Labbra di Rosa Selvatica

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Pranzavano all’aperto, quel giorno, in silenzio e seduti uno accanto all’altro, le spalle addosso ad un albero e gli sguardi rivolti verso il cielo. «Ti andrebbe di accompagnarmi?» esordì Draco senza poi aggiungere nulla, le mani strette attorno al bicchiere d’acqua che sorseggiava da minuti interi.
Harry voltò il viso verso di lui e sorrise, dicendo: «Ovunque tu voglia andare» e tese una mano sulla coscia di lui: Draco l’afferrò senza troppe remore, un sospiro di sollievo incastrato a metà tra il principio di una risata liberatoria e le lacrime che aveva agli occhi. Harry sapeva dove Draco gli aveva chiesto di andare e fece quasi fatica a contenere la gioia improvvisa: significava che Draco si fidava immensamente di lui.
«Stiamo parlando di Azkaban, Harry, sei sicuro?».
Harry annuì e rafforzò la presa sulla sua mano, gli occhi che scendevano sul collo teso di Draco e si dispiacevano di nuovo per lui. «Sai che non vedo l’ora di fare una visita al vecchio Lucius».
Un ginocchio di Draco si appoggiò contro il suo mentre il biondino si girava per guardarlo in viso, un’espressione più seria della morte a scolorargli il volto già di per sé pallido. «So anche che forma assumerebbe un Molliccio davanti a te».
«Non mi importa, pensavo che a questo punto l’avessi capito» rispose.
Sapeva bene che entrare ad Azkaban sarebbe stato terrificante, eppure non riusciva a concepire l’idea che Draco andasse a trovare suo padre da solo, in quel posto orribile e degradante, lui, luminoso come le ali di un angelo caduto.
«Non voglio chiederti di fare qualcosa per cui soffriresti» cominciò Draco. «Ti…ti farebbe troppo male» abbassò gli occhi e poi anche la testa, fino ad appoggiare la fronte sul petto di Harry. «Cazzo…» sussurrò. «Cosa mi è saltato in mente? Non avrei dovuto chiedert–».
«Draco» lo interruppe, una mano che gli accarezzava la schiena e l’altra all’indietro sul terreno per sorreggere entrambi. «Voglio davvero accompagnarti. Non fare così».
«Certo che faccio così! Sono solo un egoista» e sollevò la testa, le labbra morse che tremavano appena. «Fa’ finta che non abbia mai detto niente».
Harry appoggiò una mano sulla sua guancia e gli diede un bacio, un po’ per zittirlo e un po’ perché così preoccupato era carino, con i capelli sulla fronte e gli occhi tutti disordinati.
«Vengo con te, hai capito?» gli disse. «Basta che mi lasci tenerti la mano».
Draco si abbandonò contro di lui e sorrise, le guance rosse e le labbra luccicanti di saliva. «Credo che poi ti dovrò un favore, o una visita da uno psichiatra».
Harry gli passò una mano tra i capelli e disse: «No, no, stupido Malfoy, un buon bacio ed un pezzo di cioccolato basteranno».
Draco gli sorrise e si riappoggiò con la schiena all’albero, sospirando. «Cosa provi quando li hai vicino?».
Harry attese un secondo per riordinare le idee, poi decise che Draco meritava di conoscere qualcosa in più di lui, con tutto quello che gli aveva rivelato di sé: «Sento i miei genitori che urlano, mia madre che implora di lasciarmi stare, e tanti brutti ricordi. Immagino niente di diverso dai sogni che faccio di solito».
«Sogni la guerra?».
«Be’, il mio subconscio adora creare scenari divertenti» borbottò. Draco non trovò affatto spiritoso il suo tentativo di alleggerire l’atmosfera e gli schiaffeggiò delicatamente la mano, sussurrando: «Voglio conoscerti».
Harry si passò la lingua sulle labbra e poi parlò, la voce appena più forte del venticello che spirava dal lago e che accarezzava loro la pelle scoperta delle caviglie e dei polsi. «La maggior parte delle volte sogno di uccidere tutti i miei amici, quasi come in una delle mie vecchie visioni nella mente di Voldemort; ma è solo il senso di colpa, niente di più».
Draco sbatté le palpebre e attese un secondo, sicuro che Harry avrebbe aggiunto qualcosa, ma questo non disse niente e allora mormorò: «Ne abbiamo già parlato, Harry…».
«Lo so che ne abbiamo già parlato, come abbiamo parlato dei tuoi dispiaceri…non per questo hai cambiato idea, perché io dovrei farlo?».
Draco lo colpì alla spalla e sorrise, gli occhi reticenti e le guance arrossite da un pensiero che non volle condividere con Harry. «Perché il mio faccino d’angelo è molto più convincente del tuo».
Angelo!, pensò Harry, osservandolo senza alcuna vergogna, un angelo dalla lingua biforcuta e dalle ali arruffate. «I diavoli sono più interessanti, però. Forse dovrei cambiare ragazzo…».
Draco gli si avvicinò per rubargli un bacio scandaloso, le dita che si insinuavano tra i bottoni della camicia. «Io sono il tuo unico ragazzo…» sibilò.
Harry si sentì all’improvviso accaldato, la parola ragazzo che rimbalzava di qua e di là nel cranio. Draco era il suo ragazzo, del tipo che poteva toccarlo quando voleva e baciargli i capelli e le labbra e la fronte.
«Sei fortunato che ormai ti amo, o ti avrei già mollato per Seamus Finnigan».
Draco lo squadrò con la faccia disgustata e poi fece per allontanarsi, l’erba tutto attorno che lo circondava e lo rendeva adorabile, in quella camicia grigia che indossava e con la cravatta disordinata, così stonante accanto alla postura rigida del Malfoy. «Non hai appena detto che preferisci quell’irlandese puzzone a me, il bellissimo e divertente e simpatico Draco Malfoy…non te lo permetto».
Harry gli fece un occhiolino, mentre diceva: «Sul bellissimo non posso dire nulla, ma per gli altri due mi trovo costretto a dissentire».
Draco gli fece una linguaccia ed una smorfia, poi gli saltò letteralmente addosso, facendolo capitolare all’indietro, le braccia bloccate dalle sue mani forti; si sistemò meglio, puntando le ginocchia sul prato, poi si abbassò e soffiò, la bocca a qualche centimetro distante da quella di Harry e le ciglia sfarfallanti di provocazione: «L’unica cosa che adesso sei costretto a fare è baciarmi».
Costretto, pensò, non credeva fosse il termine giusto. «Oh, no, che tortura! Non farlo, ti prego, abbi pietà di me!» disse teatralmente, scalpitando sotto il suo peso nel tentativo di avvicinarsi alla sua bocca.
Draco lo accontentò con un bacio a stampo, e poi un altro e ancora uno, finché Harry non riuscì a liberare una mano, che fece risalire su per il suo fianco e poi affondò nei capelli incasinati.
Quando Draco si tirò indietro, una nuvola aveva coperto il sole e i suoi occhi erano dello stesso colore del cielo sopra le loro teste, così chiaro da sembrare fragile come il vetro. Aveva le labbra del colore delle rose selvatiche, fu il suo primo pensiero, quelle che crescevano nei fossi delle vie di Little Whinging e che ogni tanto Zio Vernon portava a casa a Zia Petunia, dopo una giornata pesante di lavoro.
«Sarà scontato e patetico, ma in fondo lo sono, quindi…be’, ti amo, mon chéri, e vengo con te anche a baciarli, i Dissennatori, se ti va».
La punta del naso di Draco sfregò contro quella del suo e poi il biondino si lasciò scivolare di lato, steso sull’erba accanto a lui. «Sai, una volta ho sentito Silente dire una cosa del genere: “Harry è la pietra su cui nasce il fiore” e non credo che descrizione sia mai stata più vera» disse. «Sei un miracolo, stupido Potter».
Il cuore di Harry perse un battito e fece fatica a tenere a freno il pizzicore agli occhi, mentre la voce gli mancava per sussurrare: «Lo è anche il fiore».
La campanella suonò l’inizio delle lezioni pomeridiane, ma i pensieri di Harry e lo scalpitare esagerato del suo cuore erano più rumorosi di tutto il resto. Draco, al suo fianco, ascoltava il silenzio senza proferire parola, forse consapevole di essere la rosa selvatica sulla pietra miracolosa.

Si incontrarono di rado, da quel pomeriggio al lago, impegnati com’erano a studiare come dei dannati, Harry in compagnia di una Hermione che a malapena proferiva parola ed un Ron ammutolito dalla rispostaccia di Harry di qualche sera prima; Draco da solo, come sempre, come aveva ribadito più volte di preferire: «Harry, piccolo, mi distrarresti soltanto, non preoccuparti» aveva detto un giorno, dopo l’ennesimo tentativo di Harry di obbligarlo a studiare insieme a lui.
Harry aveva sgranato gli occhi a quell’epiteto particolare e poi aveva incrociato le braccia al petto per sembrare più piazzato. «Non chiamarmi in quel modo» aveva borbottato, gli occhi stretti in due fessure. Se c’era una persona che poteva dare nomignoli ridicoli all’altro quello era lui, Draco non poteva rubargli gli hobby come gli rubava i baci.
Draco aveva mostrato un sorriso malandrino e poi si era sporto oltre il banco impolverato per sussurrare: «E cosa faresti se non osservassi la tua regola, piccolo?».
Harry si era alzato in piedi borbottando in modo patetico e aveva raccolto le sue cose, abbassando il viso per non mostrare le sue guance arrossite. «Devo andare» aveva mormorato, chinandosi per un bacio su un Draco che continuava ad atteggiarsi da divo.
Quella notte aveva sognato se stesso impegnato in un amplesso insieme a Draco – che continuava a chiamarlo piccolo – e si era svegliato la mattina dopo con qualcosa che puntava alle stelle e che non era di certo il buon umore.

Il biglietto della data della visita ad Azkaban planò con fare teatrale attaccato alla zampa di un gufo della scuola durante la posta della domenica; Harry lanciò soltanto uno sguardo d’intesa al tavolo Serpeverde, al quale mangiava un Draco divertito, che gli sorrise appena e poi immerse di nuovo la testa dentro al suo libro francese.
«Quello deve essere il suo diario degli omicidi o qualcosa del genere» disse qualcuno poco più in là, seduto al tavolo dei Grifondoro. Harry si girò con fare severo per lanciare un’occhiata di fuoco a Seamus, che aveva seguito il suo sguardo e pensava probabilmente che Harry sospettasse ancora di Draco.
Ginny, accorgendosi dell’espressione di Harry, borbottò: «Non cre–», ma Harry l’aveva già interrotta, incapace di tenere a freno la lingua. «Ha smesso di fare quelle cose già da un po’, è ora che cresciate, cavolo».
Il silenzio si sparse a macchia d’olio sul tavolo dei Grifondoro e Seamus borbottò soltanto: «Be’, scusa», prima che Harry si ritirasse nel suo bozzolo ed evitasse qualsiasi sguardo, il biglietto stritolato in una mano che leggeva: «Venerdì pomeriggio dopo l’ultima lezione. Ti aspetto ad Hogsmeade, ma se non te la senti sappi che ti amo lo stesso».

La settimana passò in fretta, probabilmente perché temeva più di quanto credesse la visita ad Azkaban, ma fu un tormento: qualcuno aveva notato l’aspetto appena rinvigorito di Draco e molti se ne stupivano, parlavano sottovoce nei corridoi e lo guardavano sfogliare i libri di scuola durante i pasti, curiosi di sapere cosa stesse tramando per essere così visibilmente sollevato.
Harry cercava di mantenere la calma, guardava in basso e non diceva nulla, ma Seamus lo fissava ancora con sospetto negli occhi ed Hermione non faceva altro che alzare le sopracciglia con fare perplesso ogni volta che Harry si girava a controllare che Draco stesse bene.
Venerdì mattina si svegliò con lo stomaco annodato ed una vena sulla tempia che pulsava di ansia. Non parlò con nessuno e nessuno gli disse niente, mentre prendevano posto al tavolo dei Grifondoro per la colazione; scambiò due parole con Ron prima dell’inizio della lezione di Trasfigurazione e poi si lasciò cadere nel turbinio di pensieri agitati che gli si accalcavano contro la fronte: i Dissennatori gli facevano rivoltare le budella e con loro vicino si sentiva le ginocchia di cartone, eppure non poteva lasciare Draco da solo in un momento così delicato. Gli aveva pure detto, forse per tranquillizzarlo, che durante la settimana di visite c’erano almeno una quindicina di Auror che si occupava di trasportare i detenuti nelle celle per visitatori e di accompagnare i familiari, quindi le probabilità di incontrare un Dissennatore non erano particolarmente alte.
In quel caso avrebbe chiuso gli occhi, si disse, gli stringerò la mano e terrò la bacchetta pronta per un eventuale Patronus.
Ce l’avrebbe fatta.

Venne distolto dalla paranoia di Azkaban soltanto quel pomeriggio, dopo l’ultima lezione, quando il nodo allo stomaco si fece più stretto e sentì le patate arrosto del pranzo fare i capricci: Hermione lo bloccò all’uscita dall’aula per un polso e disse a Ron di andare avanti, che lo avrebbero raggiunto dopo poco.
«Possiamo parlare un secondo?» gli chiese, le labbra premute insieme in un’espressione di pura preoccupazione. Harry si grattò il collo e mosse i piedi con impellenza, dicendo: «In realtà starei and–».
«È assurdo, ma, be’, non riesco a non pensarci, quindi…».
«Hermione, sono di fretta» piagnucolò, cercando di muovere il polso fuori dalla stretta dell’amica, che affondò le dita con più veemenza.
«Provi qualcosa per Malfoy?» chiese, le labbra strette in una linea dura. Sembrava lo stesse sgridando, ma era solo scocciata dal suo fare schivo.
Harry gelò, la tracolla gli cadde giù dalla spalla e sentì la boccetta d’inchiostro dentro la borsa rimbalzare per terra e rompersi, poi più niente, il vuoto, l’aria che si faceva irrespirabile.
Hermione, vedendo la sua faccia da ebete, si schiaffò una mano sul viso e sussurrò: «Porca puttana, Harry…».
Il termine volgare lo risvegliò, il cuore riprese a battere così veloce che lo sentì pulsare sulla lingua. «Hermione…» cominciò, accovacciandosi per raccogliere la borsa gocciolante di inchiostro. «Mi dispiace, ma dobbiamo parlarne in un altro momento» e si girò, il pollice che indicava le scale. «Ora devo proprio andare».

Draco lo aspettava al binario di Hogsmeade seduto su una panchina, il viso così pallido che sembrava verde.
«Ciao» disse, alzandosi in piedi. Gli prese una mano e se la strinsero forte, spalla contro spalla e gli occhi fissi sulle rotaie. «Andrà tutto bene» continuò, un po’ riferito ad Harry e un po’ a se stesso.
Quando Harry annuì appena, Draco Smaterializzò entrambi sul terreno roccioso dell’isola su cui Azkaban poggiava, il Mare del Nord che si infrangeva fragoroso sugli scogli più bassi e li agitava nel profondo.
La prima cosa che Harry notò fu la porta di legno massiccio sulla facciata dell’edificio, e poi chi faceva la guardia alla porta: due Dissennatori incappucciati, le mani raggrinzite che fluttuavano in aria insieme ai brandelli del mantello.
Erano in alto e lontani, ma le ginocchia di Harry tentarono comunque di cedere, mentre Draco muoveva un passo in avanti verso la linea anti-Smaterializzazione. «Faremo presto, d’accordo? Due parole di cortesia, vediamo come se la passa, poi torniamo ad Hogwarts».
Harry fece un cenno con la testa e lo seguì fino alla porta, gli occhi puntati sul pavimento gelido: aveva le dita congelate e si sentiva rallentato dal freddo, le orecchie ovattate dall’urlo lieve di sua madre.
«Li senti?» gli chiese Draco mentre il portone si spalancava da solo e li faceva entrare.
«Non troppo, ma appena torniamo ho bisogno di cioccolato».
Draco gli strinse più forte la mano con dita altrettanto gelide e sorrise appena, i ciuffi di capelli che ricadevano sulle tempie e incorniciavano il viso dal naso arrossato. «Tutto quello che vuoi. Ora vieni di qua» e lo trascinò un po’ più dentro l’ingresso tetro. La porta si chiuse alle loro spalle e la sola fonte luminosa era una torcia appesa al muro accanto ad un bancone di legno marcio, evidentemente non utilizzato da un po’ di tempo.
Da un corridoio laterale spuntò un Auror con un cappellino invernale ridicolo. «Oh, ciao. Sei in anticipo».
Draco fece un passo avanti e mormorò. «Be’, vorrei fare in fretta».
L’Auror annuì e fece per dire qualcosa, ma lo sguardo si perse nel buio a scrutare Harry, appena più indietro di Draco. «Possono entrare solo i familiari» borbottò, gli occhi sottili che cercavano di capire chi Draco avesse portato a trovare suo padre.
