忍ぶ

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«[...] Tutto quel che voi vedete, sono io. Avete feste, è il mio riso. Avete solennità pubbliche, è il mio riso. Avete nozze, consacrazioni e incoronazioni, è il mio riso. Avete nascite di principi, è il mio riso. Avete sopra voi il fulmine, è il mio riso. Come resistere all'udir cose simili? Il riso cominciò, questa volta travolgente. Di tutte le lave che escono dalla bocca umana, questo cratere, la più corrosiva è l'iralità. Fare il male allegramente: nessuna folla resiste a tal contagio. Non tutte le esecuzioni han luogo sui patiboli, e gli uomini, quando si trovano riuniti insieme, siano una folla o un'assemblea, hanno sempre in mezzo a loro un carnefice pronto, ed è il sarcasmo. Non v'è supplizio comparabile a quello di un misero ch'è ridicolo. Gwynplaine subiva quel supplizio. L'allegria, su di lui, era lapidazione e mitraglia. Egli era balocco e manichino, testa di turco e bersaglio. Saltavano, gridavano "bis!", si sbellicavan dalle risa. Battevano coi piedi. Si prendevan per la gorgera. A nulla valeva la maestà del luogo, la porpora delle toghe, il pudore degli ermellini, l'in-folio delle parrucche. I lords ridevano, i vescovi ridevano, i giudici ridevano. Il banco dei vecchi era allegro, il banco dei ragazzi si contorceva. [...]
Gwynplaine assisteva alla rovina definitiva del suo destino, causata da uno scoppio di risa. Era l'irrimediabile. Ci si rialza da una caduta, ma non da una polverizzazione. Quella beffa sciocca e pur sovrana lo riduceva in polvere. Ormai non era più possibile far nulla.»

- L'Homme qui rit, Victor Hugo