Capitolo 15

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Davanti allo specchio, questa mattina, c'è un'Azzurra diversa, un'Azzurra che finalmente si guarda negli occhi, che finalmente trova il coraggio di affrontare se stessa. Rimango a lungo innanzi alla mia immagine riflessa, ora posso farlo, perché so quello che vi troverò all'interno, e non mi fa più paura, e così mi decido, apro il cassettino della specchiera e tiro fuori un ombretto. E' qualcosa di apparentemente insignificante, ma per me completamente nuovo. Oggi inizia la mia nuova vita, e voglio inaugurarla così. C'è chi ha bisogno di cose eclatanti, ma io mi accontento di poco, mi basta poter scegliere di che colore tingerò oggi il mio sguardo sul mondo.

Un tocco di verde su entrambe le palpebre, voglio colorare i miei occhi di speranza, e dopo il rossetto, che mai può mancare. Osservo il mio viso contornato dalla luce, bene, ora sono pronta, c'è una nuova me che mi aspetta.

Lungo il selciato il mio passo sembra quello di sempre, tac-tac tac-tac fanno le mi scarpe col tacco, solo il ritmo, ad ascoltarlo attentamente, è diverso, in un certo qual modo più leggero. 

Le vetrine della mia città mi circondano con i loro mille colori, mi divertono, mi sorridono, ed anch'io sorrido a loro, e a tutti i volti che mi sfiorano, passando. E' una giornata tersa e la vita si muove veloce per le strade, ed io con lei.

Tac-tac tac-tac fanno i miei tacchi, trovando un loro personale accordo con tutti i passi che li accompagnano. Quando arrivo alla piazza, una luce abbagliante mi obbliga a socchiudere gli occhi, mentre le persone attorno a me si muovono come tante silhouette rapide ed indistinte, poi volto la testa a destra, verso la scalinata, ed intravedo una figura seduta, che mi dà le spalle, con dei lunghi capelli neri... la luce è sempre più forte, e poi c'è una voce che mi chiama, una voce che mi sembra di conoscere... "Azzurra! Azzurra! Svegliati!"... qualcuno mi scuote un braccio, mentre la luce si fa sempre più intensa... quando apro gli occhi la prima cosa che vedo è una grossa lampada sopra alla mia testa, e poi ancora quella voce che mi chiama..."Azzurra! Azzurra! Ha riaperto gli occhi!". Lentamente cerco di mettere a fuoco l'immagine che ho di fronte, i capelli biondi e ricci, gli occhiali, le labbra contornate di rossetto... è mia madre, è il volto di mia madre.

Strizzo ancora gli occhi e poi cerco di aprire la bocca, impastata, per chiederle: "Ma cos'è successo? Dove mi trovo?". Lei mi risponde con quel suo tono pacato, lo sguardo tenue e dimesso appoggiato sul mio viso: "Sei in ospedale, Azzurra. Eri a scuola e ti sei sentita male, sei svenuta, allora ti hanno portata qui".

Cerco di ricordare, ma sento solo un gran cerchio alla testa, e poi le immagini cominciano ad accavallarsi tra di loro, e così vedo la lavagna alle mie spalle, i volti attoniti dei miei compagni che mi circondano, il pavimento grigio, duro, freddo sulle mie gambe che improvvisamente cedono, e poi un gran baccano tutto d'intorno, e infine il silenzio, il nero e niente altro.

"Come ti senti, ora?", mi chiede la mamma sottovoce.

"Non lo so, è tutto così confuso...".

Allora si apre la porta della camera, e appare il sorriso di mia sorella, che mi corre incontro gridando: "Che bello, ti sei svegliata!", e mi abbraccia dandomi un bacio sulla guancia. E attraverso quel gesto, in tutta la sua semplicità, mi sembra che gli ingranaggi della mia vita riprendano timidamente a funzionare, ho la sensazione che tutto possa tornare al suo posto, anche se non so come, non so quanto tempo ci vorrà, perché la mia testa è ancora così pesante, e mi sembra di non ricordare nulla, ma so che se mi tengo ben stretta all'abbraccio di mia sorella, ogni cosa riprenderà il suo corso, ed anche questo groviglio che è adesso la mia memoria si dipanerà, ed ogni filo si rimetterà sul suo giusto binario, e così la mia vita... e così anche la mia vita.

Poi, dopo un tempo che non so quantificare, esce dalla mia bocca un suono, quasi come da un movimento involontario, tanto che non sono sicura di essere stata io a pronunciarlo, ma proviene da me, sì, non c'è dubbio, dalla mia bocca, traendo la sua origine da un punto però ancora più profondo.

"Viola?"

Non è solo un suono, è una parola, e ha l'intonazione di una domanda. Mia madre e mia sorella mi guardano fisse per qualche istante, con aria interrogativa, ed anch'io mi sento interdetta, perché non so dire da dove provenga quel nome, da quale luogo dentro di me sia emerso, non so che volto abbia e quali siano le sue sembianze... poi all'improvviso Stella ha come un bagliore nello sguardo, si volta verso il suo zaino, che prima ha appoggiato sulla sedia, e ne estrae una busta bianca, dicendomi: "In accettazione qualcuno ha lasciato questa busta per te. Sul lato del mittente c'è quel nome, Viola. La conosci? E' una tua amica?".

Rimango per qualche momento in silenzio, come stordita... poi lentamente, e con un filo di voce, le rispondo: "Non lo so... mi sembra di non sapere più niente".

Mia sorella allora mi dà un bacio sopra alla testa, e con un sorriso mi sussurra: "Non preoccuparti, piano piano ricorderai tutto". 

Lettere da un'amica che non c'eraWhere stories live. Discover now