Capitolo 30

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Spesso non ci sono giorni migliori, nella vita di un prigioniero, di quelli in cui apri gli occhi su una mattina che sta per iniziare...e ti accorgi che in gabbia forse non ci sei più.
E ti accorgi...che lo sportello della gabbia è aperto.
Che a te resta solo spiccare il volo.
Ma trovarla quella forza...sbattere le ali per volare...quell'istinto che ti viene da dentro e ti consuma.
Ormai alla loro vita mancava solo quel coraggio, perché l'istinto stava già facendo il resto da solo.
Quella mattina del due luglio, prima dell'alba, ancora sotto un cielo color piombo che rovesciava pioggia in abbondanza come gli uomini disperdevano le loro lacrime, la casa dei gitani era immersa nel silenzio.
Ma la luce dei fulmini e quella del chiarore del primo sole oltre le coltri dei nembi vagava sulla Camargue, fino a raggiungere anche gli occhi più lontani.
Thomas Maximilian Riddle dormiva supino, le lenzuola bianche e delicate annodate sui fianchi, il capo leggermente rivolto verso il basso, a sinistra...dove Angelica Claire King, tornata a vivere, stava sdraiata sul ventre, poggiata sui gomiti, le lunghe gambe piegate che ciondolavano.
Ah, Tom Riddle.
Ah, Principe dei Black...
I lunghi ricci biondi le scivolavano sul viso, sulle spalle.
Gli occhi profondi come un cratere non perdevano un solo centimetro di quella pelle chiara e liscia, ora però affastellata da qualche offesa. Il braccio...la lunga cicatrice sul suo braccio.
La schiena. Qualche segno di lama.
E poi...
Cloe si adagiò sul petto di Tom, proprio sul suo cuore.
Batteva lento, regolare.
Quante pene aveva sopportato, quel cuore...e quando sapeva farla felice.
Sentì la mano calda di Riddle sulla schiena che la carezzava appena prima che lei depositasse un bacio sulla sua pelle, sotto la clavicola.
Lui aprì finalmente le palpebre. Un lampo dal cielo quasi brillò nelle sue iridi blu.
- Ma tu sei un sogno...o sei vera?- lo sentì sussurrare, intanto che la sua mano risaliva alla sua nuca.
Cloe riuscì a sorridere.
Aveva scordato di essere ancora in grado di farlo.
- E tu...- si avvicinò, poggiando il mento alla sua spalla - Tu sei vero...o sei un sogno?-
La domanda giusta era...se tutto quello che avevano vissuto quella notte era vero.
Come si descrive l'abisso in cui si cade, quando si sa di non avere speranza...e poi quella mano che ci viene tesa e ci salva, riportandoci in vetta?
Cos'era l'amore...se non quello? Se non ...alchimia dei corpi e dello spirito?
Se non quel sentimento che ti fa sentire un gigante, che ti porta in cima a montagne e ti fa guardare tutti gli altri in basso come formiche, elevandoti a un dio?
Cos'era il loro amore se una corona e un trono...e uno scettro?
E cos'era la gioia se non vedere Claire King, nuda, abbracciata a lui, a guardarlo con una tale passione nello sguardo da far tremare anche il più ardito degli spiriti?
Un bacio e poi un altro ancora.
Tutto come in passato.
Eppure tutto era diverso.
Quella notte, dopo che era tornato da lei e si erano trovati abbracciati per terra, erano state dette cose inutili e fondamentali. Cose già sapute...e altre che ancora avrebbero dovuto trovare la loro verità.
Ma poi non era più stato solo sesso.
Era stata la scoperta di quella notte di otto anni prima, a Hogwarts, quando due maghi avevano trovato la magia vera nella loro fusione.
Troppo doloroso per essere ricordato.
E troppo dannatamente bello per essere scordato.
Niente aveva più avuto un senso, se non svegliarsi ed avere lei a fianco.
Un bacio a fior di labbra, poi lei si staccò leggermente.
Tornò a poggiarsi sul gomito. Sembrava adorare fissarlo.
E forse l'aveva fatto anche in passato, solo che Tom non se n'era mai accorto.
Si passò quasi a difesa una mano sulla faccia.
Era a pezzi, viste le poche ore di sonno, la perdita di sangue e della pioggia presa.
- Sembro un vampiro immagino.-
Cloe piegò la bocca, piena di malizia.
- Sembri solo l'uomo dei miei sogni.-
Riddle rise, incurvandosi leggermente al contempo a causa di una fitta alla schiena.
- Quel Lazzaro dannato non fa un accidenti.- sibilò, masticando un'imprecazione.
- Io mi sento una favola. E dire che credevo di essermi presa la febbre dopo tutta quella pioggia.-
- Sai cosa dico io?- Tom si levò la mano dalla schiena, vendendola macchiata di sangue - Cazzo, ecco cosa dico.-
La King per tutta risposta passò il palmo là dove le lenzuola si erano chiazzate di rosso, facendo sparire gli aloni all'istante. Poi gli mise sotto il fianco un piccolo guanciale d'angolo, sottile da non infastidire Riddle, che sembrò rilassarsi.
- Meglio?- sussurrò la bionda, sempre sopra di lui.
- Molto meglio.- le garantì, ricevendo in premio un bacio che presto divenne una vera e propria premessa. Lasciò che gestisse il gioco per poco, sorridendo contro le sue labbra, ma ribaltò le posizioni e la schiacciò sul materasso, un braccio sopra la sua testa, l'altro sotto la sua nuca.
Fu lei a ridere, cingendogli il fianco indenne dalla furia del fato col ginocchio ripiegato, per intrappolarlo.
- Lo sapevo che sotto sotto eri un esserino libidinoso.-
Riddle ghignò, scostando la bocca quando la sua dea bionda cercò di mordergli scherzosamente il labbro inferiore, con un piacevole invito.
- E' tardi.- sussurrò.
- Non pensare neanche a squagliartela.- lo avvisò, facendosi semi seria.
- Sono quasi le sei. Dobbiamo andare.-
Già.
Dovevano andare.
Cloe socchiuse le palpebre. Rimase sotto di lui, ma rovesciò il capo all'indietro, sui cuscini.
La magia...stava finendo.
- Si. Dobbiamo andare.-
Si alzò, sgusciando da lui e dopo fu solo un susseguirsi di azioni meccaniche.
Rivestirsi, rifare il letto, sistemare le lenzuola.
L'acqua che bolliva, il tintinnare delle tazze. Il silenzio.
Le teste chine, gli occhi che sfuggivano gli uni dagli altri.
Nessuna promessa.
Nessuna parola.
Fino a quando un tuono sulle loro teste riuscì a destare i tetri pensieri di Riddle.
Presagio.
Era stato lui a creare quella tempesta, il giorno prima. E lui l'aveva fatta cessare, quella notte stessa.
Ma quel tuono...no, quel tuono non era opera sua.
E certi segnali vanno letti, capiti. Mai ignorati.
