Capitolo 11

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Il girono poco atteso della partenza era arrivato, ero accompagnata dal solito magone, e da nessuna novità sul fronte Edoardo e nemmeno sul fronte Riccardo. Tanto meglio.
I giorni appena passati li avevamo trascorsi alla solita maniera, e mentre rimetto in ordine la mia valigia, pensavo alla settimana. Sarebbe bello trascorrere una vita in vacanza, invece ci toccava tornare, peccato, perché mi ci ero abituata.
Piegai l'ultima canotta, e con il mio bagaglio pesantissimo mi diressi al piano di sotto, per posizionarlo di fianco all'uscita. Risalii per controllare che non avessi dimenticato nulla, non volevo di certo tornare indietro. I ragazzi fecero lo stesso, e piano piano, la porta si contornò di colori, e le stanze si rabbuiarono. Controllammo cento volte i passi da rispettare per chiudere la casa, la mamma di Nicole ce li aveva scritti su un foglio, ed erano fondamentali, perché quella casa sarebbe rimasta chiusa fino all'anno successivo. Nicole da brava figlia stava sistemando gli ultimi dettagli prima di partire.
Dopo aver spuntato ogni voce dalla lista mi si avvicinò all'orecchio – Asia vorrebbe tornare con Mattia, mentre io vorrei tornare ovviamente con Gabri. -
- E? – la guardai senza capire.
- E ti dispiace se tornassi anche io con loro? Mattia e Gabri abitano molto più vicini a me, così tu potresti riaccompagnare Riccardo, che a quanto ho capito abita nei pressi di casa tua, anche se non so la distanza, di modo che tu non ci faccia da taxi, e di modo da non cambiare macchina, spostare bagagli e borse. Che ne dici? -
- Dunque, a me toccherebbe Riccardo? -
- Ed è un problema? – sentii dire alle mie spalle.
- Sappi che se mi darai anche solo un po' di fastidio, ti abbandonerò sul ciglio della strada. – lo avvisai, minacciosa. Ma lui non abboccò, e rise. Salutammo il mare per l'ultima volta dell'anno, con le valige e non solo, anche il cuore, pesanti, ci infilammo nelle macchine, e ci lasciammo l'estate alle spalle.
- Faremo a turno per la guida, così non ti stancherai. – mi disse Riccardo. La posizione che aveva assunto sul sediolino del passeggero era molto sciolta. Aveva una gamba piegata e vi poggiava la mano sinistra, l'altra gamba era di stesa, e la destra era a penzoloni fuori dal finestrino. Lo guardai di sottecchi, stava osservando gli ultimi luccichii.
- Tranquillo, ce la faccio. Chi credi abbia guidato per arrivare fin qui. – era certamente una domanda retorica.
- Pensi che cambierà qualcosa una volta a casa? – dissi, cercando di non sembrare preoccupata.
- A che cosa ti riferisci? – la sua risposta era sicuramente motivata dal fatto che voleva sentirselo dire, probabilmente, almeno questo era quello che avevo capito io.
- A...- respirai – noi. -
- Sii più chiara, non capisco. -
- Non capisci, o stai solo facendo finta? – risposi, cercando di captare la sua reazione per quanto potessi, - No, non faccio finta. – alzò le spalle.
- Intendo dire che una volta che saremo a casa, continueremo a frequentarci, oppure la prenderemo come una cotta estiva ed ognuno ritornerà alla sua vita? – espirai arrossendo.
- Tu vuoi che finisca? -
Mi presi del tempo per pensare, anche se la risposta era scontata.
- No...- dissi sommessamente
- Ma non potremmo farla comunque finire prima di risolvere la questione con... com'è che si chiama quel tizio...- mi disse schioccando le dita,
- Una scusa veramente patetica. – dissi ridendo, e lui rise con me.
- Non devo trovare una scusa per dirti che vorrei che i giorni appena trascorsi insieme non siano gli ultimi. -
Il mio cuore traboccava di gioia, avrei voluto tanto abbracciarlo.
- Per essere introverso, sai bene quello che vuoi. – lo spiazzai
- Non sai quanto. –
I ragazzi ci avevano appena superato suonando forsennatamente il clacson, e nella loro auto vedevo un grande agitare di braccia, canti a squarciagola. Era palese che io e Riccardo fossimo i più calmi della compagnia, per questo stavamo bene insieme.
- A che pensi? – mi chiese, lo guardai – Sto pensando che non vorrei essere in quella macchina, - e la indicai con il mento – perché mi dà il sentore di gran mal di testa. Lo vedo da come si agitano che quell'auto è sicuramente rumorosa. – annuii energicamente, era molto d'accordo con me.
- Da quanto tempo è che danzi? -
- Hm, direi da un po'. Da quando avevo sei anni. -
- Posso farti un complimento oppure mi svieni tra le braccia costringendomi a scegliere tra te ed il volante? -
- Ci vuole molto di più per farmi mancare. – gli dissi.
- È una sfida? – mi rispose, con lo sguardo acceso.
- Circa. – lo guardai, in un secondo lo ammirai, come se fosse la cosa più bella mai vista.
- Dicevo, che balli molto bene. -
- Grazie. – dissi alzando un po' il tono di voce.
Il cellulare di Riccardo prese a squillare.
- Dimmi. – rispose – Un attimo che chiedo anche a Lisa. -
si voltò a guardarmi – I ragazzi vorrebbero fermarsi, se è un problema per te, io e te possiamo continuare. -
Io e te suona benissimo. – No, per me va bene. -
Svoltammo quindi per l'autogrill più vicino, abbandonato il sedile del guidatore mi venne istintivo cominciare a stiracchiarmi, Riccardo venne dalla mia parte, mi tolse le chiavi, e senza badare alle mie proteste si avviò verso l'interno.
Stavamo per uscire dopo esserci rifocillati
- Oh, - dissi rivolta al mio compagno di viaggio – ti vanno delle patatine da sgranocchiare e qualcosa da bere. -
- Certo, entro con te. Ragazzi, avviatevi. – insieme come eravamo usciti, rientrammo – Quali ti vanno? -
- Tu hai qualche preferenza? – dissi disattenta mentre osservavo l'espositore. Me ne mostrò un pacco ed io accettai senza obbiezioni, nemmeno io avevo delle grandi pretese. Dal frigo prese una coca e si diresse alla cassa.
- No aspetta! – lo tirai per la spalla.
- Ti ricordo che l'ultima volta il gelato lo hai offerto tu. -
- Dai Riccardo, non mettiamoci a fare queste bambinate. -
- Ecco, se non vuoi che ti tratti da bimba, taci. -
Mi ammutolii e prese il portafogli.
- Andiamo. – mi fece segno di uscire per prima.
- Almeno fammi guidare. -
- No. – Si mise in macchina, - Ma quanto sei bassa? – mi prese in giro.
Invertì la marcia e si diresse verso l'erogatore di benzina. Non volli polemizzare più di tanto, ma gli avrei reso il favore. Lo guardai in cagnesco, ma lui mi sorrise, accarezzandomi il mento.
- Perché invece di incenerirmi non apri le patatine? -
obbedii, ne volevo anche io. Ne prese una, pensavo mi avrebbe sporcato lo sterzo, invece fece molta attenzione a non toccarlo con le dita unte. Dopo qualche boccone aprii anche la lattina, e gliela porsi.
- Ti... dispiace? – mi chiese prima di fare un sorso. Negai, ed entrambi bevemmo dalla lattina, anche perché non avevamo bicchieri.
una volta terminata la merenda, lo vidi ancora intento a non toccare il manubrio, così rovistai un po' nello zaino, finché trovai un pacco di salviettine. Gliene porsi una, e finalmente utilizzò tutte e dieci le dita per guidare.
Tranquillamente ce ne ritornammo da dove eravamo venuti, mentre guidava mi aveva preso la mano, incrociata con la sua, e messa sul pomello del cambio. Dopo quella settimana, speravo davvero che non cambiasse nulla, perché poteva essere distruttivo.
Lo riaccompagnai a casa, scesi dall'auto per aiutarlo con il bagaglio, anche se in realtà volevo stargli accanto un ultimo minuto prima di salutarlo.
Lui mi strinse forte, mi diede un bacio sulla guancia – Ci sentiamo dopo. Sono stato benissimo. -
- Anche io. – ritornai in macchina e tornai a casa.
