Capitolo 7

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Jane

A volte capita di fermarsi a pensare alle cose più banali. Per esempio a quanto un giorno vuoto e privo di senso passi molto più lentamente di uno in cui sei al culmine delle tua felicità.
E allora ti domandi come questo sia possibile.
Come mai la felicità dura solo un attimo, mentre il dolore può durare per una vita intera?

Ho vissuto alcuni dei momenti più belli della mia vita negli ultimi mesi, momenti in cui mi sentivo felice.
Davvero felice.
Momenti in cui quella noia, quella dolorosa monotonia, con cui sono cresciuta era sparita, rimpiazzata dalla voglia di vivere sempre più intensa giorno dopo giorno.
Ma adesso, in questo preciso momento, non sento altro che il vuoto nel petto.
Come se una mano forte e gelida, quasi maromorea, avesse perforato con forsa il mio costato e mi avesse letteralmente strappato il cuore dal petto. Lasciando dietro di se niente di meno che uno spazio vuoto.
Una voragine aperta e dolorosa.
Per questo non sento altro se non la gelida sensazione della mancanza.
La mancanza di ciò che avevamo.
La mancanza del suo sguardo su di me.
Del suo amore.
O di quello che credevo fosse amore. . .
La mancanza di Will.
E soprattutto la mancanza del mio cuore, che ha portato via con se tanto crudelmente.
E anche adesso, mentre sono qui, con il respiro affannato, le gambe doloranti e la testa che gira, per lo sforzo di salire una rampa di scale dietro l'altra, non riesco a sentire niente . . . all'infuori del vuoto.
Chissà come, dopo aver passato un'altra lunga, interminabile e noiosa giornata, mi è venuta voglia di guardare il sole tramontare.
Cosi ho raggiunto la finestra e l'ho spalancata, speranzosa di vederlo per davvero. Di vedere quella sfera luninosa che fuggiva dietro la città che non dorme mai. Eppure, l'unica cosa che ho visto sono stati palazzi su palazzi, abitazioni, negozzi e un ammasso di grigio.
Non siamo a Los Angeles, mi ha ricordato ancora una volta una vocina nella mia testa, da qui non puoi guardare il sole sorgere o tramontare perché i palazzi sono troppo alti per permettertelo.
Cosi mi è venuta un idea.
Per vedere il sole dovevo raggiugere un punto abbastanza alto che potesse permettermelo.
Anche questo è un palazzo, e dovrà pur esserci un tetto, no?
Cosi sono uscita sul pianerottolo fuori la porta dell'appartamento e ho iniziato a salire una rampa di scale dietro l'altra senza avere la più pallida idea di dove portassero. Ciò di cui non avevo idea era il fatto che fossero presenti almeno dodici piani dopo quello di Kathy e Josh.
Una persona normale avrebbe usato un ascensore, ma a quanto pare io non rientro in quella normalità.
Ho iniziato a salire a piedi. Senza alcun tipo di aiuto.
Avevo bisogno di questo.
Avevo bisogno di muovermi, di sentire i miei musicoli lavorare e ricordarmi che ero ancora viva . . . In un modo o nell'altro.
E adesso eccomi qui. Intenta a compire l'ultimo sforzo per salire un ultima rampa ancora. E appena alzo lo sguardo vedo una porta diversa dalle altre che ho incontrato lungo le scale. Questa è in ferro e sembrerebbe più robusta delle altre, se non fosse che è molto rovinata dal tempo. Salgo l'ultimo scalino e afferro la maniglia. Inizialmente non succede nulla. E vado nel panico, realizzando solo ora che potrebbe servire una chiave per aprirla. Cosa che io, ovviamente, non ho.
Ho fatto tutte queste scale a piedi per niente? Non riuscirò a vedere il tramonto in tempo? Sul serio?!
Poi presa da un moto di rabbia e irritazione improvvisa sento una lacrima calda rigarmi il volto e inizio a scuotere la porta con forza.
"Dannazione!" sbotto, dando un calcio a quell'ammasso di ferraglia. Che proprio in quel momento decide di spalancarsi. Resto a guardarla sorpresa, mentre una piccola pioggia di ruggine scende dai cardini e la porta si spalanca su una terrazza in cemento aramato.
Varco la soglia, assicurandomi che la porta non si richiuda alle mie spalle e non mi lasci chiusa qui da sola.
Poi mi guardo in torno e un ondata di vertigini mi scuote appena realizzo che cosa ho fatto.
Sono venuta su una terrazza per guardare il tramonto. . .
La stessa cosa che ho già fatto con lui.
Che idea stupida e masochista è stata.
Perché l'ho fatto? Solo per guardare uno sciocco tramonto?
No.
Non è solo per questo, lo so bene.
Ma ormai è troppo tardi e sono già qui. Tanto vale completare l'opera. Raggiungo il bordo della terrazza in pochi passi, appoggiando i palmi delel mani sul cemento freddo e ruvido del muretto che funge da cinta.
Chissà da quanto tempo nessuno saliva quassù. Ci sono erbacce e sporcizia ovunque, ma la vista è senza dubbio meravigliosa.
Non solo riesco finalmente a vedere il sole tramontare, ma anche tutto il resto. I palazzi semi illuminati dalla luce rosso-dorata,  l'acqua che scorre indisturbata sotto il ponte di Brooklyn sembra cosparsa di brillantini, il traffico e il caos newyorkese sembrano lontani anni luce da qui.
E improvvisamente la mia mente prende il volo, verso un mondo fantastico, lontano e surreale. Un mondo dove non esiste il bruciore che mi attanaglia da dentro, dove non sento alcuna voragine nel petto, dove ogni cosa va per il verso giusto. Dove non ci sono padri che tornano a casa tardi la sera ubriachi o fatti, con la sola voglia di picchiare a sangue la moglie o le figlie. Dove i cuori non si spezzano. Dove le amicizie sono semplicemente sincere.
Dove lui è con me. Su questo tetto. Che mi stringe le braccia intorno ai fianchi da dietro, con la mia schiena appoggiata al suo petto, i respiri fusi gli uni con gli altri, gli occhi puntati verso l'orizzonte e il rumore dei nostri cuori che battono all'unisono.
Ma ovviamente non vivo in quel mondo. In quell'universo parallelo che tanto mi attare. Il mio posto felice, che so molto bene essere dov'è lui.
Lui, che nella vita realte, quella vera, crudele e ingiusta, mi ha tradita, derisa e usata. Per cosa poi? Un semplice gioco, una semplice risata con i suoi amici.
Mi sforzo di trattenere le lacrime e tento di clncentrarmi maggiormente sulla luce che va a affievolirsi sempre di più dietro u grattacieli in lontananza.
Mi sporgo un pò di più sul muretto per guardare la strada che scorre sotto di me e resto più sorpresa di quanto immaginassi nel rendermi conto di quanto in alto mi trovi. Basta quello per farmi uscire dalla trance dove ero finita, basta la vista di quello spazio vuoto per farmi tornare con i piedi perterra.
E mi domando cosa succederebbe se. . .
"Non ricordo l'ultima volta che sono salito qui." dice una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare per lo spavento. "Scusa. Non volevo spaventarti." dice Josh con un sorriso di scuse, alle mie spalle.
"Bè, hai fallito miseramente allora. Mi hai quasi fatto prendere un colpo." dico lanciandogli un occhiataccia da sopra la spalla. Lui ridacchia e si avvicina a me, accanto al muretto, sedendosi su di esso. Mi concedo un momento per guardarlo meglio, jeans scuri, felpa grigia e i capelli sparati da tutte le parti, ma non è quello a cogliere la mia attenzione, il mio sguardo si ferma alle borse sotto gli occhi che sono un po' troppo evidenti per quel viso delicato e quei lineamenti perfetti.
"Che ci fai qui, comunque?" domanda con un occhiata curiosa. "Ti sei già stancata della nostra compagnia?" aggiunge con un sorriso scherzoso.
Ecco perché ho sempre amato stare con Josh, lui riesce a strapparti un sorriso anche quando sorridere è l'ultima cosa che sei in grado di fare.
"Forse." dico, prendendolo in giro, con un'alzata di spalle. "Come sapevi che ero qui?"
"La nostra vicina di casa, la signora Rogers, del piano di sopra, ha detto di averti vista passare davanti alla sua porta poco fa. E ho pensato che questo poteva essere l'unico posto dove cercarti." spiega cauto.
"Non devo averla vista. . ." sussurro pensierosa. "La signora Rogers, voglio dire."
"Immagino di no." risponde lui, seguendo il mio sguardo perso verso l'orizzonte. "Non sei particolarmente attenta a ciò che ti circonda ultimamente." aggiunge con un mezzo sorriso. Ma so che ha ragione. Ho completamente la testa da un altra parte.
"Già. . ." sussurro abbassando lo sguardo. "Mi dispiace di non essere di buona compagnia, ma. . ."
"Ma hai i tuoi motivi. Lo so, non ti preoccupare." dice lui, finendo la frase al posto mio.
"Come mai mi stavi cercando?" chiedo dopo un attimo di silenzio, colmato solo dai nostri respiri e dal fruscio lontano del traffico sotto di noi.
"Kathy ha detto di dirti che sta sera siamo a cena fuori. Alcuni nostri amici organizzano un barbecue non troppo lontano da qui e pensavamo di andarci." spiega con nonchalance, ma quella punta d'incertezza nella voce non mi sfugge.
"Oh. D'accordo. Io ordinerò una pizza o qualcosa del genere, non preoccupatevi." dico distratta.
"Ma no, Jane. Non hai capito." ridacchia. "Sei invitata anche tu." aggiunge cogliendomi di sorpresa.
"Io? Dai vostri amici? E perché?" chiedo, ma penso di conoscere già la risposta.
Sin da bambine Kathy non mi ha mai chiesto di uscire insieme a lei e i suoi amici, mai, neanche una volta. E ora, che sono qui tutta sola, triste per quello che è successo, mi chiede di andare?
Ma certo.
Povera la mia sorellina, che ha appena rotto con il suo ragazzo che credeva l'amasse invece l'ha solo presa in giro per mesi. E ora se ne va in giro come un anima in pena, mentre lui se la starà ridendo a Los Angeles. Non posso di certo lasciarla qui tutta sola, no?
"Perché pensiamo possa farti bene." dice Josh, dando voce hai miei pensieri. Mi volto verso di lui, incrociando quegli occhi azzurri come il cielo e profondi come il mare, e tutto quello che vi leggo all'interno è grande aspettativa.
L'aspettativa, o forse la speranza, di vedermi riemergere dal mondo dei morti.
"Non lo so, Josh. . ." sospiro.
"E dai, sarà divertente!" dice lui, tantando di incoraggiarmi.
Cosa dovrei fare?
Andare a cena con loro e passare la serata a guardare mia sorella e il suo ragazzo divertirsi con i loro amici mentre io me ne starò tutta la sera seduta in un angolo a ricordare quanto falzi siano stati i miei di amici?
Eppure non posso nemmeno continuare a comportarmi cosi. Non posso piombare a casa loro e diventare un peso per entrambi. La sorella minore con il cuore spezzato e la fragilità che traspare da tutti i pori.
Non posso.
Loro devono continuare a vivere la propria vita, a divertirsi e stare con i loro amici senza dover pensare a me e alla mia saute mentale. Già li ho sentiti litigare a causa mia.
Non posso permettermi che succeda ancora.
"E va bene." sospiro sconfitta.
"Cosa?" chiede lui girando di scatto la testa verso di me. "Dici davvero?" esclama con un sorriso e io annuisco tentando di ricambiare.
"Vai cosi! Jane si è finalmente decisa a tornare tra i viviii!" esclama entusiasta e scherzoso. Gli do un pugno scherzoso sul bicipite scolpito, ma poi non resisto più e scoppio a ridere anch'io, contagiata dalla sua risata e dal fatto che abbia usato la stessa metafora sul mondo dei vivi a cui stavo pensando anch'io poco fa.

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Heeeeyyy!❤️
Come state?
Io non vedo l'ora che arrivino le vacanze di Natale, ho proprio bisogno di staccare un po' dallo studio e poter finalmente dedicare alla scrittura il tempo che merita.
Comunque, a questo proposito, cosa mi dite riguardo al capitolo?
So che siete abutuati/e a dei capitoli abbastanza brevi, di solito scrivo intorno alle 2000 parole, ma da questo momento in poi proverò ad allungarli un po'.
Cosa ne dite?
Preferite che i capitoli restino più o meno di questa lunghezza o li volte più lunghi? Fatemelo sapere qui nei commenti, ho bisogno della vostra opinione!!

Ma ora, chiacchieriamo un po'!
Cosa ne pensate di Josh?
Non è uno dei personaggi principali, ma io tengo abbastanza a lui. È come un fratello maggiore per Jane, una figura su cui si può sempre contare, no?
Quindi, non so, sarei curiosa di sapere cosa ne pensate!
Ovviamente rispondo a tutti!
E come ormai sapete bene, potete scrivermi o cercarmi anche su Instagram
@ _moonlygirl_, dove spesso pubblico frasi o aggiornamenti sulle storie.
Detto questo, prometto che ci sentiamo presto con un altro capitolo!
Xoxo.
-Anna❤️

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