Cloe posò la tazza, quasi di botto, quando Vlad apparve in quella casa.
- C'è un problema.- disse solamente, fissando Tom negli occhi.
E questa volta la fonte di quel problema era insormontabile come la montagna più impervia.


Damon Michael Howthorne aprì gli occhi su una stanza vuota.
Nera.
Niente pareti, niente soffitto. Una sola sedia bianca, in mezzo a un cubo nero.
Un sogno. Una premonizione.
Si aggirò lì attorno, senza avvertire un suono o un sospiro.
E poi...si volse, nell'esatto momento in cui si girò anche qualcun altro.
Due occhi celesti. Capelli quasi biondi.
Un ragazzo. Poco più giovane di lui.
Aveva un sopracciglio, quello destro, spezzato. Una piccola cicatrice lo frammentava.
Aveva un'aria dannatamente famigliare.
Lo scrutò per un istante, ma quando aprì la bocca non ne uscì un suono.
E così le pareti nere si coprirono di scritte. Parole, tante parole. Bianche e rosse.
Nomi. Frasi intere. Tutte senza senso.
"Damon...Damon, svegliati."
Qualcosa infastidì la sua visione, tanto che le immagini cominciarono a impallidire. Le parole sulle pareti svanirono, il ragazzo però allungò la mano verso di lui. Voleva qualcosa. Sembrava...lo conoscesse.
Che diavolo di sogno era? Non era...una premonizione di morte.
Il Legimors si destò di colpo, balzando a sedere nel letto. Era a casa sua.
Era l'alba.
Angosciato, si passò una mano sul viso e poi la carezza delicata di Nora gli fece accapponare la pelle.
"Ciao." Nora, trasparente ed eterea si sedette accanto a lui, scrutandolo "Un incubo?"
- Dove sei stata?- le chiese, senza risponderle.
La Moore piegò la bocca in un tiepido e quanto mai amaro sorriso "A casa mia."
- Come stanno i tuoi?-
Lei abbassò la testa "Male."
- Cos'hai deciso?-
"Non me ne vado finché tutto questo non avrà fine."
- D'accordo.-
Damon non aveva la forza di parlare. A dire il vero non riusciva neanche a stare seduto. Posò solo il palmo alla sua sinistra. Neely si era alzata da poco. Le lenzuola erano tiepide.
"Lei è in cucina." gli sussurrò Nora, sporgendosi a baciargli la fronte "Ora torno a casa. Ci vediamo stanotte."
Sparì senza aggiungere una sola parola e così anche lui si mise in piedi. Indossò solo un paio di jeans sopra la maglietta che usava per dormire, aprendo le tende con un gesto della mano.
Il sole era fioco, pallido.
Sembrava languisse.
La trovò in cucina, seduta al bancone di marmo. Fissava una tazza vuota, che emanava ancora un intenso odore di timo.
La Montgomery lo salutò appena, perché il sorriso le gelò sulle labbra quando lui apparve di fronte a lei.
Si sedette, fece per accendersi una sigaretta, ma poi l'accantonò col pacchetto intero.
Occhi negli occhi, Damon scrutò la tazza, poi tornò a fissare la strega.
- Quando pensavi di dirmelo?- le chiese, con voce spezzata.
Neely deglutì. Si girò la tazza fra le dita, inspirando forte.
Era troppo difficile.
- Non volevo dirtelo prima del tempo.-
- Perché?-
- Mia madre...- la strega sembrò mancare di coraggio -...intendo, nella mia famiglia...bhè, mia madre è rimasta incinta due volte prima che nascessi io. Le sue prime gravidanze sono finite male. Per me, è restata a letto quasi tutti i nove mesi.-
- Di quanto sei?-
- Due mesi e tre settimane.-
- Non me ne sono accorto.-
- Prendo delle Pasticche Anti-Vomitose e al San Mungo mi hanno dato delle pozioni per controllare il peso e le energie.- Neely deglutì ancora, passandosi una mano fra i lunghi capelli, scostandosi la frangia dalla fronte - Ma il rischio permane. Se cominciassi a sentirmi male dovrei mettermi a letto...e non c'è garanzia che io porti a termine la gravidanza.-
Era incinta.
Damon serrò i pugni, infilati nelle tasche dei jeans. Dio.
- Hai visto qualcosa?- sussurrò la strega.
- Ho sognato.-
- Lui?...Lei?-
- Lui.-
- E...- la vide chiudersi le mani al petto, ansiosa - Era...Era vivo?-
- Si.-
Si, era vivo. Lo sarebbe stato.
Prolungò una mano sul bancone. Afferrò forte quella di Neely.
E la strinse tanto che gli parve di rivedere quel sogno.



Nuova Zelanda.
Residenza Harkansky.
Casa dei giganti, che stava per essere profanata da un insetto.
Casa degli dei. Macchiata da una formica.
Il suo nemico stava oltre quei portoni, oltre quelle mura scure e affilate, sormontate da statue che lo fissavano con aria riprovevole. Nell'immenso ingresso erboso erano presenti un po' ovunque tracce di vita, se solo si stava a guardare.
Serre, gazebi di vetro e cristallo che resistevano allo scorrere del tempo come chiunque in quel palazzo.
L'ingresso era composto da una scalinata sorretta da due leoni di marmo bianco.
Uno semi sdraiato, come dormiente.
L'altro a fauci spalancate.
Tristan Nathan Mckay percepì l'esatta sensazione della falce sul collo quando varcò quella soglia.
Per entrare in quella di...una sorta di ovattato mondo onirico.
Voci...voci ovunque. Provenivano da ogni angolo, oltre ogni tenda, oltre ogni parete, superficie.
Come se i muri fossero stati fatti di vetro.
Il pavimento era lucido. Si rispecchiava. Ma i suoi occhi...apparivano privi di vita.
Come quelli di Cameron, che gli camminava a fianco.
E come quelli della sua donna, che aveva insistito per accompagnarli.
Tristan, quando lei era apparsa, per un attimo aveva avuto l'impressione che Caesar avesse voluto saperla dovunque tranne che in quel luogo.
Le superfici, oltre a quella del pavimento sempre più nero come il petrolio, erano cubiche ma prive di spigoli.
Insieme alle voci che udiva il mago, vedeva muoversi nell'ombra sagome pallide e compatte.
Erano piccole statue, sparse qua e là, senza un apparente filo logico.
Su un cubo di metallo satinato, vide le Tre Grazie muovere le braccia verso di lui. Come per invitarlo.
- Non guardarle.-
La voce di Denise lo raggiunse prima che ne rimasse incantato.
Sbatté le palpebre, proprio ringraziando il pensiero di Lucilla. Gli era tornata alla mente e al cuore per salvarlo.
Ancora una volta.
Sollevò la mano sinistra, continuando a camminare.
La sua fede. La fede d'oro che gli aveva donato Lucilla.
Poteva sintetizzare tutto. Tutto il suo mondo e il loro rapporto.
Lei era bastata a se stessa e agli altri per troppo tempo. Aveva salvato tutti, più e più di una volta.
