La vigilia delle nozze

431 20 2
                                    

Roma, Iunus (giugno), anno 699 Ab Urbe Condita

Donare il suo passato alla Dea Fortuna Virginalis, per un futuro già segnato, era ciò che ogni giovane donna prima di sposarsi doveva fare, e Decmidia non poteva sottrarvisi.
Il passato della giovane, come tutte quelle nella sua situazione, era ormai cosa da lasciare alle spalle. Il giorno successivo si sarebbe sposata, e la sua vita non sarebbe più stata in casa dei suoi genitori e dei suoi fratelli.
Era passato poco meno di un anno dal suo fidanzamento con Maecilius, e lo aveva visto solamente un'altra volta dopo quel pomeriggio.
Era venuto con il padre, suo futuro suocero, nella sua abitazione, per svolgere alcune pratiche con Etius, e lei era stata chiamata per qualche minuto in quella stanza, aveva dovuto respirare la sua stessa aria, e si era sentita soffocare. Aveva davvero sperato che in futuro potesse cambiare idea, che le sue impressioni fossero errate, e lo sperava ancora, anche quel giorno di giugno, poiché ciò non era ancora avvenuto.

Nei mesi che erano intercorsi tra il fidanzamento e quel giorno, aveva iniziato ad abbandonare gradualmente la sua vecchia vita, per sentire meno il distacco quando se ne sarebbe andata e di conseguenza per essere preparata alla sua futura vita, o almeno era quella l'intenzione di sua madre e dell'intera famiglia.
Aveva pian piano iniziato a vedere sempre più di rado Clelia, la quale sapeva che sarebbe successo, prima o poi, e ne soffriva terribilmente.
Le sue giornate si erano ridotte a essere istruita su come diventare un'eccellente matrona, come obbedire al marito, essere una donna di casa, ma senza mai perdere la propria dignità, la moralità e la riservatezza, con la solennità e l'eleganza che lo status le richiedeva.

«Maecilius non avrà di che lamentarsi!» si era lasciata sfuggire la madre una volta, «Una moglie bella e devota, chi la ripudierebbe...?»

E poi, pensava ai figli. Come avrebbe potuto lei, che quasi non riusciva a prendere in braccio la sorellina di otto anni, accudire un bambino? Come sarebbe stato il parto? E se non arrivasse mai il designato figlio maschio? Maecilius come avrebbe reagito? E se, non fosse stata all'altezza...?
Tante, troppe, erano le domande che si accavallavano nella mente. Le scacciò via scuotendo la testa.

Aveva posto queste domande a Numisia, la pronuba, che avrebbe dovuto accompagnarla per gran parte del matrimonio, soprattutto nel momento più delicato di tutti: quello prima di giacere col marito.
Era un'amica di famiglia, sposata da anni una sola volta, la sua presenza alle nozze era essenziale e di buon auspicio per i futuri sposi.
Da mesi vedeva quasi sempre e solo lei, che la confortava, risolveva i suoi dubbi. Non c'era nessun altro, Numisia, la madre e Cincinnata, un'altra donna che sarebbe stata al suo fianco il giorno successivo.
Clelia, ci sarebbe stata, ma non poteva fare molto. Era ancora una bambina, non una donna capace di essere utile alla sposa in un giorno tanto importante. E questo a lei spezzava il cuore, probabilmente, non l'avrebbe più rivista dopo quel giorno. Si sarebbe circondata delle compagnie che voleva Maecilius, delle schiave che voleva Maecilius, nella casa di Maecilius...
Lì per lì non seppe se ritenerla una disgrazia o l'inizio di una vita probabilmente migliore. Forse le avrebbe giovato, o forse no...

In ogni caso, quel pomeriggio, era diretta in uno dei tanti templi di Roma, per consegnare i suoi balocchi d'infanzia e la toga pretexta, e consacrarli alla Dea Fortuna Virginalis.
La madre e la schiava l'accompagnavano per le vie della città eterna. Osservava ogni persona che le si avvicinava, e supplicava attraverso gli occhi di portarla via, nella speranza che ricambiassero lo sguardo.
Ma nessuno sembrò interessarsi a lei, anzi, tutti la ignorarono, ognuno era troppo impegnato a badare a sé, a guardare avanti, a pensare ad altro. Solo lei era desiderosa di aggrapparsi ad ogni pretesto, allo sguardo di ogni persona, per sfuggire da quella situazione. Non voleva staccarsi dal suo passato, non era pronta. Non voleva sposarsi il giorno successivo. Eppure alla sorte non ci si poteva sottrarre.

Una volta arrivata davanti al tempio, sospirò. La palla arancione le copriva i capelli, sopra la tunica aveva la toga pretexta, orlata di color porpora, e con le mani reggeva il cesto contenente i suoi ormai vecchi oggetti personali.
Decise poi, di entrare.

Prima di porli sull'altare davanti alla statua della divinità, si concesse qualche minuto per dare un'ultima occhiata a quelle cose.
Lì dentro aveva messo una piccola bambola fatta di stoffa imbottita, insieme a tutto il suo corredo, quanto ci aveva giocato insieme a Clelia!
Le avevano dato anche dei nomi alle loro bamboline, la sua si chiamava Iulia, come la moglie di Gaio Mario, del quale il padre le parlava sempre, quelle rare volte che conversavano... era stato un modello per il genitore, anche se non lo aveva mai conosciuto, e lei, ammaliata da tutti quei racconti, della guerra in Numidia, della guerra civile contro Silla, che il condottiero aveva intrapreso in vita, non facevano altro che appassionarla, e così aveva deciso di chiamare così la sua bambola. Quella di Clelia, invece, si chiamava Lavinia, come la figlia del re Latino di Alba Longa, moglie di Enea, il capostipite del popolo romano.

Quante avventure si erano inventate durante quei pomeriggi che parevano infiniti, sotto il cielo di Roma.
E poi, una palla di stracci tutta rotta, regalatale dal fratello Fundanus, poiché lui ne aveva fatta una nuova all'epoca, e quella non gli serviva più. Si fermò a pensare dove si trovasse in quel momento, forse in Gallia a combattere al fianco di Cesare, o su altri fronti del confine per fronteggiare i barbari...
Inoltre c'era la moneta per giocare a Capita aut navia.
La sua tabula lusoria.
Tutto lì dentro, e destinato alla Dea. Tutti quei ricordi, sarebbero dovuti rimanere tali, e depositati per sempre lì. Ora sarebbe stata una donna.
Posò la cesta sull'altare. Stava per andarsene quando, ricordò di dover donare anche la toga pretexta. Quello non fu di certo più facile. Chiuse gli occhi, e se la tolse. Quando la ebbe tra le mani la tenne tra di esse per un po'. Ora non era più inviolabile, la toga che indicava la sua fanciullezza era stata tolta. Suo marito avrebbe potuto fare ciò che voleva, ufficialmente, non era più una bambina.
Sorprendente come, da un momento all'altro si era ritrovata dal giocare ancora con Iulia, e il giorno dopo a dover lasciare tutto nel tempio, e a dover imparare come essere una matrona, con un marito, e dei futuri figli.

Finalmente, posò anch'essa sull'altare. Disse due parole per la Dea. E si allontanò.
Non riusciva a stare lì un minuto di più, se ne sarebbe pentita e sarebbe probabilmente scappata, dove non si sa, nessuno però sarebbe stata pronta ad accoglierla. Era comunque in trappola...

La madre, quando la vide accennò un sorriso, e insieme alla schiava, la accompagnò fuori dal tempio.
Una volta uscita, la ragazza si toccò l'Anulus Pronubus che portava al dito. D'ora in poi sarebbe stata quella la sua vita, niente più tempo per i giochi.

Decmidiae nuptiae - il matrimonio nell'antica RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora