Capitolo 1: Max

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Quel giorno non volevo alzarmi dal letto. Non che gli altri giorni lo facessi con piacere, ma quella mattina in particolare dovetti proprio impegnarmi per abbandonare la mia cuccetta. Non era un letto come... si, insomma, come il vostro. Non aveva una base in legno, né una testata o, che ne so, coperte colorate e animali di peluche. Era un materasso grigio, attaccato al muro grazie a due funi di acciaio. Le lenzuola erano plastificate e spesse, dato che erano dotate di un sistema di riscaldamento automatico. Il cuscino era un parallelepipedo di spugna bianca, per niente comodo, ma molto efficace per addormentarsi velocemente. Lo avevo studiato. Al suo interno era presente una siringa piena di sedativo. Ogni notte il sedativo veniva iniettato a qualunque cosa fosse appoggiata al cuscino. Non mi ero preso il disturbo di toglierlo; l'unica notte in cui avevo provato a fregare il sistema (avevo appoggiato una felpa sul cuscino) non avevo chiuso occhio.

Dopo aver barcollato fino al bagno, mi tolsi il pigiama (una tuta di semplice cotone bianco) ed entrai nella doccia. Lì non dovetti fare altro che stare fermo. Dal muro uscirono dei getti d'acqua e degli spruzzi di sapone e shampoo, poi dei bracci meccanici cominciarono a strofinare. Quando la sessione di pulizia finì, uscii dalla doccia e mi incamminai verso l'armadio senza neanche disturbarmi a mettermi un accappatoio. Tanto c'ero solo io.

So cosa state pensando: "Ehi, amico, ma dove cavolo vivi? Che razza di posto è casa tua?". Non lo sapevo neanche io. Per me era totalmente normale. Ero nato in quell'appartamento. Fino ai sette anni, c'era qualcuno ad aiutarmi ogni giorno. Non mi era permesso chiedere il suo nome. Non potevo chiamarla in alcun modo, se non Tata. Era una donna minuta con i capelli bianchi. Ma non era una persona vera. Tata era un androide. Non aveva una faccia, né una voce. Ma era la cosa più vicina ad una madre che avessi mai avuto, e le volevo bene. Il giorno in cui mi venne detto che non avrei più rivisto Tata mi misi a piangere. Mi beccai una bella sgridata per quello. Non... non voglio parlare di ciò che mi fecero. In ogni caso, imparai a non provare emozioni. O almeno, a non manifestarle. Era la prima regola del Libro, un piccolo manuale in cui era elencata una serie lunghissima di leggi e regole a cui dovevamo obbedire senza esitazioni. Eravamo stati costretti a impararle a memoria. Oh, vi starete chiedendo a chi mi stia riferendo al "noi". Lo scoprirete. In ogni caso, non ne conoscevo il motivo. Io avevo sempre vissuto da solo. Non avevo mai visto un altro essere umano... fino a quel giorno.

<<Lika, apri l'armadio.>>, ordinai scandendo bene le parole. Subito una voce virtuale rispose: <<Certo, Max.>>. Ringraziai. Lika era un assistente virtuale programmato per eseguire ogni mio comando all'interno del mio appartamento. Le ante dell'armadio si aprirono, offrendomi una quantità piuttosto limitata di vestiti. Per prima cosa mi infilai un paio di mutande bianche, poi cominciai ad osservare le "opzioni". I vestiti erano tutti uguali: magliette bianche a maniche corte, felpe nere, pantaloni attillati neri e scarpe sportive bianche. Su ogni capo era cucito il numero 04. Mi chiesi, ancora una volta, quale fosse il motivo di esporre più capi uguali. La divisa era sempre la stessa, eppure ogni giorno il numero di capi era superiore al necessario. Presi le prime cose che mi capitarono sotto mano e mi vestii. Appena fui completamente vestito, mi schiarii la gola e pronunciai: <<Lika, colazione.>>. Si sentii un biiip, e da una botola nel pavimento uscii un vassoio bianco. La botola si richiuse prima che io potessi vedere cosa c'era al suo interno. Non era la prima volta che tentavo di scoprire cosa ci fosse lì sotto, e come al solito il mio tentativo era fallito. Non ci pensai più di tanto. Presi in mano il vassoio e mi incamminai verso la scrivania, attento a non inciampare. Non che ci fosse molto su cui inciampare. La mia camera non era altro che un cubo di metallo bianco e argentato. Gli unici pezzi d'arredamento erano il letto, l'armadio e la scrivania (a cui era attaccata una sedia). Non avevo tappeti, librerie o finestre. A dire il vero, non sapevo neanche cosa fosse una finestra. Non c'erano neanche porte lì dentro. Dato che non avevo coinquilini non c'era bisogno di mettere una porta tra la camera da letto e il bagno.

Progetto S.I.R.A.Where stories live. Discover now