Capitolo 2: La lite

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Dopo aver accompagnato Antonio e Bassanio alla propria dimora, Jona decise di recarsi al Mercato per comprare un po' di spezie per sua madre e per gustarsi qualche succulento pettegolezzo da parte delle madonne.

Collocato nella parte più antica della città e sede del Mercato per eccellenza, il Mercato di Rialto custodiva già da diversi secoli le merci più pregiate di Venezia, attirando acquirenti da tutte le città limitrofe. Ancorata la gondola sotto il Mercato, Jona salì la scaletta di legno e si fermò un attimo ad ascoltare il vocio di mercanti e persone. L'odore di pietanze prelibate aleggiava nell'aria. Il pesce fresco appena pescato riposava in vasche di plastica in mezzo al ghiaccio. Il verde della verdura colorava i banconi e i pavimenti degli ortolani, che urlavano più di tutti per attirare l'attenzione dei clienti. Ma il Mercato era anche multietnico. Si potevano scorgere, infatti, anche asiatici in possesso dei tesori d'oriente, quali spezie, seta e oli profumati da cospargere sul corpo o da aggiungere nell'acqua del bagno. Ovviamente, gli articoli importati dall'Asia si vendevano a caro prezzo. Per questo Jona comprava le spezie dallo speziale di fiducia, Omar, che, oltre a vendere i prodotti a buon prezzo, offriva anche qualche succulento pettegolezzo, grazie all'affluenza alla sua bottega della creme de la creme dell'alta società veneziana.

«We', Jona! Qual buon vento ti porta qui?» lo accolse allegramente Omar, salutandolo dall'alto della sua statura da Marcantonio.

«Ho bisogno di un po' di spezie per mia madre, quelle che si usano per condire le piadine» rispose Jona.

«Ho io quello che ti serve» ammiccò lo speziale, selezionando attentamente un barattolino sigillato con un tappo in sughero in mezzo al resto della merce del suo bancone. «Spezie provenienti dall'India.»

«Mica me le passi più care per questo?» si preoccupò Jona, che era uscito da casa con i soldi contati.

«Non posso fare altro. Se le vendessi a un prezzo inferiore non guadagnerei neanche i soldi per l'importazione.»

«Ho sentito dire» si intromise una donna che era in fila dietro a Jona, i lunghi capelli castani le ricadevano sulle spalline della sua veste nera dalle maniche rosse, «che un giovane genovese sostiene di aver trovato un modo più veloce per raggiungere le Indie.»

«Ah sì? E quale sarebbe?» domandò curioso Omar, sporgendosi verso di lei, attratto dalla notizia... e dal profumo di lillà emanato dalla madonna.

«Sostiene di poter attraversare lo Stretto di Gibilterra e raggiungere le Indie attraversando l'Atlantico...»

«Ma è un'idiozia!» rise lo speziale, con la sua risata roca.

«La pensa così anche il re Giovanni II del Portogallo, che si rifiutò categoricamente di finanziare questo viaggio suicida» concordò la donna, socchiudendo le palpebre con fare superiore, mettendo in mostra le sue lunghe ciglia.

«Come si chiama questo giovane, madonna?» chiese cortesemente Jona, interessato da quella notizia.

«Cristoforo Colombo...ma è solo un pazzo!» rispose la donna con noncuranza, allontanando le sue parole con un gesto della mano. «Addirittura si vocifera abbia presentato il suo progetto ai re di Castiglia e Aragona che, a loro volta, si sono rivolti ai loro esperti, e attendono ancora un responso. Crede che al di là delle Azzorre ci possa essere una terra, un Nuovo Mondo...»

«Un Nuovo Mondo?» ripetè Jona, colpito. Gli schiamazzi delle altre persone in fila dietro di lui divennero insistenti e rischiavano di tramutarsi in violenza, così Jona pagò lo speziale e si allontanò.

Nel tragitto verso casa continuò a pensare con vivo interesse al discorso della donna. Non era l'unico a credere in un Nuovo Mondo oltre Gibilterra! Addirittura questo Colombo aveva presentato un progetto ufficiale ed era intenzionato a portarlo a termine, con una decisione che forse a Jona mancava. Quanto avrebbe voluto avere il coraggio di chiedere il permesso di partire al padre...Più volte si era ripromesso di farlo, ma davanti al padre gli era sempre mancato il coraggio ed era finito per cambiare discorso. Questa volta però era diverso. Qualcun altro che non conosceva condivideva le sue idee. Doveva mettersi in contatto con Colombo! Ma non sapeva come. Di lui Jona sapeva solo che al momento si trovava in Spagna, nella corte del re di Castiglia.