«Io, veramente, speravo che potessi fare un’eccezione» borbottò, la mano libera a sistemarsi i capelli sulla fronte.
«Sì, faremo presto» intervenne Harry, affiancandosi a Draco.
L’Auror sgranò gli occhi e poi abbassò lo sguardo, infilando una mano in tasca per afferrare la bacchetta e accenderne la punta. «Harry…Potter?» domandò.
Sia Draco che Harry arrossirono e si mollarono le mani con un sussulto, ma l’Auror le aveva già adocchiate e adesso stava sorridendo. «Tu sei per forza il figlio di Malfoy, non avevamo altre visite in programma per oggi…e tu sei Harry Potter, quello…quello vero?».
«Credi che te lo direbbe, se non fosse quello vero?» rispose un po’ piccato Draco, muovendo i piedi sul pavimento con fare impaziente.
«Possiamo vedere suo padre o no?» chiese Harry, addolcendo un po’ il tono.
L’Auror sbuffò e poi diede loro le spalle per risalire il corridoio da dov’era venuto, facendo un gesto per farsi seguire. «Lasciate lì le bacchette, qui non sono permesse» e indicò una scatola sul bancone in legno.
«Quindi, insomma…perché sei qui? Loro non hanno cercato di ucciderti?» chiese ad Harry, svoltando in un corridoio ancora più buio. Prima di rispondere, Harry si guardò alle spalle e ringraziò il cielo di non aver trovato altri Dissennatori svolazzanti. Immaginò che fossero stati cacciati da quell’ala della prigione, siccome c’erano gli Auror a fare da guardie.
Alzò le spalle e disse soltanto. «Suo padre ha cercato di uccidermi, non lui. E poi le persone cambiano, ora siamo amici», al che l’Auror si sporse appena in avanti per controllare se si fossero di nuovo presi per mano. Entrambi arrossirono di nuovo, l’imbarazzo nascosto nel buio.
«Amici?».
Harry percepì la tensione di Draco anche se non lo stava toccando, mentre sbuffava una nuvoletta infastidita di vapore fuori dalla bocca. «Sì, amici» ripeté, il tono un po’ più duro del necessario.
L’Auror alzò le spalle in segno di resa e li condusse a destra dentro un corridoio più stretto e angusto, poi si bloccò dopo qualche passo e disse: «La cella è la terza sulla sinistra, io rimango qui per controllare che non succeda niente, ma potete parlare tranquillamente, il corridoio è protetto da un incantesimo silenziante».
Harry gli sorrise e Draco gli fece un segno stizzito, inoltrandosi a passo svelto nel corridoio: sul lato sinistro, come l’Auror aveva detto, c’erano aperture sbarrate in ferro dalle quali si intravedevano delle stanze vuote. Solo due celle erano occupate: nella prima stava gridando una donna, nella seconda, invece, era seduto davanti alle sbarre Lucius Malfoy, o quello che ne era rimasto.
Quando vide Draco il suo volto si illuminò, sorrise, e poi scoppiò a piangere, lì, buttato in mezzo al sudiciume a gambe incrociate. «Draco» singhiozzò. «Draco». Harry vide in lui, illuminato da una finestrella all’interno della cella da cui entrava uno spiraglio di sole gelido, il degrado di quel posto e si sentì le mani tremare di stupore: neanche il peggiore dei criminali avrebbe meritato il trattamento che Azkaban riservava ai prigionieri e, suo malgrado, Lucius Malfoy in quel momento gli faceva pena.
Draco si inginocchiò proprio davanti a suo padre e disse, le mani appoggiate alle sbarre. «È già la seconda volta che vengo sperando di vederti morto e invece mi deludi, Padre».
Lucius si asciugò le lacrime dal viso con una mano lercia e poi raddrizzò la schiena nel vano tentativo di ricostruire la classica postura dei Malfoy, quella che neanche suo figlio riusciva ad abbandonare, nonostante ce la mettesse tutta.
Solo allora, con gli occhi asciutti e le labbra strette insieme, si accorse di Harry, nascosto nella penombra.
«Quello è…?».
Draco si voltò verso di Harry e poi allungò una mano nella sua direzione, incoraggiandolo a raggiungerlo. «Harry, Harry Potter. Noi due stiamo insieme».
Lucius parve sconvolto, del tipo che aprì la bocca per dire qualcosa ma vedere Harry lì che teneva la mano a suo figlio gli prosciugò ogni parola. «Har–, t-tu…Dr-Draco?».