Ma non era mai riuscita a salvare se stessa.
Era questa la verità.
Incredibile come la sua voce, ora che dormiva, riuscisse a sembrargli così vicina.
Riusciva a sentirla cantare...riusciva a sentirla lì, alle sue spalle.
Che lo abbracciava.
E poi...la musica.
Tristan si scosse, sentendo l'avvicinarsi di una musica che scivolava nell'aria come un ventaglio di piume.
Era...gotica. Si, mescolata al suono antico di violini e liuti.
Non colse il cambiamento dello spazio, e come avrebbe potuto un misero umano?, quando varcarono l'ingresso di un salone immenso, sormontato d'arcate e da grandi soffitti affrescati.
Battaglie. E balli.
Guerra e delizie.
Strano accostamento.
Ma per un demone che differenza avrebbe potuto fare?
Era in atto un ballo.
Un ballo in maschera.
Abiti di seta e shantung, di raso e satin.
Maschere d'oro, perle e piume.
Demoni. Demoni ovunque.
E i loro occhi bianchi che dormivano, celati dalle maschere.
Più passavano fra loro però, più Tristan vedeva sbattere ciglia e finalmente qualcosa, la curiosità, animarsi in loro.
Un umano.
Un umano fra tutti loro.
I ventagli venivano agitati nervosamente a ogni loro passo.
Bisbigli.
Teste che si chinavano. E risate.
C'erano delle gabbie sopra di loro.
E demoni impuri smettevano di canticchiare e fischiare come rari uccelli. Anche loro per osservarlo.
Su mezze colonne cubiche, giullari in preziosi abiti argentati e dorati, s'inginocchiavano e puntavano le dita.
Muti come mimi.
Le loro maschere bianche, chiazzate di rosso e blu, gli ricordavano quella di Mezzafaccia.
L'antro del diavolo.
Si, non era finito in altro posto che all'inferno.
Eppure anche quegli dei, così grandi nella loro supponente arroganza, non osavano parlare apertamente.
Nessuno osava farlo.
Perché Caesar Cameron gli camminava a fianco.
Forse pensavano che non meritava un simile trattamento.
Oppure pensavano...a quel singolare accostamento.
Già. Ma anche quando Denise lo prese sotto braccio, con un gesto del tutto semplice e fluido, molte demoni si portarono i ventagli alle bocche pallide e tinte con pesanti e lucide tonalità. Per mascherare la morte.
Per mascherare la mancanza di sentimenti.
Giullari, valletti, danzatrici solo coperte di veli di seta...anche loro sembravano sconvolti.
Poi, oltre tutte quelle teste millenarie, Tristan vide qualcosa che...non aveva mai neanche sognato.
Una colonna. Di cristallo.
Ricolma di un vortice di luce e scintille.
Era lì attorno che tutto si svolgeva.
Neanche osava immaginare cosa fosse.
Ma quello...si, quello era il vero mondo di Lucilla.
Maschere, silenzi, bisbigli, potenza.
Il sussurro appena accennato del tempo, la forza più grande nel mondo umano.
E la più debole dell'esistenza demoniaca.
Solo in quel momento davvero capì.
Solo in quel momento...vide quanto tutto fosse...sbagliato, ingiusto. Duro, spinoso.
Per lui, per Lucilla.
Specialmente per Lucilla.
Fermò la sua avanza solo alla leggera pressione sul braccio, da parte di Denise.
La guardò con la coda dell'occhio, ma lei e il suo profilo restarono perfetti come quelli scolpiti in una moneta.
Voltandosi, trovò finalmente ciò che cercava.
E chi aveva tanto distrutto la sua vita con una semplice pozione soporifera.
Horus Harkansky.
Eccolo.
Uguale alla prima volta che l'aveva visto.
Un uomo imponente, che trasudava padronanza col suo sguardo.
I capelli cortissimi, le mani grandi che tenevano con noncuranza un calice d'oro dalla coppa bassa e larga.
La tunica nera lo rendeva quasi spettrale.
Quella che stava accanto a lui invece doveva essere sua moglie. Bionda, con lunghi capelli e fiori accanto all'orecchio destro, in boccio. Notò altri Harkansky, tutti portavano gioielli col loro blasone, un giglio trafitto da una spada nera.
Non c'era Winyfred ma Tristan si avvide di due demoni d'aspetto anziano che avevano discusso con Horus, almeno finché non erano apparsi loro.
Per un attimo il silenzio in quel salone titanico, dapprima ricolmo di musica e risate sottili, si fece tossico.
Pestilenziale.
Shalymar, la moglie di Horus, socchiuse la bocca, letteralmente sgomenta.
- E' successo qualcosa a Lucilla?- fu la prima cosa che chiese.
Un ghigno sarebbe salito alle labbra di Tristan se quella donna non gli fosse apparsa del tutto inconsapevole.
E se Horus non avesse abbassato appena le palpebre.
Ma non era il senso di colpa. No.
Era la stizza di averlo in casa.
- Che diavolo succede?- chiese uno dei due vecchi Harkansky, quello con una lunga barba incolta.
- Caesar.- parlò finalmente Horus, posando la coppa d'oro su un vassoio che fluttuava fra lui e i suoi parenti - E' un piacere averti qui. Credevo disertassi ogni festa, ma mi devo essere sbagliato. Il matrimonio ti ha reso di compagnia.-
Cameron stava per aprire bocca, quando una mano salda lo fermò, dandogli una pacca sulla spalla.
Era Demetrius.
Si era Smaterializzato lì accanto, giusto in tempo per i fuochi d'artificio.
- Abbiamo scordato l'invito, perdonaci Horus.- disse Demetrius, senza levare la mano dalla spalla di Caesar.
- Nessun problema.- abbozzò Shalymar Harkansky, sempre più confusa - Siete i benvenuti.-
- Peccato non siamo venuti qua per danzare.- continuò Demetrius, scoccando uno sguardo al padrone di casa - E non mi sembri neanche troppo stupito di vederci, Horus. Sbaglio forse?-
- Stupito non è la parola esatta.- replicò Horus, levando il mento e trapassando Tristan con un'occhiata astiosa - Sono solo perplesso nel vedervi in una compagnia...in una compagnia così insolita.- si corresse, piegando appena la bocca - Immagino che il signor Mckay non gradirà una coppa di Ambrosia.-
- Sai cosa gradirei io Horus?- sibilò Caesar a quel punto, senza che Demetrius riuscisse a fermarlo - La tua testa in quella coppa.-
Si scatenò un tale scalpore fra i demoni che Tristan ne rimase allibito quando li vide agitarsi. Incredibile. Erano anche in grado di eccitarsi o mostrarsi seriamente indignati.
Eppure alcuni maschi, evidentemente ancora giovani, parvero eccitarsi alla cosa, tanto che un distinto gruppo di loro batté le mani, per incoraggiarli.
- Cameron.- Horus assottigliò i lineamenti, come un felino pronto all'attacco - Non tollero questo tono in casa mia.-
- Me ne sbatto di te e della tua casa.- ringhiò Caesar per tutta risposta, mentre Tristan si copriva gli occhi con una mano.
- Si può sapere cos'è accaduto?- s'intromise uno dei due anziani, quello con la barba più corta e decisamente ben curata - Nipote, che succede?-
- Che succede?- disse allora Demetrius, allibendo Tristan - Suo nipote Horus ha addormentato Lucilla, Julian. Ha presente la figlia di sua figlia? Ecco. Lucilla.-
Mckay parve sconvolto. Quello...quello era il nonno di Lucilla?
Il demone era altrettanto basito, tanto che Horus si prese occhiate di stucco da tutti i parenti.
Sua moglie Shalymar poi si staccò da lui, a occhi sgranati.
- Cosa? Cos'hai fatto a Lucilla?-
- Se Degona fosse qui ti avrebbe già tagliato la testa di netto.- sibilò Caesar.
- Mia cugina non c'è, Cameron.- rispose Horus, senza mostrare segni di cedimento neanche di fronte ai suoi altolocati parenti - Non so se l'hai notato, ma è morta. Da tanto tempo ormai. E ti ricordi perché?-
- Non è successo perché ha sposato un umano.- disse Demetrius.
- No? Allora si è suicidata per quale motivo? Per amore di un mortale, si, e non fare finta di nulla, Caesar. E' morta per un uomo...per un...- fissò Tristan, spuntando quasi le seguenti parole -...per un misero insetto che non era degno neanche di tenerle l'orlo dell'abito.-
- Ciò che un uomo crede e ciò di cui ha bisogno una donna sono due cose molto differenti, Horus.- sussurrò allora Denise, senza staccarsi da Tristan - Ma tu questo non lo puoi sapere, visto che hai addormentato Lucilla e ora lei non può più dimostrarti quanto sei idiota.-
Bene, ora era incazzato.
La sala vibrò leggermente, quel tanto che bastava per far capire che stavano tirando la corda.
Ma a quanto pare non fregava proprio a nessuno, almeno non finché Tristan si staccò dolcemente dalla moglie di Caesar e fece un passo avanti. Non mostrò paura e non accennò al minimo segno di rispetto.
Ma fu comunque la cortesia a placare Horus, padrone della sua stessa casa.
- Vorrei parlarle in privato.-
- Perché?- sibilò Harkansky.
- Ma chi è questo umano?- chiese Julian Harkansky, il nonno di Lucilla e il padre di Degona.
- Il marito di sua nipote.- rispose Mckay, senza staccare lo sguardo da quello di Horus - Sono qua per parlare. Mi bastano pochi minuti.-
- Già, il tempo vola per gli umani.- commentò acidamente Horus.
- Spero avrai una buona spiegazione per quello che hai fatto a Lucilla.- disse improvvisamente Julian Harkansky, dando loro le spalle - Ne riparleremo nipote.-
- Come desideri, zio.- Horus si strinse nelle spalle, incurante - Prego, signor Mckay. Da questa parte.-
- E non verrà da solo.- lo bloccò Denise, sollevando i lembi dell'abito - Non per non darti fiducia Horus, ma vorrei evitare che si dimenticasse improvvisamente del perché è qui. O magari anche il suo stesso nome.-
- Caesar, frena la lingua di tua moglie.-
- La moglie di Caesar non prende ordini da suo marito.- gli chiarì Denise, gelida.
Al contempo sul volto di Cameron balenò un ghigno.
Ah, povero Horus.
Non aveva mai capito un cazzo di donne.
- Bene.- sbottò il padrone di casa, sprizzando fulmini e saette da tutti i pori - Staremo comodi lontano da occhi indiscreti. Demetrius vuoi venire anche tu? Nel caso faccia scordare ai tuoi amici il perché hanno dimenticato il loro orgoglio e l'hanno seppellito mescolandosi con gli umani.-
- Che scortesia.- commentò un giovane demone, ridacchiando, poco lontano.
- Pensa ai cazzi tuoi, Ivan.- borbottò Demetrius, facendo un gestaccio al tizio biondo con una spada enorme attaccata alla cinta che aveva appena ridacchiato. Aveva un'aria vagamente famigliare e un accento russo che ricordava dannatamente una certa persona.
Si, Vlad sarebbe stato comodo in un momento simile.
E suo cugino Ivan, un Agitatore di masse e caos, di certo non sarebbe stato d'aiuto.
Di nuovo lo spazio cambiò attorno a loro.
A Tristan sembrò di non aver mosso un passo, quando si ritrovò in una stanzetta dalla forma circolare.
Un lucernario illuminava tutto quanto, dal basso tavolino di ardesia nera, alla libreria che tappezzava l'intera parete tonda di quella assurda stanza piena di oggetti di cristallo.
Sopra di loro, attraverso il lucernario, un enorme telescopio di rame.
- Perfetto.- Horus si sedette in poltrona, con evidente sfregio, congiungendo le dita.
Pareva un esaminatore.
Ma quello non era un esame, pensò Tristan.
- Cosa pensava di ottenere, venendo qua signor Mckay?-
Bastardo.
Verme.
- Cosa pensavi di ottenere facendoci incazzare a morte, Horus?- lo rimbeccò Demetrius, pacato.
- Voi cosa centrate?- chiese Horus, quasi maligno - Pensate alle vostre grane, ne avete più che a sufficienza mi pare.-
- Tu ne hai guadagnata uno in più ora.- replicò Cameron, sedendosi davanti a lui - Perché Dio solo sa come mi trattiene dal tagliarti la testa e farla rotolare per terra come una mela matura.-
- Il fatto che sono tanto più forte di te, per esempio?-
Gli occhi bianchi di Caesar divennero più densi.
- Peccato che possa convincerti a fare quello che voglio.-
- Ma non lo farai, vero?- insinuò Horus, senza fare una piega - Il Diacono potrebbe ritenerti inadatto alla custodia della tua coraggiosa moglie minorenne.-
- Senti tu...- Caesar era già balzato in piedi, pronto a qualsiasi cosa, ma fortunatamente Tristan si frappose fra lui e Harkansky, mettendo un braccio per traverso a separarli.
- Con tutto il rispetto ai vostri problemi famigliari, non sono venuto qua per discutere di questo.-
Horus si fece apparire nel palmo la coppa di prima, dondolandosela fra le dita.
- Lo immagino bene.- commentò, sarcastico - Mi dica, cosa posso fare per lei?-
- Lo sa bene perché sono qui.- replicò Tristan, mantenendo una calma storica che faceva ora difetto a Caesar e Demetrius.
- Piantala di gingillarti.- sibilò infatti Cameron - Potrebbe non andarti sempre così bene.-
- Se non sbaglio io e te siamo sempre andati d'accordo.-
- Finché non hai toccato Lucilla.- Caesar si avvicinò ancora, andando a toccare col torace il braccio proteso di Mckay, ancora frapposto fra loro - Che cazzo t'è saltato in testa?-
- L'avevi già minacciata, presumo.- s'intromise Demetrius - Non mi sembri uno che attacca senza motivo. Cosa ti ha fatto di male?-
- Lucilla non mi ha fatto nulla.- rispose il padrona di casa, sollevando appena le iridi albine su Tristan, negando ciò che aveva appena detto - Ma...ho ritenuto necessario occuparmi della sua situazione. Lucilla si è rifiutata di ascoltare...dei buoni consigli.-
- Che immagino riguardassero me, esatto?- concluse Mckay.
- Esatto.- Horus annuì - Non ho niente contro di lei, chiariamoci.-
- Mi permetta di non crederle.-
Horus allora posò il calice fra le dita di una statua, animatasi apposta per servirlo.
- Immagino che lei sia venuto qui credendo nei benefici della sua fede, esatto?-
- Se intende il mio anello...-
Horus sorrise, pieno di compatimento - Si, intendo proprio quello. Quell'anello demoniaco che però non emana alcuna energia negativa. Gliel'ha regalato Lucilla presumo.-
- Si. E allora?-
- E' dotato di un enorme potere. La proteggerebbe anche da me, forse.-
- Ha intenzione di uccidermi?-
- Se l'avessi voluta morta, sarebbe già sotto terra da un pezzo.-
- Quindi quando Lucilla si è rifiutata di lasciarmi lei...- stavolta furono gli occhi di Tristan a lampeggiare, alterigia, sprezzo, compassione e rabbia allo stato puro -...ha aspettato come un vigliacco il momento opportuno. Ha atteso che avesse abbassato le difese e le è strisciato alle spalle come un serpente. Perché è così che l'ha sconfitta, giusto? Solo attaccandola alle spalle.-
Tristan aveva toccato il tasto giusto.
I lineamenti e il profilo di Harkansky si fecero rigidi, quasi pietrificati.
Si, aveva atteso che in lei tutto avesse ceduto.
Per un mese intero, dopo il loro ultimo colloquio, non aveva fatto che spiarla.
E aveva aspettato, aspettato. Restando acquattato nel buio come un felino, in attesa nel momento propizio che era arrivato. Dopo quella lite furibonda avuta con quelle insignificanti umane che lei avrebbe potuto schiacciare con uno sguardo, era apparso. E lei, la sua grande cugina, neanche se n'era accorta.
Ah, se solo Degona fosse stata ancora viva.
Mai e poi mai avrebbe permesso a sua figlia di ridursi in un tale stato.
Lucilla si era sentita talmente debole che neanche si era accorta di lui. Almeno fino a quando non era stato tardi.
- Sei bravo a strisciare alle spalle dei tuoi parenti.- sibilò Caesar.
- Non farmi la predica. Non tu.- ruggì quasi Horus, furente - Tu che l'hai tenuta prigioniera per quattro anni!-
- Avesse aspettato voi, durante la mutazione a demone puro sarebbe morta!-
- Ok, adesso ne ho abbastanza!- tuonò Tristan, spaventando la statua che lasciò cadere la coppa d'oro.
Ci fu un tintinnio sinistro e la fede del mago s'illuminò pericolosamente, lanciando scintille.
- Non osi.- minacciò Horus, alzandosi in tutta la sua imponenza - Non osi qui in casa mia! Il potere di Lucilla non la proteggerà ancora a lungo. Non fosse stato per lei...e quell'uomo...Lord Lancaster... a quest'ora mia cugina sarebbe ancora viva! Voi umani siete stati la rovina di questa famiglia!-
- Che cosa vuole?- gli chiese Tristan, senza farsi intimidire.
- Come sarebbe?- ringhiò Harkansky fra i denti.
- Hai capito.-
Mckay sollevò il mento, levando la mano dalla bacchetta.
- Ho capito che il problema è la mia mortalità. Me l'ha spiegato ora chiaramente. C'è una remota possibilità che lei spezzi il suo incantesimo su Lucilla se io...-
- Se lei diventasse immortale?- Horus fece una risata priva di divertimento - E come?-
- In casa mia è presente una fonte di Acqua di Lazzaro.- spiegò Tristan - Sono già sotto i suoi effetti e non invecchierò mai. Le sembra abbastanza?-
- Il Lazzaro le impedisce d'invecchiare e di ferirsi gravemente, ma questo non la rende immortale.- sogghignò Horus, tornando a sedersi - Sa, mi stupisce un simile atto di coraggio.-
- Ti prendessi la briga di verificare le cose, forse non ti stupiresti tanto.- lo rimbeccò Demetrius.
- Oh, per cortesia.- il padrone di casa agitò la mano, come per scacciare un fastidioso insetto ronzante - Ne ho basta di sentire il vostro sarcasmo di bassa lega, come ne avevo basta di lasciare le mie parenti alla mercé degli umani.- e fissò Denise, prima che lei pensasse anche solo di sputargli in faccia - So come la pensi e nel tuo caso, sono completamente dalla tua parte. Ma la situazione di Lucilla è molto diversa dalla tua.-
- Non vedo la differenza.- rispose la ladra spirituale, gelida - Entrambe abbiamo dovuto sottostare ai capricci di un uomo.-
- Se vogliamo stare a cavillare, Lucilla sarebbe minorenne.-
- Lucilla ha una figlia e più cervello di tutta la vostra infame famiglia messa insieme.- sbottò Tristan, sentendo l'energia scorrergli sotto la pelle, tesa come il cuoio - Se si fosse fatto gli stramaledetti affari suoi a quest'ora lei starebbe bene! Ora invece dormirà per cent'anni, tanto che quando si sveglierà anche nostra figlia sarà morta!-
- E vedrai se non sarà l'inferno in terra, se accadrà davvero.- concluse Caesar.
- Il fatto che Lucilla abbia avuto la meglio su di te, non significa che possa sconfiggere anche me.- replicò Horus, tornando a rivolgersi a Tristan - E così, mi permetta di tornare al discorso di prima, lei sarebbe disposto eventualmente a utilizzare il Lazzaro, giusto?-
- Se è questo che ci vuole...-
- Ma è allucinante, perché tu non hai il diritto di fare una cosa del genere!- urlò Caesar - Cristo Horus, dovessi andare a rivolgermi al Diacono in persona, ti farò spezzare questo fottuto incantesimo!-
- Non puoi. Lucilla è minorenne e i suoi tutori sono morti.-
- E a rigor di logica, sono i suoi parenti più prossimi ad avere la patria potestà su di lei.- sogghignò Demetrius, tetramente - Perciò Julian e sua moglie Arcadia, i nonni materni.-
- S'è visto quanto s'è interessato mio zio Julian.- scosse il capo Horus - No, Lucilla è affar mio, fino a quando i miei zii non ci metteranno becco. E visto che non intendo lasciare mia cugina a questo umano, la discussione si conclude qua.-
- Qua non si conclude un cazzo!-
Cameron aveva perso la pazienza.