Si trovava già sotto casa e sentiva l'aroma del pranzo preparato da sua madre, che lo attirava con una violenza tale che decise di preoccuparsene dopo pranzo. Come cucinava bene Julietta! Ciò che preparava era un piacere per gli occhi e, soprattutto, per lo stomaco. La tradizione voleva che tutta la famiglia pranzasse insieme la domenica. Il posto a capo tavola era occupato da Jiovanni, il padre, che aveva l'onore di rendere grazia a Dio per il cibo che anche quella domenica avevano il privilegio di mangiare. Jona arrivò a casa giusto in tempo per la preghiera. Si lavò le mani nella bacinella, baciò sulle guance la madre e si sedette alla destra del padre, che lo fulminò coi suoi occhi color ghiaccio, ma che non gli disse niente per il ritardo. Finita la preghiera, il padre tagliò l'arrosto e se ne servì una bella porzione, per poi servire i figli e, per ultima, la moglie.

Jiovanni assaggiò il primo boccone, chiuse gli occhi, si appoggiò allo schienale e disse: «Ottimo come sempre, Julietta.»

La madre rimase felicemente colpita dal complimento. Arrossì, inghiottì il boccone, si pulì con la punta del tovagliolo le labbra e rispose: «Grazie, Jiovanni.»

Il pranzo procedeva bene come ogni domenica. Jiovanni parlava di politica con la moglie, cercando di educare i figli, che pendevano dalle sue labbra, e di indirizzarli nella giusta via. Parlava anche delle innovazioni sul campo marittimo derivanti dall'estero e raccontava dei divertenti aneddoti in cui era incorso durante i suoi turni di lavoro. Procedeva tutto bene, almeno fino a che non smise di mangiare.

«Allora, Jona» iniziò a parlare, «a cosa dobbiamo il tuo ritardo?»

«Mi scuso per il ritardo, ma ero al mercato per comprare le spezie per la mamma» si giustificò il ragazzo, che provava per il padre un timore reverenziale.

«Potevi almeno avvisare, lasciare scritto un messaggio...» lo rimproverò duramente il padre, spostandogli addosso i suoi freddi occhi grigi.

«Jiovanni...» provò a fermarlo Julietta.

«No, Julietta, non ti intromettere!» urlò il padre. «Questo ragazzo sta crescendo indisciplinato! Pensa di poter fare quello che vuole in casa mia. Questa casa non è un ostello! Vedi di rispettare le mie regole!»

«Scusatemi, padre...»

I fratelli più piccoli, nel frattempo, erano sgattaiolati via.

«Non mi piace frequenti il Mercato, né tanto meno quella taverna rivoluzionaria che ti mette in testa chissà quali idee!»

«Jiovanni...» riprovò la madre.

«Taci!» la guardò irato il padre. «Allora? Qual è la nuova voce che circola al Mercato? Gli alieni invaderanno la Terra?» chiese, ironico.

«Un Nuovo Mondo oltre lo stretto di Gibilterra...» rispose Jona, tutto d'un fiato.

Sulla tavola calò il silenzio, rotto dal pugno di suo padre sulla tavola. Le posate e i piatti tremarono, ma non così tanto a confronto di Jona e sua madre.

«Cosa hai detto?!» urlò Jiovanni, sfidandolo a ripetere.

«Un giovane genovese sta organizzando un viaggio oltre Gibilterra...Io gli credo!» urlò a sua volta Jona, animato da un coraggio infuso dentro sé che non sapeva da dove proveniva. «Continuo a sognare la Libertà, la Nuova Venezia... Io so che non è solo un sogno! C'è qualcosa al di là di Gibilterra...»

«Che pazzia!» ruggì il padre a denti stretti. «Vedi che idee malsane ti iniettano nel cervello?! Tu sei nato per fare il gondoliere, qui, a Venezia. Non hai scelta!»

«Tutti hanno sempre una scelta!» disse Jona, alzandosi da tavola.

«Non sotto il mio tetto!» lo smentì Jiovanni, alzandosi a sua volta.

«Allora forse è meglio che me ne vada...»

Julietta piangeva, seduta nel suo posto a tavola.

«Vai pure! Muori come tanti pazzi prima di te! Ma sappi che se esci da questa casa...»

«Jiovanni, no!» urlò tra le lacrime Julietta.

«...non sarai più mio figlio e non dovrai più tornare!»

«Così sia!» disse Jona, deciso.

Baciò sua madre e uscì dalla stanza.

Nella stanza accanto i suoi fratellini giocavano con le macchinine e con le trottole. Li abbracciò e gli diede un bacio.

«Ciao Gimmy, ciao Fede! Vi auguro di crescere liberi, perché solo chi è libero può volare.»

Uscì dalla dimora dei By, per sempre.

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