INSUSSISTENTE.

505 60 35
                                    

Siamo due tramezzini da crisi epilettica. Tu inciampi sui bordi spessi dei tuoi occhiali, io sputo succhi gastrici di Marlboro e Chesterfield. Siamo spalmati su microplastiche e scorze dure. Non siamo qualcosa che non coincida a due lattine. Benzina, cetriolini sott'olio, letti da sbriciolare e pieni di cimici, amuchina nei polmoni, sedili sudici di una metro, bibite calde come piscio, binari in lavanderia. Hai il retrogusto di un accendino bruciato. La mia maglia sgualcita sa di bici sbucciata. Io ci farei colazione con la tua frangia unta. Ma faccio colazione alle quattro di mattina con un cartone di latte. Non lo cambio, non ne compro uno nuovo. Perché ci hai scritto sopra di volermi mordere. So che lo hai fatto alla tua prima sbronza. Sai che rigurgito l'entropia? Mi faccio una doccia con un surrogato di fame sociale e cibo chimico. Tu, i distributori, li osservi come fossero spilli. Ti caghi sotto. Dai troppo in pasto ai bulli. Siamo uno spazio di accumulo di piatti di plastica e bicchieri di carta. A spanne, posso dire che il tuo essere verginale m'inghiotte. Sei uno sfigato viscerale, ma che me ne fotte.

Sono scivolato nel tuo lavandino pieno fino al bordo di piatti sporchi. Ogni tua cazzo di particella. Jungkook, sei sempre stato un bambino senza passata di pomodoro. Un siluro moscio, senza sete. Con uno strato di dislivello. Sei sempre stato fatto di stronzate, con una cucina disgregata sulla punta della lingua. Io non ne ho mai saputo niente dei tuoi Denim. Ma qualcosa in più, sì, sui tuoi pantaloni larghi. Due euro all'usato. Io, vodka e pizza. Tu, tappi di bottiglie di birra. Con uno spazzolino arancio e smangiato tra i denti, che risalgono l'uno sull'altro, sgraffigno quelli dell'Harbin, dell'Heineken e anche della Skol. Mi spiace, ma ho zero criteri e ciò che so è che anche la mia risata la rubi dal mercatino dell'usato. Sei bello, quando mi chiedi le chiavi della mia macchinetta da supermercato, per cercare i tappi persi tra i sedili sudici della mia auto. Te li ho fregati, Jungkook. Io, scaltro. Tu, spontaneo ed inesperto. Sei bello anche quando mi dici di aver perso quei tappi. Ti manca ricomporre la tua collezione. Pulsi. Sbadato che non sei altro.

Occhi vispi e voraci. Lampione acceso. Sono sempre stato in overdose di te. Rimarrebbe solo il ristagno, se te ne andassi. Manipoli la mia percezione. Sin dal primo momento, sei stato capace di strapparmi i capelli e squarciarmi lo sterno. La tua sprovvedutezza mi stormisce nell'orecchio e sulle gengive. Per non smarrire la tua ossessione verso le cannucce rosse. Le cellule impazziscono, se non usi una cannuccia rossa per bere. Io sono abile, Jungkook. Lo sono meno, quando le tue membra sconsiderate mordono le mie. Perché mi si dilatano le pupille, inizio a pensare a colori, inizio ad essere disinibito. Il senno si disperde e mi spezza il collo. La tua dissennatezza converte il mio sterile sghignazzare, da un soggetto fotosensibile ad una bancarella straripante. Mi hai fatto ridere. Mi fai ridere. Ma qualcosa è cambiato.

Qualcosa è cambiato, perché è subentrata la tribolazione. Io, coi buchi alle orecchie. Io, coi buchi negli organi. Capaci di ingurgitare e rigurgitare l'insussistente. Io e te, divergenti come non mai. Palesiamo un po' più l'esplicito, al posto di dissimulare. Io ascolto la merda che mi rescinde l'orecchio destro. Ma solo quello, perché nel sinistro sono rimpiattate le tue cazzate. Gente che mi sbraita nel sacculo, senza discernimento. Io, che a stento reggo un post-sbronza fatto della tua condensa strozzata. Prendo la scorciatoia delle scusa trite, dietro agli scontrini. Poi, ci faccio un surrogato di fanculo e bile. Sei un impalpabile labbro spaccato. Il mio, è uno sproloquio sfracellato. Tutti i sapori, scarsi in 'sto rapporto, li getti nella passata di pomodoro. Ho lo stomaco sigillato dalla repulsione, scusa. Hai bisogno del tuo spazio. Io, senza alimento, mi spengo. Sai solamente squadrarmi mentre strappo la suola sgualcita e scucita dalle Converse. Sei morboso. Premo i polpastrelli da acido intarsiato, su libri che squarciano lo sterno. Smettila di soppesarmi così, Jungkook. Ti squarcerei lo sterno. Il mio grumo non è pronto per essere criticato da te. La mia è misantropia. Sono spreciso, per te. Esci da questa cazzo di stanza malata. Mi fa schifo togliere i rimasugli di cibo dal lavandino. Mi fa schifo togliere i rimasugli di te, da me.

Sei disordinato, Jungkook. Prova a rimembrare il mercatino dell'usato. Ti piace proprio tanto abbrancare cianfrusaglie e riempire il nostro appartamento disfatto d'esse. Lo hai fatto anche col mio stomaco, dalla bocca strozzata. Ci siamo scoperti dissennati insieme, e siamo finiti malati insieme. Se, prima, la nostra era una sollazzevole partita a solitario in due, ora siamo diventati un impalpabile gioco d'azzardo. Non resta più niente, oltre alle parole sragionate, frutto acerbo del nostro sproloquiare, dietro agli scontrini del pub di tuo zio. Da una centrifuga di scioltezza e spasso, ora beviamo una tazza messicana di repulsione e distacco. Dimmi se ora sei sazio e sfamato, per aver portato scompiglio persino dentro me. 

Una volta, per me, eri jazz nelle strade degli anni '20. Ora non so più cosa tu sia. Mi hai bucato la maglia. Sono sempre in autobus, con te. Jungkook, guarda i cinquanta grammi di pasta scotta che ti sei messo nello zaino Kånken bordeaux. Anche tu sei di fibra sintetica. Non spostare i tuoi cazzo di bulbi oculari da lì. Io, ora scendo a 'sta fermata. Siamo a Daejeon. Non guardarmi mentre scendo dall'autobus, potrei ricommettere la grandissima cazzata di continuare a guidare una bici scassata che non porta più i nostri nomi. Ti ho tolto il sacchetto da secchione. Sei divenuto un parchetto scaduto. Mandami a fanculo o mastica la mia smorfia di strafottenza. Io sono un calzino dalla lana incrostata. Non fare domande. Me ne vado cinque anni in Canada. Non divideremo più lo stesso vagone alla metro. Mi fai afflosciare e cadere le palle. Rompimi meno il cazzo, Jungkook. Scapperò in qualche bar, butterò per terra i tappi di bottiglia che collezioni, tutti quelli che ti ho sgraffignato. E ghignerò, perché lo stronzo sarò io. Sarò io ad essere stronzo, 'sta volta. Ora i soliloqui prima di una sbronza, non li fari più, serrato nell'armadio, con me fuori che batto i pugni per reggerti il collo appoggiato sulle scale della pazzia. Continua a sputare sentenze. È come se mi avessi fatto fare ginnastica con un maglione addosso. Quando hai smesso di stringermi la coscia, hai spiaccicato sull'asfalto il colibrì imbrattato di tempera borgogna, che ero, con te. Ora, non uscire più da questa cazzo di stanza. Esci dalla mia cazzo di vita.

You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: Dec 16, 2020 ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

TRAMEZZINI DA CRISI EPILETTICA.Where stories live. Discover now