Capitolo 6: Ciò che deve essere fatto

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Capitolo interamente scritto dalla mia carissima amica Aurora Torrisi <3

Judittha aiutò il marito ad alzarsi e, gentilmente, lo condusse verso la tenda che li avrebbe ospitati per la prima notte di nozze.

Era una tenda particolare secondo la credenza dell'esercito, essendo intessuta con stoffe rosse e pregiate ed essendo situata proprio al centro dell'accampamento. Era stata eretta apposta per l'occasione.

Nel guardarla, la ragazza non poté fare a meno di sorridere. Rosso con rosso... non si dovrà neppure fare la fatica di ripulire la tappezzeria pensò.

L'uomo accanto a sé non riusciva a mettere un piede dietro l'altro senza inciampare. Lei non poté fare altro che tenerlo alla meno peggio, ma la cosa le veniva alquanto difficile, contando il suo fisico sottile, decisamente non abituato a portare cose tanto pesanti.

«Un ultimo sforzo» mormorò quando erano quasi di fronte l'ingresso della tenda rossa, ma così piano che l'uomo accanto a lei, stordito com'era, neppure la sentì.

Arrivati dentro la piccola struttura, Oloferne si gettò con tutto il suo peso sul letto che scricchiolò sotto il peso dell'uomo. Judittha ebbe un brivido di ribrezzo. Ogni cosa di quell'uomo le faceva più che orrore.

Ormai la parabola discendente del sole si era quasi conclusa a occidente, cosicché all'interno della tenda non passavano che pochi e sottili raggi che illuminavano a stento gli oggetti all'interno. Anche lì l'arredamento era scarso e poco elegante.

Sembra che non abbiano alcun senso dell'eleganza! pensò la ragazza, abituata agli stucchi e alle decorazioni dei palazzi siciliani.

Oloferne mormorava qualcosa, ma lei preferì non ascoltarlo. Adesso il suo cuore batteva veloce come non mai, e il respiro le mancava. Il gesto che si preparava a compiere richiedeva forza e sangue freddo. E anche calma.

Prima che potesse fare qualunque cosa, il prorompente russare del marito le arrivò ad un orecchio. Il sonnifero che aveva pian piano aggiunto nella sua coppa stava facendo il suo effetto.

Avrò più tempo per prepararmi rifletté, girandosi e cercando nel baule le vesti più comode che riusciva a trovare.

Non che ci fosse molto: gli abiti che le erano stati donati erano tutti pomposi e dalla foggia araba. Abiti che lei rifiutava categoricamente di indossare. Nonostante la lunga ricerca, nulla sembrava essere adatto.

«Forse è meglio lasciar perdere questa inutile ricerca e farlo. Alla fine questo vestito non sarà poi così scomodo...» mormorò. Ma subito capì che l'abito, che a stento le permetteva di compiere piccolissimi passi, sarebbe stato solo d'intralcio alla fuga.

Prima che potesse pensare qualcos'altro, una voce familiare che veniva dall'uscio, disse: «Forse vi serviranno un po' di cose...»

Aurora era ferma davanti l'ingresso, portando un abito e una bisaccia che sembrava piuttosto piena.

Judittha si riscosse: «Cosa ci fate qui? Andatevene!»

«E lasciarvi sola? Giammai! Inoltre vi servono 'sti cosi

La giovane gettò le braccia al collo di Aurora. Sembrava che dentro di lei un fuoco divampasse di nuovo. Si sentiva viva e pronta a fare ciò che era necessario.

Mentre il marito continuava a russare, le due donne prepararono tutto: Judittha indossò l'abito cucito appositamente per l'occasione dall'anziana serva, prese tutto il cibo che trovò nella tenda (non si poteva mai sapere, il viaggio poteva essere parecchio lungo) e, infine, afferrò la sciabola del marito. La spada che ha ucciso il mio Manasse... pensava, impugnandola quasi con disgusto.

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