Non li avevo avvertiti del giorno dell'arrivo, quindi speravo di trovare qualcuno a casa per avere almeno la soddisfazione di realizzare la mia sorpresa.
Silenziosamente infilai la chiave nella toppa e cercai di girarla al suo interno senza troppo rumore – Sorpresa! – urlai, nella speranza che non lo avessi detto ai muri.
- Lis! – mi corsero incontro le gemelle.
- Come state! Fatevi abbracciare! – le strinsi tra le braccia – Papà? – chiesi guardandomi in giro
- Lis, lavora. – avevo perso completamente la cognizione del tempo.
Mi vibrò il cellulare
" Come sono andati i tuoi primi cinque minuti nella vita normale"
" Non mi lamento. I tuoi? " digitai
" Casa è deserta, dunque non potevo sperare di meglio. Ti va se ci vediamo più tardi? Non sono pronto a passare da 24h insieme, a zero."
Sorrisi "Certo che mi va. A dopo."
in tutto ciò le gemelle erano appollaiate come degli avvoltoi, mentre spiavano i miei messaggi.
- Smettetela di impacciarvi, maledette. – mi voltai di scatto, tanto che le spaventai. Raccontai loro la mia vacanza, senza questa volta tralasciare i dettagli più succulenti, erano sempre state le mie confidenti, anche se ci dividevano cinque anni, e promisi loro di presentarglielo se le cose fossero andate per le lunghe.
- Secondo voi dovrei mangiare? – esordii chiedendo un consiglio.
Loro mi guardarono un po' perplesse, come se non capissero, effettivamente avevo dimenticato di fare loro la premessa.
- Riccardo mi ha chiesto di uscire questa sera, ma non mi ha parlato a proposito del programma, dunque io non so se vuole solo parlare, e dunque sarebbe sconveniente se nel bel mezzo della conversazione la mia pancia brontolasse, o se invece ha una qualche idea, cosa che ovviamente non posso chiedere. – blaterai mentre masticavo un biscotto – Però io ho fame, quindi non posso rimanere a lungo senza mangiare. – la decisione era ormai già presa, ma optai per un piccolo spazietto, nel caso in cui gli fossero venute delle idee strane, non avrei dovuto fingere.
- Isa come procede con Vale? -
- Splendidamente. – mi rispose con occhi sognanti, giungendo le mani. – Sabato sera siamo andati a mangiare una pizza. -
- E tu Cami, che hai fatto di bello? -
- Sono andata a sfondarmi di cibo per rimpiazzare il fidanzato che non ho. Risi forte, ero davvero di buon umore.
- Arriverà anche per te il fidanzato, adesso non andare di fretta, che quando poi lo trovi, rimpiangerai la libertà. -
- Come stai facendo tu con Riccardo? – mi prese in giro
- Cami, lo dico a te, ma valga per entrambe, io e Ricky non siamo fidanzati. – ed enfatizzai la negazione.
senza nemmeno ascoltarmi cominciarono a saltellare per la casa – Oh, Ricky. -
Meno male che nella mia vita c'erano loro, un po' stupide, ma grazie a Dio non ero figlia unica.
Mi presi del tempo per sistemare i miei stracci tra l'armadio e la cesta della biancheria sporca. Mi doccia e raggiunsi le mie sorelle in cucina.
- Che mangiamo? -
- Cotoletta. – mi ripose Isabel.
Ne mangiai giusto un po', rimasi vicino al tavolo a chiacchierare ancora un pochino per raccontare qualche altro aneddoto della vacanza, e poi mi diressi in bagno a truccarmi, non che cambiasse qualcosa, oramai Riccardo mi aveva visto in quasi tutte le vesti: appena sveglia, senza trucco, agghindata, insomma per tutti i gusti. Ovviamente non volevo di certo sembrare esagerata, quindi i vestiti che indossai erano molto sobri.

- Io esco, ciao! - scesi le scale un po' eccitata, non vedevo l'ora in realtà di stare con lui, nonostante non fosse passato molto da quando lo avevo accompagnato qualche ora prima.
- Ciao bellezza. – mi salutò calorosamente.
La sua carnagione naturale era molto bella, ma abbronzato era davvero un bel vedere. Ingranò la prima per immettersi sulla strada principale, quello che facemmo per un'oretta circa fu girare per il paese, e prendere in giro qualche persona.
- Perché non facciamo una passeggiata? O sei uno di quelli che per andare in bagno prende l'auto? – non del tutto convinto, parcheggiò, sospirò e aprì la portiera. Venne ad aspettare che scendessi, per prendermi la mano e cominciare a camminare fianco a fianco.
- Solo una richiesta. -
- Dimmi pure. – in fondo lui per primo mi era venuto incontro, dovevo fare la mia parte.
- Non mi trascinare in zone troppo affollate, la settimana al mare mi è bastata. -
- D'accordo. – gli dissi – Vieni. – lo presi per un braccio, e lo strascinai sulla strada che ci avrebbe portati di lì a poco davanti alla casa in cui ero cresciuta.
- Qui è dove sono nata, cresciuta e invecchiata. – lo guardai ridendo.
- Invecchiata? Sembra che a settembre tu debba iniziare la prima elementare. – controbatté.


- Prendimi in giro, ma tu i tuoi ventisette anni suonati li dimostri, mentre io no. – risposi alzando le sopracciglia in una chiara espressione di soddisfazione. – Qui, custodisco i miei ricordi più belli. L'infanzia, l'adolescenza, i primi amori, i primi baci, le litigate, i giochi, le corse, mia mamma. È tutto conservato in questo grande scrigno, nonostante sia caduta, sono qui le mie memorie. – mi abbracciò fortemente, non volevo piangere davanti a lui, così mi spostai da quel luogo, che solamente a vedere, mi deprimeva. Lo oltrepassammo, la strada era piuttosto deserta, in realtà lo era sempre stata.
- Chissà con quanti ragazzi sarai venuta a pomiciare, qui, al buio. -
- Già! Ho perso il conto. – gli riposi facendoglielo credere.
- Sul serio? – mi disse, un po' infastidito.

- No. – lo spinsi delicatamente.
- Hai avuto tanti ragazzi però immagino. –

Stava sicuramente tastando il terreno.
- Hm, non tanti. Anzi, direi pochi. -
Mi sembrava contento della risposta.
- E ti andrebbe di pomiciare con me? -
- Come mai mi chiedi sempre il permesso. -
- Beh, non è detto che tu muoia dalla voglia di baciarmi, come invece succede ame, quindi non mi va di essere respinto. -
Gli gettai le braccia al collo, e gli diedi un bacio casto sulle labbra, ma luinon si accontentò, anzi il fatto che io stessa gli avessi fornito una tacitaaccondiscendenza, senza nessuna parola, ma prendendo l'iniziativa, gli feceaumentare la voglia di avermi accanto a sé. Mi attirò violentemente, mi afferròla nuca e si intromise nella mia bocca, senza chiedere il permesso, non credogli sarebbe più servito. Mosse i suoi piedi facendomi arretrare, la mia schienapoggiava vicino al muro, le mie mani erano ancora incastrate con i suoi capelli,si staccò ansimante, e si avvicinò al mio orecchio – Dunque posso ritenermiesonerato dal chiederti ancora se posso baciarti? -
- Sì. – farfugliai solo.
Gli presi il mento tra le mani, e azzerai di nuovo la distanza tra le nostrebocche non era affatto il momento di parlare, nessuno step intermedio, il bacioriprese la foga con cui si era interrotto.
Discese sul mio collo, e questa seconda volta non fu delicata come la prima, maprima che potessimo pentirci di qualsiasi cosa fatta, e non, salì di nuovo vicinoall'orecchio – Credo sia meglio fermarci. -
Annuii, in uno stato confusionario, avevo le vertigini, la mia bocca era inondatadel suo sapore, le labbra pulsavano, le guance divamparono, sentivo ancora lasua stretta intorno ai fianchi, nonostante si fosse allontanato per prenderearia. Ero ancora con le spalle al muro quando, dopo aver introdotto abbastanzaaria nei miei polmoni, parlai
- Ho bisogno di un po' d'acqua. -
- Già, concordo. – disse – Avviamoci all'auto e andiamo a prendereassolutamente qualcosa da bere. -

BlueyesWhere stories live. Discover now