Erano già state sguainate le spade e la fede d'oro che Tristan aveva al dito...sembrava bruciare.
Lucilla.
Non l'avrebbe rivista più sorridere...mai più avrebbe sentito la sua voce...
Così l'immortalità rispetto a un suo sorriso?
- C'è un altro modo per ottenere l'immortalità?-
I demoni, che si erano scatenati in un'accesa lite già pronti a usare spade e poteri, si fermarono.
Tutti e quattro si voltarono verso di lui.
E Caesar, che tutto sentiva e percepiva, quasi allargò gli occhi.
- Cosa?- alitò Horus, alzando le sopracciglia - Cos'ha detto?-
- C'è un altro modo per ottenere l'immortalità?- richiese Mckay, sentendo una voce diversa dalla sua che gli usciva dalle labbra insieme al fiato.
- Vuoi...- Horus passò al tu, troppo coinvolto - Vuoi diventare immortale?-
- Se lo divento, libererai Lucilla?- gli richiese il mago, usando lo stesso tono.
- Bhè...si, direi di si.- ribatté Harkansky, letteralmente sgomento di fronte a una tale proposta da parte di un mortale - Io voglio solo che non si uccida, dopo la tua morte. Ma se otterrai la vita eterna, allora la libererò dal mio incantesimo.-
Silenzio.
Caesar ebbe la netta sensazione che Lucilla, in una situazione simile, se avesse sentito e visto l'espressione di suo marito, avrebbe urlato.
- Perfetto.- gli occhi verdi di Mckay brillarono - Come divento immortale?-


Jess Mckay imprecò, rovesciando del whisky incendiario fuori dal bicchiere.
- Cazzo.-
- Ti vuoi calmare?- bofonchiò Tanatos, seduto in poltrona nel salone di Cedar House.
- E tu vuoi finirla di dirmelo?- ringhiò Jess, inferocito - Tuo figlio fa solo stronzate, solo stronzate!-
- Parli di Tristan?-
Il suo primogenito lo guardò ancora più nero, con una vera nube sul capo.
Aveva voglio di spaccare qualcosa dannazione.
Mandò giù il bicchiere di whisky, proprio quando alcuni passo veloci si fecero sentire sullo scalone.
Entrambi i Mckay si sporsero, vedendo William nell'ingresso.
- Oh, eccolo.- Tanatos fece un ghigno diabolico - Ehi, ragazzo. Dov'eri?-
William entrò, indicando col pollice le sue spalle - Da Dena, in camera sua...-
Gelo.
Jess e il signor Mckay, diabolici quando volevano, avevano due fanali al posto degli occhi.
- Ah si?- riecheggiò Tanatos - E che facevi con mia nipote?-
- Ah...ecco...- il giovane Crenshaw si umettò le labbra - Io...noi...cioè...-
- Voi cosa?- lo incalzò anche Jess.
- Sai ragazzo, ti ho mai raccontato di quel demone con sei braccia che girava attorno a mia nipote?- Tanatos si accese un sigaro, soffiando fuori una nuvola di fumo pestilenziale - Tu di braccia ne hai solo due, vero?-
- Si, due signore.- William fece un sorriso sghembo, tremulo, alzando le mani.
- Bravo. Tienile bene in vista.-
- Certo signore.-
Dopo di che Jess e suo padre si scambiarono uno sguardo e... a scoppiarono a ridere come dannati, piegandosi sul divano mentre il povero William li malediva fra i denti. Diavolo, ogni volta ci cascava sempre.
- Si, si...molto divertente.- mugugnò, acido.
- J.J. Baley non ci casca mai, figliolo.- rise Tanatos, tossendo fumo contemporaneamente.
- Ah si? Baley viene qua?- rognò il mezzo demone.
- Si, ogni tanto.- celiò Jess, facendogli posto sul divano - Dai, moccioso. Lì c'è del whisky. Dov'è tuo padre?-
- E' andato a parlare con suo nonno.- spiegò William, versandosi due dita d'alcool puro - E' un mezzo fuorilegge fra i demoni. Magari sa come fregare un incantesimo di un altro suo simile.-
- Se Cameron non c'è riuscito, dubito che ci possa riuscire qualcun altro.-
- Si, ma tanto vale provare.-
Tanatos sbuffò, sporgendosi dallo schienale del divano.
- Oh ma in questa casa sono spariti tutti? Jess dov'è tua madre?-
- A farsi urlare dietro da Sofia e Nadine.-
- Ci mancava solo tua nonna.- ringhiò il signor Mckay, brontolando come una teiera - Bah, che il diavolo si porti tutti i demoni impiccioni della Gran Bretagna.-
- I parenti di Lucilla abitano oltre oceano pa'.- disse Jess.
- Chissene importa, il diavolo se li porti comunque. Esclusi i presenti.- sorrise poi, angelico, verso William.
- Grazie.-
Era ormai giunta l'alba anche a Londra, dopo una terribile notte di dubbi e ansie.
Cedar House era stata attraversata per tutta quell'infausta serata da una serie di vibrazioni negative e plumbee.
Sembrava che fosse caduta la morte da quando Lucilla dei Lancaster era precipitata nel suo sonno secolare. E tutta la gioia sembrava se n'era andata, dopo la partenza di Tristan.
Jess e Sofia l'avevano supplicato di non andare solo.
Di non farlo.
Ma come si poteva fermare un uomo che aveva perso la moglie in maniera tanto ingiusta?
Erano state ore terribili.
Senza speranze, senza risposte.
Poi però, poco prima dell'alba, Harry Potter aveva varcato la soglia di quella casa.
Anche lui era venuto a sapere dell'incidente che aveva coinvolto Lucilla. Era stato Silente stesso a informarlo.
Ora, entrambi, mentre Jess e suo padre si erano dovuti ritirare al piano terra, i due grandi maghi uscivano dalla stanza da letto della Lancaster.
Il preside di Hogwarts si pettinava la barba, a capo chino.
I suoi grandi occhi celesti e pensosi fissavano il pavimento.
Harry invece richiuse la porta, accostandola piano, dolcemente. Per non far rumore.
Anche se Lucilla non avrebbe potuto sentirlo.
- Allora?-
Ron, Edward, Draco, la squadra di Jess ed Hermione erano tutti lì.
Seduti nel corridoio, quasi non erano riusciti a stare fermi durante la visita del preside.
- Allora...- Harry si passò una mano sul viso - Dorme. Dorme e basta.-
Gli Auror al completo sospirarono.
Quasi non riuscivano a crederci.
Lucilla...sconfitta così. Con una semplice pozione soporifera.
- Bastardi.- sibilò Draco, con gli occhi di ghiaccio puntati su un punto imprecisato della parete - Che si può fare?-
- Tristan è andato a parlare con Horus.- disse Clay, seduto su un basso divanetto in stile liberty - Lasciate che ci parli. Forse non raggiungeremo nulla, ma tanto vale provarci no?-
- Dubito che quel demone si lascerà convincere.- rispose Sphin Eastpur, col suo vocione roco - Se s'è preso la briga di fare una cosa del genere, allora vorrà qualcosa di molto prezioso, nel caso facciano uno scambio.-
- E lasciare solo Tristan con quelli, è una pessima idea.- commentò Harry, grattandosi il capo.
