EPILOGO - Non ci resta che tornare a Lisbona

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Le scarpe di Felipe producono uno strano scricchiolio sul pavimento del corridoio dell'aeroporto, che riesce a sovrastare finanche il brusio della folla in sottofondo. Accanto a lui si alternano bar, in cui l'invitante odore di caffè si armonizza alla perfezione a quello di burro e vaniglia, e negozi di souvenir che spandono un sentore di lavanda così intenso da mettere alla prova il suo stomaco sensibile, già contratto dall'attesa e dall'ansia per la lunga giornata che lo attende. Felipe volta la testa verso le vetrate trasparenti sulla sinistra, e i suoi occhi abbracciano la spettacolare vista della laguna accanto alla pista d'atterraggio. È solcata da ampie onde, la cui schiuma bianca si staglia nitida contro il blu intenso dell'acqua. Quella vista risveglia il bisogno di navigare sopito nell'animo di Felipe da mesi, e la forte nostalgia che lo assale lo induce a distogliere lo sguardo, a macinare gli ultimi metri che lo separano dall'uscita, dove ad attenderlo c'è qualcuno che gli è mancato ancora più del mare.

Fuori dall'edificio, l'aria tiepida solletica le guance del ragazzo, e la luce del sole lo induce a strizzare gli occhi per scrutare il piazzale alla ricerca del suo passaggio verso la città.

«Pardon, monsieur*, sta cercando qualcuno?»

Âmbar è ferma a pochi metri di distanza da lui, appoggiata alla barriera pedonale con le braccia conserte. I capelli legati in una coda e un paio di sofisticati occhiali da sole la fanno sembrare diversa, più adulta. Con un movimento del braccio, sfila le lenti dal viso e lo inchioda con uno sguardo così intenso da non aver bisogno di parole. Felipe sente il cuore correre frenetico nel petto; freme d'impazienza ed è incapace di muoversi o di ragionare con lucidità. Una sola domanda gli ronza nella testa da ore e gli esce fuori dalle labbra appena udibile. «L'hai fatto?»

«Sim*», risponde Âmbar, seria.

«E?»

La ragazza annuisce, e Felipe trova riflesso nei suoi occhi lo stesso terrore, la stessa incertezza, la medesima gioia selvaggia che sta provando lui stesso. Copre la distanza che li separa e posa le labbra su quelle di Âmbar prima di stringerla a sé in un abbraccio delicato, che li tiene uniti per un tempo che sembra dilatarsi all'infinito.

«Louis lo sa?»

Âmbar si allontana quanto basta per guardarlo e scuote la testa. «L'ho fatto dopo averlo accompagnato in Tribunale.»

La dura realtà che implicano quelle parole spazza via tutta la magia del momento. «A che ora è prevista la sentenza?»

Lei alza il polsino della camicia e scruta il quadrante dell'orologio che ha allacciato al polso. «Dovrebbe iniziare tra un'ora. Meglio andare, preferirei arrivare un po' in anticipo.»

Felipe la prende per mano e si incammina verso il parcheggio. Gli basta un'occhiata tra le auto che occupano il piazzale per individuare la datata Renault 4 azzurra, che è appartenuta alla madre di Louis. Felipe non ha mai preso la patente, così come il vecchio, ed è toccato ad Âmbar portare entrambi in giro per Marsiglia con quell'auto.

Sono partiti tutti e tre più di due mesi e mezzo fa, quando la data del processo è stata fissata. Âmbar è potuta rimanere con il vecchio a tempo pieno, continuando a lavorare per lo studio a distanza, ma lui non ha potuto fare altrettanto. Il lavoro come professore lo ha costretto a fare la spola tra le due città ogni week-end, fino a che esami e scrutini gli hanno reso impossibile viaggiare, trattenendolo per quasi un mese intero in Portogallo. Non è mai successo da quando l'ha conosciuta di stare separato da lei per un tempo così lungo, e Felipe, stringendo la mano calda di Âmbar, spera che non succeda mai più. Vorrebbe dirle che nei giorni scorsi è stato consumato dal senso di colpa per averla lasciata sola, vorrebbe farle capire quanto sia orgoglioso di lei per aver affrontato Blanc a testa alta, gridarle quanto è felice per il futuro che li aspetta. Ma ne parleranno a tempo debito.

L'ancoraWhere stories live. Discover now