«Mi ha aiutato quando stavo per morire nel tentativo di togliermi il Marchio».
Malfoy senior prese a tossire e le mani cercarono quelle di Draco, che si ritirò con uno sbuffo e si aggrappò alla mano di Harry per sollevarsi in piedi; passò un braccio attorno alla sua vita e rimase fermo lì ad attendere, finché suo padre non disse: «Come hai potuto? Lui ha ucciso il nostro Signore».
Draco rispose con uno sghignazzo che fece rabbrividire Harry. «Il tuo Signore, vorrai dire».
Lucius si alzò in ginocchio e la sua risata glaciale, pazza, riempì tutto il corridoio, rimbombando. «Non osare dire una cosa del genere!» sibilò, le mani che stringevano convulsamente le sbarre, come se avesse voluto piegarle con il pensiero. «Non sei mai stato degno del nome che hai e mai lo sarai, ingrato che non sei altro!».
Harry fece un passo avanti, senza dire una parola, ma Lucius notò il suo gesto, perché rivolse il suo sguardo da folle a lui.
«Oh, guardalo, il salvatore dell’universo, il Prescelto, che corre in difesa del suo fidanzatino, che teneri!» disse, un sorriso stravolto gli illuminava il viso rovinato dal dolore. Rise, poi mostrò loro un’espressione mortalmente seria, urlando: «Mi fate vomitare!».
Draco appoggiò una mano sul fianco di Harry e si accostò a lui. «Sapevo che non era una buona idea».
Harry scosse la testa e poi si abbassò per essere faccia a faccia con Lucius: era fuori di sé, privo di nervo, smidollato. Aveva gli occhi vuoti e le guance graffiate, la barba grigia che scivolava sul volto scavato e lo rendeva allungato, magro come non lo era mai stato; i capelli sudici erano appiattiti sulla testa, le punte spezzate che puntavano verso l’esterno erano messe in evidenza dalla luce alle sue spalle, mostrando il viso scheletrico in ombra.
«Signor Malfoy, credo sia ora di lasciar perdere le ostilità e trovare un punto di raccordo».
Lucius si mise a ridere sguaiatamente e disse: «Gli unici punti di raccordo che vorrei trovare sono quelli delle tue ossa, per spezzarli tutti».
Draco gli tirò il colletto della camicia e gli disse di alzarsi, che non c’era niente da fare, che suo padre era sempre stato così e neanche cent’anni di galera lo avrebbero cambiato.
«Impossibile che non capisca…» sussurrò Harry.
Prima che Draco potesse rispondere, Lucius si intromise nella conversazione, dicendo: «Mi fai schifo, Potter».
«Ti odio» borbottò, gli occhi lattiginosi che guardavano in su. «Prima mi porti via il Signore Oscuro e adesso mio figlio» allungò le mani per colpirlo, ma le catene che aveva ai polsi lo bloccarono a metà strada. «TI ODIO!».
Draco riprese la mano ad Harry e disse: «Andiamocene, non ce la faccio» e poi, rivolto a suo padre: «La prossima visita è tra sei mesi, vedi di crepare prima di allora, sarà meglio per tutti quanti».
«HAI ROVINATO TUTTO, DRACO!» gridò, mentre il biondino trascinava Harry di nuovo lungo il corridoio. «SE NON FOSSE STATO PER TE, LUI AVREBBE VINTO. SEI UN TRADITORE» e poi silenzio. Un sobbalzo della schiena di Draco e di nuovo urla: «DRACO, DRACO». Rumore di ferro che sbatteva e un urlo straziato, singhiozzi. Draco aumentò il passo e tirò su con il naso.
«NON ANDARTENE, TI PREGO. DRACO, TI VOGLIO BENE, NON LASCIARMI QUI».
Superarono l’Auror appoggiato al muro ammuffito e girarono l’angolo, quasi correndo. Draco non si fermò al richiamo dell’Auror ma tenne più stretta la mano di Harry, sbucando poi nell’ingresso che puzzava di morte.
Harry fece in tempo a recuperare le bacchette prima che Draco lo tirasse oltre la porta e alla linea anti-Smaterializzazione.
«Aspet–» disse, ma Draco gli aveva lasciato la mano ed era scomparso nel vuoto con un sonoro crack.