- Vedrai che Caesar si prenderà cura di Tristan.- lo consolò Hermione, sicura di quel che diceva - Ora possiamo solo aspettare.-
- Io non ce la faccio a stare qui con le mani in mano.- rispose il bambino sopravvissuto.
- Purtroppo, caro Harry...- sussurrò Silente, accendendosi la pipa lentamente -...c'è ben poco che possiamo fare per aiutare Tristan. La vita di Lucilla è completamente nelle sue mani, perciò possiamo solo sperare e avere fede nelle sue capacità.-
- Si ma...- Potter si morse il labbro, mentre dalle finestre di tutta Cedar House filtravano i raggi di sole delle sette del mattino -...io impazzisco così. Non posso vederla in questo stato.-
Erano scesi al piano terra ormai. Tutto ora era terso di luce.
Erano arrivati anche altri Auror dall'Ordine. Kingsley stava discutendo con Duncan e Tanatos.
Sembrava che nella notte ci fossero stati alcuni delitti a Myfair.
- Come sta Lady Lancaster?- chiese Duncan, quando Silente andò a sedersi fra i veterani.
- Se conosco bene Lucilla,- rispose il preside, ringraziando un elfo domestico che gli versò gentilmente del thè freddo - abbiamo già superato la parte critica della situazione.-
- Si ma mio fratello ancora non è tornato.- Jess mandò giù altro whisky - Dannazione, sono ore ormai che è fuori.-
- Non possiamo andare a riprenderlo?- sbottò Ron, facendo il solco di fronte al camino spento.
- E dove vuoi andare? Non so dove abitano gli Harkansky.- gli fece notare la Grifoncina, centellinando il thè che invece aveva chiesto caldo, per placarle i nervi - Ma Harry ha ragione. Non possiamo stare qui con le mani in mano. Nell'ultima lettera, Milo non ha detto che al ritiro i ragazzi erano spiati?-
- Esatto.- annuì Clay.
- Stanno spiando Riddle?- fece Duncan, intromettendosi.
- Pare di si, capo.- replicò Jess - Sembra che Milo e la figlia di Daniel King, che è una Sensistrega, abbiano sentito una presenza estranea attorno al luogo della riunione della loro Universale.-
- E dove sono?-
- Dovrebbero tornare più o meno ora.-
- Già, erano in Camargue.- annuì Ron.
- Cosa?- Duncan allargò la bocca, intanto che due corna diaboliche gli spuntavano sul capo quasi del tutto pelato - Riddle è stato in Francia? E' espatriato?!-
- Ops.- mugugnò Edward, sbuffando - Bravi ragazzi, complimenti.-
- Andiamo Duncan,- rise Silente con fare bonario - Il ragazzo si è solo divertito un po'. Starà benissimo, anzi. Sono sicuro che stanno già tornando. Appariranno da qui a poco. Ma Lucilla non apprezzerebbe che noi stessimo qui con le mani in mano, mentre lei dorme.-
- Cos'hai in mente Albus?- bofonchiò Gillespie, che fumava anche dalle orecchie.
- Bhè, ho sentito che ci sono stati problemi a Myfair, esatto?-
- Si, esatto professore.- annuì Kingsley - L'Ordine vorrebbe occuparsene.-
- Ne sono sicuro. Ma mi chiedevo...se non sbaglio è lì a Myfair che c'è quel locale dove lavora l'addetta alle pulizie di Donovan, esatto?-
- Intende quella Nicole?- Harry, Edward, Ron e Draco levarono le sopracciglia in contemporanea - Quella che copre gl'intrallazzi del Ministero? Si, si chiama Nicole.- annuì Weasley - Lavora al 43 South Molton Street. E' lì che i Consiglieri mandano i loro galoppini. Parlano con lei che poi si occupa dei loro affari sporchi.-
- Crede che sia coinvolto Dibble?- chiese Hermione.
Silente si fece improvvisamente serio.
- Sai mia cara...per il Ministro, questa volta, metterei la mano sul fuoco.-
- Quindi cosa propone in definitiva?- sorrise la Grifoncina - Andiamo a interrogarla?-
- Si ma...coi guanti.- sorrise il preside, dandole una pacca sulla mano - Non so se hai capito cosa intendo.-
- Oh, abbiamo capito benissimo.- ridacchiò Edward - Il fatto è che le nostre facce le conoscono tutti ormai.-
- Anche quella di Trix.- sbuffò Jess - E quella di Asher.-
- E anche la mia.- finì William.
- E...che ne dite di Tom?- disse Tanatos all'improvviso - Credo che lui e il signor Howthorne potrebbero aiutarvi.-
- Usare Tom?- allibì Hermione - Ma...e se lo scoprono? E se Donovan lo vede?-
- Allora avreste le vostre domande da fargli, no?- fece Duncan, dando un tiro al suo sigaro che odorava d'oppio - Perché farsi trovare in un pub babbano, dove lavora la tanto appena sussurrata pulitrice degli affari sporchi del Ministero?-
Già.
Perché farsi incastrare così facilmente?
Thomas Maximilian Riddle entrò a Cedar House appena qualche minuto più tardi.
Insieme a lui, Vlad, Damon, Cloe, Trix e Milo.
Tutti quanti sconvolti, tutti quanti angosciati.
Come lo erano tutti, in quella casa.
Tom quasi non riuscì a credere a ciò che i suoi padrini gli dissero.
Aveva sempre visto sua madre per l'essere onnipotente che era. Ed erano bastati dei semplici problemi umani a renderla debole, indifesa. Spaventata.
Fu nella stanza di Lucilla che si lasciò andare.
Le prese la mano, la strinse forte e gliela baciò.
Dietro di lui, Damon, Trix e Cloe.
Ancora una volta.
Ancora come una volta. Tutti insieme.
- E' stato un tizio di nome Horus.- gli disse Harry, entrato con loro.
- Si, lo conosco.- mormorò Riddle, senza lasciarle la mano - E' parente della mamma.-
- Perché l'ha fatto?- gli chiese Beatrix, senza capire.
- Non vuole...che la mamma muoia, dopo che sarà morto anche mio padre.- rispose Degona per lui, apparsa dalla porta comunicante del salottino dei genitori, dov'era stata tutta la notte insieme a William.
- Tiene a lei.- sussurrò ancora Tom - Ma non ha mai capito.-
- No, infatti.- Dena si fece avanti, pallida e stanca - Cosa volete fare?-
- Abbiamo un lavoro per Tom e Damon.- le disse Harry, carezzandole la spalla con affetto - Ma tu stai tranquilla. Vedrai che tuo padre avrà trovato una soluzione.-
- Cos'è che dobbiamo fare, esattamente?-
Tom alzò appena lo sguardo su Damon.
Che strano. Gli sembrava...un fantasma.
Quando si erano visti l'ultima volta, il giorno prima in quel campo, gli era sembrato stare bene.
Che fosse successo qualcosa quella notte?
- Già, cosa vi serve?- chiese anche Cloe, corrucciata.
- Un diversivo.- spiegò Potter - Ci serve interrogare una tizia di nome Nicole. Lavora al 43 South Molton Street, a Myfair. Ma le nostre facce sono troppo nome, non è stupida, anche se lavora in un locale babbano.-
- E volete usare dei civili?- Trix rise, credendolo pazzo - Harry...Duncan lo sa?-
- Si. Non ne è entusiasta, ma ci coprirà.-
- Se Donovan e gli altri Consiglieri vengono a saperlo, Tom finirà ad Azkaban con Damon in cella doppia in un batter di ciglia.- sbottò Degona, sconvolta - Ragazzi non si può fare! Rapitela e basta questa tizia!-
- Non si può. E' una Magonò, fuori dalla Legga Magica.-
- E chissene frega, prendetela in un vicolo!- rognò Cloe - E poi date la colpa ai vampiri, lo fanno tutti, dai.-
- Molto spiritosa, duchessa.- sibilò Trix - Harry sei sicura che nessuno in quel locale possa riconoscerli?-
- Manderemo qualcuno col mio mantello a fare un sopralluogo.-
- E poi toccherà a noi rimorchiarla.- riassunse il Legimors - Esatto?-
- Si, esatto.-
- E' da pazzi.- commentò Degona, incrociando le braccia al petto.
- Ma è l'unica cosa che si può fare.- le disse Tom, alzandosi in piedi lentamente - D'accordo. Ci sto.-
- Anche io.- mormorò Howthorne, stringendosi nelle spalle - Tanto, stare con le mani in mano non farà bene a nessuno di noi.-
- Perfetto.- Harry carezzò la spalla a Riddle, ricevendo un blando sorriso - Ora andate. Duncan e quelli dell'Ordine vi diranno tutte le indicazioni possibili. Vi farete una dormita e si andrà di pattuglia stanotte. Ok?-
- Ok.-
- Che mi dite del tipo che vi spiava?-
- Milo l'ha sentito di nuovo quando siamo ritornati a Westminster.- lo informò la Diurna - Lui crede di aver sentito l'odore degli incensi che c'è al livello degli Auror, al Ministero.-
- Quindi qualcuno che lavora con noi.- borbottò Potter, pensoso - Magari Duncan vi ha messo alle costole qualcuno.-
- Senza dirlo prima a te?- Tom parve perplesso - Non credo. Era qualcuno di Badomen.-
- E l'odore d'incenso?- Trix scosse il capo - Il fiuto di Milo non è infallibile.-
- E neanche il voto di fedeltà al Ministero è infrangibile.- rimbrottò la King, acida - Harry, controllate in casa vostra.-
- Lo faremo, stanne certa. E ora voi andate di sotto e riposatevi. Stasera ci sarà da ridere. Io intanto chiamo i rinforzi e mando Edward in avanscoperta con la squadra di Jess.-
- Bene.-
- Lasciamo Lucilla a riposare.- finì il bambino sopravvissuto, scoccando uno sguardo languido a quella che era sempre stata la sua salvatrice fin da che aveva memoria - Il resto tocca a Tristan.-




Fra i demoni fin dall'alba dei tempi, si narra di una Strada. La Strada della Gloria, anche chiamata la Strada delle Cinque Prove. Si trattava di sfide, una più dura dell'altra. Atroci e infide gare di forza e magia.
Niente di più traditore, per l'anima di un essere umano mortale.
E queste cinque prove, Tristan Nathan Mckay, contro il parere di amici e del suo stesso cuore, stava affrontando.
Al buio, in una cella umida nei sotterranei della residenza degli Harkansky.
Con nel cuore un nome soltanto.
Incatenato a una parete, in ginocchio.
A torso nudo, a capo chino.
Col sudore gelato che gli rigava la schiena e il collo.
Il sangue ai polsi, feriti dalle manette d'acciaio.
Il sangue sul volto, ferito dalle stesse Cinque Prove.




Prova di Coraggio. Eliminare la Paura più Grande.
Prova di Sopportazione. Il Dolore delle Unghie dell'Amore.
Prova di Perseveranza. La Follia del Disperato.
Prova di Fede. Il Salto nel Buio.
Prova d'Onore. Ciò che i Mortali non Conoscono.



E così, quando il sole ormai tramontava su quella lunga giornata che sembrava non avrebbe avuto mai fine, Tristan Mckay, pronto a morire tanto il suo fisico ne era rimasto devastato, sollevò gli occhi ormai vuoti su Horus Harkansky.
Il demone gli stava di fronte.
Un pugnale dalla lavorata impugnatura d'avorio fra le dita.
- Ce l'hai fatta. Nessuno mai c'è riuscito.-
Tristan riabbassò il volto.
Si può spiegare cosa prova un essere umano...quando raggiunge il fondo della sua anima e non ci trova nulla?
Perché era il nulla quello che gli restava dentro.
Ed era quello che l'avrebbe reso immortale.
Sentì la guaina scivolare sulla lama del pugnale.
- Rivoglio il mio anello.- fu l'unica cosa che riuscì a dire.
- Lo riavrai dopo.- Horus inspirò - Non credevo l'avrei mai detto...ma sei un grande uomo, Tristan Mckay. Ora sai cosa ti aspetta. Ciò che diventerai...è ciò che hai chiesto. Non sarai come lei, come noi...ma ci sarai vicino.-
- Sbrigati e che sia finita.- sibilò tetramente il prigioniero in fin di vita.
- Come desideri.-
Un desiderio.
La gloria.
L'immortalità.
Ma Tristan non l'aveva mai creduta così...l'immortalità.
Perché non sentiva niente. Se non il sangue sulle mani.
Il sangue di chi aveva ucciso. Il sangue...del suo stesso sangue.
Lucilla...
Horus aveva la lama alzata, quando Tristan gli disse un'ultima cosa.
- Pensa bene a ciò che fai.- mormorò in un soffio - Perché una volta libero, io passerò il resto dell'immortalità che tu stesso mi hai dato per vendicarmi di quello che mi hai fatto.-
- Quando ti sveglierai, parente mio...- sussurrò il demone -...non conoscerai più la vendetta. Né l'odio.-
- Affidati a questa preghiera fasulla allora.- Mckay lo guardò negli occhi, mentre lo colpiva - Perché non sarà così.-
Mai.
La lama affondò nella carne.
Gli trafisse il cuore.
E gli portò via la cosa più importante per un mortale.
Gli portò via quella cosa...che ora l'avrebbe reso ciò che aveva desiderato essere.
E solo morendo l'avrebbe ottenuta.
Con la morte.
Implacabile.
E mai generosa.

T.M.R |DRAMIONE|Where stories live. Discover now