//La Signora Bianca//

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Alla fine, la pagella arrivò e fu molto peggio di quanto mi fossi aspettata. Quattro insufficienze e voti non superiori al sei. Mi avrebbero bocciata quasi sicuramente. Non avevo scampo. Le gambe mi tremavano per la paura mentre ritiravo il foglio maledetto dalle mani del preside di fronte a tutta la classe, pochi istanti dopo il suo inappellabile verdetto. A casa, mi avrebbero come minimo spellata viva. Almeno, avrei dato loro un'occasione per ricordarsi di me.

Il tragitto dal Lungotevere a Largo Argentina mi sembrò maledettamente corto, durante il quale pensai più di una volta di sbarazzarmi definitivamente di quella roba, pur di evitare la sfuriata. Ma non ebbi il coraggio di peggiorare ulteriormente la situazione, no. E così, mi presi tutte le conseguenze senza fiatare. Mia madre scoppiò a piangere senza freno, mentre mio padre si eresse sopra di me in tutta la sua statura, urlando che mi avrebbe spedita a lavorare in seduta stante, rinfacciandomi la mia inettitudine e ingratitudine nei loro confronti, loro che avevano fatto così tanto per me. Io incassai tutto senza battere ciglio, immobile sulla sedia della cucina, fino al verdetto finale, secondo il quale sarei rimasta in punizione per tutte le vacanze di Natale.Mi rintanai in camera mia senza proferire parola, poi, una volta assicuratami di essere completamente sola, scoppiai a piangere senza freno. 

La mattina seguente, il cielo era un unico velo bianco e freddo e una gelida pioggerellina invernale scendeva lenta e inesorabile simile a delle lacrime. Io ero come al solito abbarbicata alla fermata del tram, stringendomi inutilmente negli abiti alla ricerca di un minimo di tepore. Non potevo neppure consolarmi con un po' di buona musica, dal momento che mi avevano sequestrato anche il lettore mp3. La mia pazienza straripò nel momento in cui passò l'ennesimo tram con la scritta FUORI SERVIZIO in bella mostra sul davanti. Dannazione!

Controllai nervosamente l'orologio che avevo al polso

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Controllai nervosamente l'orologio che avevo al polso. Erano già le otto. Era tardi, maledettamente tardi, e non avevo alcuna intenzione di farmi tutta la strada a piedi, non con quel gelo. Molti pendolari se n'erano andati, i più fortunati avevano chiamato un taxi. Stavo già incominciando a disperare, quando una voce educata, ma dal marcato piglio autoritario, mi fece alzare la testa di scatto.

«Serve un passaggio, cara?»

Sollevai lo sguardo e mi ritrovai a incrociare quello della donna più spaventosamente bella che avessi mai visto. Era altissima, più di qualsiasi altra persona alta che conoscevo, e aveva la pelle di un bianco innaturale, di un pallore che non avrei mai giurato di vedere in un essere umano, così simile a quello di un cadavere. I capelli biondo platino erano lunghissimi e pettinati con una cura quasi ossessiva, senza neanche una ciocca fuori posto. Gli occhi celesti erano freddi e penetranti e mi risultò subito impossibile sostenere il suo sguardo di ghiaccio. Il suo corpo slanciato era fasciato da un'elegantissima pelliccia bianca.

«Allora, serve un passaggio?» domandò ancora la donna, lanciandomi un sorriso che non avrei mai saputo interpretare.

«Io, signora, veramente...» mi schermii, completamente a disagio. Non mi piaceva.

The PassageWhere stories live. Discover now