Lo trovò accasciato sul binario di Hogsmeade, le mani sul viso e la schiena sussultante di singhiozzi. Si inginocchiò al suo fianco e gli appoggiò soltanto una mano sulla spalla, finché non si calmò un poco, le lacrime che gli colavano giù per il collo e i polsi.
«A novembre non era così» la voce gli tremò mentre parlava. «Non mi ha mai detto una cosa del genere…c-che ho rovinato tutto…».
Harry non rispose, ma si fece più vicino e tentò di tirarlo più su, contro il suo petto, sul quale Draco appoggiò la fronte e continuò a singhiozzare, balbettando: «Lo pensa davvero…che sono un ingrato, che non merito di portare il suo nome…era solo troppo clemente per farmelo sapere».
«Non sa quello che dice, hai visto che è instabile» rispose Harry, accarezzandogli piano la schiena. Cominciavano a fargli male le ginocchia e si sentiva la punta delle dita ancora gelate, ma Draco era la priorità, in quel momento. Ringraziò il cielo che di Dissennatori ne avesse visti soltanto due, o adesso non sarebbe riuscito a stare dritto; aveva bisogno di cioccolato, pensò, e di un integratore di vitamine e coraggio.
«Non ho mai voluto che loro soffrissero, ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto. Sono stato buono!» disse. «Ma non erano mai contenti, non era mai contento, Harry! Prima i voti, poi il Quidditch, gli esami…e mi andava bene, non mi dispiaceva che ci tenesse. Ma la guerra, davvero? Sono stato una persona di merda, ma non meritavo questo stupido Marchio sul braccio».
Cosa poteva fare?, si disse, Draco aveva l’anima a pezzi, come si aggiustava un’anima? Sapeva che un Epismendo non avrebbe funzionato.
«Draco» sussurrò. «Va bene se ti importa ancora del suo giudizio, non odiarti per questo. Lui è sempre tuo padre».
Draco si scostò per guardarlo in viso: aveva i capelli arruffati e gli occhi rossi, il grigio dell’iride a galleggiarci dentro come un cubetto di ghiaccio in un bicchiere di Whiskey Incendiario.
«Lui è solo un imbecille!» rispose. «Ha lasciato che il suo tanto adorato Signore mi mandasse ad uccidere il mago più potente del mondo con una cazzo di bottiglia di idromele avvelenato, ecco cos’ha fatto! Lo odio…lo odio così tanto che…» la voce gli morì in gola e riprese a singhiozzare e a respirare con fatica, le parole che uscivano tremanti, affogate in quel mare di lacrime. «Non merita affatto quello che gli ho dato! Che mi sia rovinato la vita per lui, che ci tenga ancora…» si appoggiò ad Harry, si fece abbracciare come se volesse scomparire dentro al suo petto.
«Mon chéri…lo capisco» cominciò. «Sei arrabbiato perché credevi in lui, ma non è colpa tua, d’accordo? A volte succede che le persone ci deludano, ma non per questo devi odiarti per aver peccato di giudizio».
Draco scosse la testa. «Li ho pregati di andarcene, quando lui è tornato da Azkaban, ho detto loro che ci avrebbe ucciso, non eravamo più niente per Voldemort, lo sapevo. Perché non mi hanno ascoltato? Forse ora sarebbe diverso…forse saremmo insieme…».
Harry gli accarezzò i capelli e lo consolò, dondolando appena sulla banchina di cemento, ma non disse più niente. Lo ascoltò piangere e basta, il cuore che gli balzava nel petto ogni volta che le parole dure di Lucius gli tornavano in mente. Era ovvio che stesse impazzendo, che la paura imposta dai Dissennatori gli avesse fatto perdere la testa, ma quello che aveva detto era il suo vero pensiero: Draco era un traditore, in un qualche modo. Non era riuscito ad uccidere Silente, aveva aiutato Harry ad uscire vivo da Villa Malfoy e non era stato d’aiuto alla sua fazione durante la battaglia ad Hogwarts.
Draco non era una persona cattiva, pensò, ma gli erano capitate persone cattive, erbacce che non era mai riuscito a sradicare dal suo essere, che si erano avvolte attorno a lui con i loro ideali malsani: edere rampicanti.
Il dolore aveva fatto da diserbante ed Harry si incolpò di non essersi applicato affatto ad Erbologia: forse avrebbe potuto salvarlo prima che tutto crollasse.

Pietre Un Giorno Case | DrarryWhere stories live. Discover now