la sua attenzione, chiese impaziente il richiamo degli occhi: era lo sguardo, spento, mentre un pezzetto della buccia della mela cadeva sul suo indice, serrato intorno al frutto. Poi sua madre lo chiamò e interruppe la prima lezione di sguardi a se stesso della sua vita con un sorrisetto amaro.

Yoongi quindi non è sempre stato tipo da smancerie velate. Perché quello è un pensiero solo di Jimin, che, aggrappato al suo braccio, si bea anche solo del calore del dito che gli ha concesso. È che Yoongi non ci crede. È che non può essere vero, nessuno mai l'ha amato. Non lo ricorda, ma giurerebbe, mano sul cuore, che neanche appena nato sua madre l'abbia guardato con un sorriso non di pura circostanza. Immagina le infermiere che le danno il suo fagotto e sorridono, più felici di lei, con la fronte sudata e le mani ancora coperte dai guanti usati per il parto. È che Yoongi non sa bene che significhi essere amato. E guarda come Jimin si chini delicato su di lui e gli baci delicatamente le labbra e sa, lo sa dannatamente bene che lo ferirà. Guarda com'è spontaneo e pensa, per un attimo, per un solo secondo, che ha sempre immaginato i baci fra due persone che si amino come una tacita permissione fra l'uno e l'altro, un Sì, ora puoi baciarmi, un Sì, anche io desidero baciarti. E invece no, perché Jimin prende sempre senza chiedere. Non gli dispiace, ma gli lascia un senso di vuoto nella testa.

Yoongi è un tipo da smancerie velate quando è un tipo da smancerie. Jimin comincia a dubitare che i suoi sentimenti siano ricambiati quando fuori stanno precipitando un sacco di foglie e Yoongi non riesce neanche volendo a baciarlo con la stessa spinta, la stessa intensità e voglia. Non è che sia così, ma le sue labbra sono ancora così indecise che tremano quasi e Yoongi si chiede se sia normale.

«Yoon...»

«Scusami. Scusami, colpa mia. Scusa.»

Yoongi, però, si scusa spesso, a volte anche senza motivo. Per un battito di ciglia di più, Yoongi potrebbe tranquillamente scusarsi. D'un tratto gli viene di nuovo da piangere e scopre che no, in quello non è cambiato: le sue lacrime ancora bruciano come lava sulle gote e i suoi singhiozzi sono ancora incontrollabili, ma almeno adesso ha Jimin. Almeno? Yoongi non sa se sia lecito dirlo, perché Jimin chiede e chiede e chiede ancora e lui non ne ha idea. Non sa perché sia triste, perché stia piangendo, non sa neanche dire, in verità, se sia triste oppure no. Yoongi non si interroga sulle lacrime perché le sprecava in quantità industriali e non sapeva dire se fosse lecito o meno lasciarle andare senza riempire almeno almeno due piscine olimpioniche. Se avesse riposte, se solo Yoongi sapesse qualcosa di sé, della sua vita, del perché non riesca ad abbracciare stretto Jimin come vorrebbe, sulla sua tristezza, sul maledettissimo passato che vorrebbe dimenticare e che torna irrimediabilmente, se solo Yoongi sapesse! Non si tratta di passati oscuri, è solo un po' di mistura di scelte sbagliate e genitori assenti.

Jimin passa più volte le dita e i palmi delle mani sotto gli occhi gonfi di Yoongi, ma non sa che è tutto inutile: meglio lasciarle cadere, perché continueranno imperterrite per un po'. Ma questo Yoongi non lo dice, anche se le mani di Jimin stanno diventando invadenti e fuori inizia a piovere, ma adesso insieme alle foglie c'è il vento, ci sono le gocce di pioggia, ci sono le nuvole e Yoongi, Yoongi... Yoongi vorrebbe dire che sì, anche lui ha qualcuno che accompagni le sue tempeste, ma poi c'è Jimin, lo guarda ed è di troppo, perché ha la pietà incastrata negli occhi e Yoongi finalmente la vede. La percepisce. Non è solo lì, come la patina che ha sempre sentito sopra gli occhi, no, è palpabile e buca il suo petto e lo colma di spine, così tante da riempirlo tutto. Yoongi odia piangere. Odia piangere e odia farlo da solo e non sapere con chi parlarne. Però poi non ne vuole parlare, vuole tacere tutto perché ogni parola, ogni dannata parola è di troppo ed è pietoso e lui odia essere pietoso. C'è una forte avversione fra lui e la pietà.

«Perché piangi? Perché sei triste?»

Yoongi singhiozza forte finché non ha più le forze neanche per fare quello. I suoi singulti diventano silenziosi. Si chiudono in un ingarbugliato balbettio e in un muto sobbalzare nel petto. Yoongi chiude gli occhi. Jimin si ferma.

«Parlami, Yoongi. Parlane. Se non con me, parlane con qualcun altro. Ma parlane.»

Se solo Jimin sapesse che lui ha solo lui, e lo tiene stretto al petto (metaforicamente) solo per miracolo. Se sapesse che quando dice di non aver nessuno non sta scherzando. Se Jimin sapesse, se Jimin volesse davvero sapere.

Ignorare un problema non lo risolve. Almeno così diceva sempre la madre di Yoongi.

Tra le soffocanti braccia di Jimin, Yoongi si chiede se volesse parlare di lui.

YOONGI S'ILLUDEVA DI NON VOLER MORIREWhere stories live. Discover now