Capitolo I

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Due anni più tardi

«Vostra Altezza, dovete indossare il diadema» implorò la balia, cercando invano di posizionare la coroncina sulla testa della Principessa.

«Non la voglio! Pizzica...» sentenziò la fanciulla mentre correva da una parte all'altra della grande stanza, riuscendo a stento a tenere alto il vestitino nero.

«Lo so, Principessa, ma è un vostro dovere... in qualità di futura regina» provò ancora la balia, sotto gli occhi imploranti della servitrice – che sarebbe stata punita se la Principessa non si sarebbe presentata al meglio quel dì –, così decise di provare l'ultima carta: «fattelo per vostro padre, Altezza!»

Appena udì quelle parole, la Principessa si bloccò sul posto, si girò di scatto e, con passo fin troppo deciso per una fanciulla di appena cinque anni, marciò verso la balia che osò pronunciarle.

«Non ti permettere di parlare di mio padre!» ringhiò, con gli occhi ridotti a due fessure, ma si sedette di fronte alle toeletta, lasciandosi posizionare sul capo il diadema con lo stemma della casata: una volpe rossa, con una W bianca disegnata sul manto, nella zona del petto.

Le lacrime cominciarono a scorrere sul viso della Principessa alla vista dell'immagine che lo specchio ovale le restituiva: indossava l'abito nero, da lutto, con tanto di velo a coprirle il viso candido.

«Principessa, la Regina Madre vi aspetta nelle stanze reali» esordì una domestica, interrompendo il contemplarsi della reale.

La fanciulla scese a fatica dalla massiccia sedia in legno dai braccioli intarsiati, sistemò l'ampia gonna nera e si avviò verso le porte aperte della sua stanza. Le due guardie, il cui corpo era ricoperto dalle scintillanti armature di bronzo, chinarono il capo al passaggio dell'erede, facendo ciondolare il ciuffo rosso posto sopra gli elmi, cosa che faceva sempre ridere l'erede.

Crebbe in fretta, dovette farlo, dati i suoi doveri a Corte. Imparò fin dai primi anni di vita a comportarsi come una regina, a essere soave nei movimenti, dolce ed elegante nel comportamento, ma imparò anche a essere spietata nella caccia -  in cui accompagnava il Re sin da quando aveva compiuto tre anni - e forte nei combattimenti. Quest'ultimo le insegnò a guidare il regno, le insegnò a tenere testa ai Consiglieri e ad amare i propri sudditi, le insegnò la politica e le varie strategie di guerra, nonché la gestione dei beni e delle terre del regno.

A cinque anni – età che Avaline V della casata dei Webenner aveva il giorno della morte del Re – era pronta a governare un reame intero, era stata addestrata a dovere; o almeno così credeva. Ma quel dì non ci avrebbe pensato. Il giorno del funerale del Re era anche il suo ultimo giorno in vesti di fanciulla spensierata. Dal giorno successivo avrebbe indossato la corona reale, si sarebbe seduta sul trono più grande, accanto alla Regina Madre – in vesti di reggente al trono – e avrebbe preso decisioni che solo un sovrano poteva prendere.

«Che gli Dei si prendano cura dell'anima di Re Garmond III, Re giusto, che ha governato Anglesia, con onore e giustizia, per ventitré anni. Discendente dalla più antica casata di reali, i Webenner, ci ha lasciato un reame equilibrato, ricco e benedetto dagli Dei-» fu interrotto il Sacerdote, un uomo dalla lunga barba bianca, vestito con una strana tunica dorata che sfumava verso il nero in basso; sulla testa china sul leggio indossava un copricapo rivestito di lunghe piume corvine.

«Il Dio è uno solo!» si sentì una voce proveniente dalla zona boscosa ai margini del luogo di sepoltura politeista, che fece girare tutti i presenti.

«Siamo qui oggi per rivolgere il nostro umile ultimo saluto al Re» continuò il Sacerdote, senza curarsi dell'interruzione. «Pace all'anima di Re Garmond III!» pronunciò a capo chino, frase che poi venne ripetuta da centinaia di sudditi, giunti da tutte le parti per l'ultimo saluto al sovrano.

Un Trono per dueWhere stories live. Discover now