capitolo 4

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Sulle prime faticò a credere che non fosse una visione, ma qualcosa di reale.

La luce gli illuminava il viso pallido, dai tratti decisi ma perfetti. La sua pelle splendeva come marmo levigato, dandogli un aspetto surreale, quasi etereo, come quello di un angelo. Le sue orecchie, notò Rym, erano leggermente a punta come quelle di un elfo.

I capelli biondi gli ricadevano in morbidi riccioli sulla fronte e sulle guance, a formare una sorta di aureola luminosa.

La coperta porpora gli copriva le gambe fino alla vita, mostrando il petto nudo, ampio e muscoloso, che si alzava e si abbassava regolarmente.

Una mano era poggiata sul ventre, grande e perfetta, priva di calli o graffi, come quelle dei nobili che non avevano bisogno di lavorare.

Davanti a quella vista la sua barriera vacillò e maledisse sé stessa per essere così sciocca da lasciarsi sviare fino a tal punto dall'evidenza, anche se era difficile immaginare quei tratti splendidi deformati nel muso storto e mostruoso del mannaro che l'aveva assalita la notte precedente.

Ma non aveva incontrato altre persone nel castello, eccetto lui, e le impronte portavano proprio fino alla sua camera da letto.

Scosse mestamente la testa.

''Forse dovrei ucciderlo'' pensò. Ma prima ancora di formulare una seconda volta quell'idea, rise di sé stessa: non era un'assassina. Non era mai stata capace di fare del male, pur avendone la possibilità e tutte le ragioni.

Non una ragazza come lei, a cui dispiaceva perfino quando vedeva la cuoca pulire un coniglio o sventrare una gallina.

Ma se l'avesse lasciato in vita, quante altre vittime avrebbe fatto quel mostro?

Le balenò davanti agli occhi l'immagine di Koole, un rumore secco di ossa che si spezzavano.

D'altro canto però, forse quel ragazzo non si rendeva neppure conto di quello che faceva quando si trasformava: non poteva ricordarlo, né tantomeno controllarlo.

Ma questo faceva di lui un innocente, o lo rendeva soltanto meno colpevole?

''E se invece sapesse perfettamente ciò che fa?''

Maestro Vael le aveva insegnato che i mannari, invecchiando, imparavano a controllarsi, a ricordare, a dominare anche la loro figura animalesca, trasformandosi non solo quando la luna piena li chiamava a sé, ma anche ogni volta che lo desideravano.

''Più sono vecchi, più sono forti'' le aveva spiegato.

''La maggior parte di loro impazzisce, perché la bestia che li rode dentro finisce per prendere il controllo così che, anche quando sono in forma umana, restano poco più che animali. Pochi invece riescono a vincerla, a sfruttarla. Ma questo ha il suo prezzo: la maledizione, che la si sfrutti bene o male, vuole essere ripagata''

''Qual è il prezzo per la maledizione del mannaro?'' aveva chiesto lei.

''L'anima, bambina mia'' le aveva risposto il vecchio maestro ''l'anima''.

''Per i mannari non esistono né paradiso né inferno: essi sono condannati a vagare nel nostro mondo come emissari del male, con l'unico scopo di portare dolore e sofferenza, in eterno e senza pace, ad ogni luna piena o perfino ad ogni notte, a seconda di quanto la mente ne sia compromessa. E, più invecchiano, più impazziscono.

Una volta uccisi (e bada bene che vi sono ben pochi modi per farlo) il loro corpo marcisce e si putrefa con innaturale rapidità, ed essi semplicemente, svaniscono, come se fossero le ombre da cui sono stati generati''.

She walks in deathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora