Capitolo 41

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20 Mo'gh M'eskar 1842 - Monte Haksh, Haksh

Shoudhe fece cenno a K'eirh di proseguire con il ragazzo dal doppio otzi verso la loro destinazione. I due suricati affiancarono quei corvi, ospiti lontani, per scortarli all'uscita e poi fino al porto. Da lì, avrebbero ripreso subito la loro nave per tornare a Harfnag.

Il rinoceronte non ebbe né la forza né il pudore di seguirli. Era in preda al panico e si appoggiò sulla porta dell'ufficio appena chiusa. Nella sua mente, la sbatté numerose volte e la colpì con i suoi pugni; il legno che gemeva rimase solo nei suoi pensieri.

Haksh era in pericolo, in un pericolo che al momento non aveva ancora nessuna forma, ma Shoudhe sapeva esistesse. Credette fosse tutta colpa sua.

Non avrei mai dovuto trattenere una zebra al maturamento senza informare l'Eternità!

In quel giorno che sembrava anonimo, un altro ge'th era venuto a conoscenza del suo peccato e le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Sebbene anche Harfnag sarebbe stata punita, il reato di Haksh era inimmaginabile. Nel migliore dei casi, gli Eterni avrebbero eliminato la bozanj e incarcerato gli otzici nelle sue segrete: Haksh ne sarebbe uscita devastata. Al peggiore non volle nemmeno pensarci. Doveva trovare un modo per far restare il suo ge'th il più pulito possibile, così analizzò un attimo le varie possibilità.

Harfnag poteva mantenere il segreto se reputava più grave il suo ingresso, rispetto alla presenza di Shoum'e a Haksh: in fondo, l'infrazione dei corvi attaccava uno dei Pilastri, la colpa del rinoceronte non era nemmeno scritta. Si trattava semplicemente di un'omissione. Se nessuno avesse parlato, tutti si sarebbero salvati. L'omertà di questa opzione era molto allettante per Shoudhe, nonostante provasse per essa un vivo rifiuto.

Perché, fino a ora cosa hai fatto?

Un'altra possibilità vedeva Harfnag confessare all'Eternità i peccati di entrambi, i corvi avrebbero trovato il modo di girarla a loro favore.

Devo evitarlo a tutti i costi. Per Haksh! Fondatori, datemi una mano.

Si palesò un'eventualità ancora più assurda: Houghin e N'uhin stavano facendo un doppio gioco. Il rinoceronte non sapeva infatti se avessero preso contatti con altri ge'th, ripetendo a tutti lo stesso copione per sondare il terreno. Se così fosse stato, Haksh era appena diventata il capro espiatorio di qualsiasi cosa stessero tramando. In quel caso nulla avrebbe avuto più senso: erano spacciati.

Disperato, si lasciò cadere sullo schienale della poltrona, le spalle rivolte alla capitale. Volle guardarla come se fosse stata l'ultima volta, era sicuro non avrebbe più goduto di quella vista ancora a lungo. Era sempre stupenda.

Nonostante conoscesse alla perfezione i giochi d'ombra nella città, le curve delle colline e i mulini lontani mossi dal vento, non smetteva mai di meravigliarsi. Per un attimo, riuscì quasi a dimenticare tutto. Non era più disperato, ma il fastidio di essere stato ingannato iniziò a incatenarlo in una morsa sempre più stretta e scomoda. Non poteva crederci.

Gli venne in mente il primo incontro che ebbe con i diarchi; erano passati all'incirca vent'anni. I due corvi, appena trentenni, avevano accompagnato il loro governatore, Hous, per imparare le dinamiche tra ge'th. Il gufo li aveva presentati, ridendo, come 'la fine' di Harfnag e ciò mise i due gemelli in imbarazzo. Ricordò che quell'Ouakabh fu davvero emozionante, era il 195 esimo e ricorrevano i 1755 anni dalla prima assemblea e, per celebrare quell'evento, tutti i governatori e i tre eterni condivisero la loro energia donandola all'Eternità. Shoudhe provò a far riemergere quella sensazione di pace olistica che aveva avvertito quel lontano giorno.

Vide Hous nei suoi ricordi camminare con i due corvi al suo fianco e li introdusse dicendo: "Non smettere mai di fidarti di loro".

Quell'immagine lo scombussolò nel profondo: credeva in Hous, ma era scettico verso quei gemelli; se anche si fosse fidato, non poteva credere a ciò che dicevano. Era troppo ridicolo pensare che Haksh condividesse con Harfnag una profezia vecchia millenni che nessuno aveva mai scoperto.

Verificare lo avrebbe però aiutato a capire se dare credito o meno alle loro parole. Sapeva si trattasse di un'idea folle, ma la fiducia che provava per Hous e il desiderio di far sì che Haksh non fosse in pericolo lo spinsero a provare. Controllare non avrebbe però risolto il problema di Shoum'e.

Cosa devo fare con lui? Devo cacciarlo finché sono in tempo o devo farlo restare?

Piantò i gomiti robusti sulla scrivania di tasso e si sentì sconfitto. Shoum'e non era soltanto un ragazzo del suo maturamento, era un miracolo della natura: la sua unicità significava moltissimo per il futuro di Haksh. Ma se il ge'th fosse stato ritenuto colpevole, valeva la pena far pesare sulla coscienza di quel ragazzo la vita di migliaia di innocenti?

Cos'è più importante, la sopravvivenza di Haksh o i sogni di un ragazzo?

Il dilemma avuto lune fa si ripresentò più forte che mai. Si detestò quando pensò che, se fosse stato soltanto il governatore di Haksh, la soluzione sarebbe stata semplicissima. Voleva urlare, ma sgombrò di colpo il suo tavolo con furia repressa. Mentre i fogli planavano, lo colpì con entrambi i pugni.

Doveva ritrovare la calma, perciò decise di uscire dal suo ufficio e di camminare per il monte: non si sarebbe fermato per nessuno. Era diretto verso l'esterno di quei cunicoli ora soffocanti, voleva vedere liberamente il mondo. Dopo anni passati a fare il maturatore e poi il governatore, non riusciva ancora a capire cosa avessero visto in lui i suoi predecessori. Si sentì piccolo e solo davanti a quelle terre che gli era stato chiesto di proteggere.

Forse è proprio questo il punto: è una decisione troppo grande per essere affrontata soltanto da me.

Gli altri maturatori avrebbero potuto aiutarlo, sarebbero arrivati insieme alla soluzione. Ma prima voleva verificare due cose, riprendere il lascito dei governatori per confrontarlo con le teorie dei corvi e chiamare Shoum'e; lo avrebbe convinto a raccontargli tutto ciò che sapeva del proprio arrivo a Haksh. Una volta fatto ciò, si sarebbe riunito con gli altri.

La decisione che prese assieme ai maturatori non fece che facilitare un percorso già segnato da secoli.

Rientrò immediatamente nel monte e si diresse nella cripta alla ricerca di un qualcosa che non aveva mai visto prima. Il governatore precedente, una lupa ormai morta da moltissimo tempo, gli comunicò solo una formula da recitare davanti alla colonna con il mio braccio.

Il tanfo di pelo bagnato lo investì in pieno inebriandolo, per la fretta se ne era dimenticato. Mentre scendeva i gradini in pietra, le mie piccole compagne sparse iniziarono a brillare sulle pareti della cavità; la luce emanata non era mai abbastanza. Non era mai sceso lì da solo e non aveva mai notato quanto in realtà quell'ambiente fosse grande. Evitò alcune stalattiti e si poggiò su alcune concrezioni per raggiungermi: eravamo nuovamente io e lui. Rivide nella sua mente il bivio nel quale lo gettai al suo maturamento, se mi avesse toccato gli avrei fatto capire che ero fiero di lui.

Si accovacciò verso la colonna.

"I sei fondatori sono con me. Nelle mie vene scorre la loro saggezza e il mio cuore è puro come il loro. Chiedo alla pietra di ascoltare la mia preghiera, mostrami ciò che ti è stato affidato."

Il piccolo pilastro iniziò a vibrare. Una nuvola di polvere si riversò lungo un'apertura appena comparsa nel fusto. Un'antica forza magica spostò l'apertura mostrando a Shoudhe una nicchia con un vecchio papiro arrotolato al suo interno: iniziò a sudare.

Lo prese e lo srotolò con cura.

"Le sei integrità dell'occhio porteranno alla luce la duplice essenza marchiata dello striato."

Lo lesse numerose volte e tutto divenne chiaro: i corvi avevano ragione.

Quella verità si abbatté su di lui come un fiume in piena. Quel messaggio aveva attraversato i secoli per giungere fino a lui. Tutta la sua vita, la vita di Haksh stessa e perfino le intenzioni dei fondatori furono in funzione del momento in cui Shoum'e avesse avvertito i miei odori. Una lucida negazione lo attraversò, quel ragazzo non poteva determinare in maniera irreversibile la vita nel tempo di un ge'th, anzi dei dodici ge'th. A maggior ragione volle parlare con lui, doveva sapere ogni cosa: doveva sapere chi era Shoum'e.

Rimise il papiro nella suo loculo nascosto e si apprestò a uscire dalla cripta quando la paura riaffiorò.

E se tutto ciò fosse vero?

Non poteva essere reale, nonostante ogni cosa sembrasse indicare il contrario. Come quando era un ragazzo, Shoudhe si sentì veramente confuso e spaventato.

I figli dei SamathWhere stories live. Discover now