3. Al lavoro, pensando a te

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La stazione Ostiense, quella domenica mattina, era più affollata e ardente del solito; forse era solo la cattiva sopportazione di Valerio a renderla tale.

A seguito delle norme antiterrorismo il Governo aveva aumentato la sicurezza nei luoghi pubblici, impiegando almeno una coppia di militari in ogni zona di transito.

Il ragazzo e il suo collega erano di guardia, vestiti con una mimetica aderente, basco amaranto ben in vista sulla fronte, giubbotto protettivo, mitra in resta e pronto a colpire se vi fosse stata necessità.

La sua unica espressione, da quando aveva iniziato il turno, era un miscuglio indefinito, fatto di sudore e fastidio. Sembrava che stesse per esplodere in un atto di collera da un momento all'altro.

Se non fosse stato l'effetto allucinogeno che provocava il caldo, al compagno di lavoro era parso di vederlo addirittura fumare dalla casacca.

La sua stazza, inoltre, era robusta e procurava un senso di timore nelle persone di passaggio, mentre il commilitone era abbastanza ordinario: un viso allungato con degli occhi scuri e capelli ricci, in parte stempiato.

«Posso sapere che ti prende oggi, fra?» chiese a un certo punto, vedendo che l'altro continuava a muoversi.

«Non sopporto la calura, Renato, anche una statua non resterebbe immobile con quest'afa» avvisò il burbero e poi tornò al proprio posto, continuando a controllare la gente che si affollava per andare verso il centro città oppure a prendere il treno per Ostia.

«E questi se ne vanno al mare a divertirsi...» aggiunse ancora sintetico, incrociando qualche sguardo «ne ho le palle piene di tutto, sai?»

«Credere, obbedire, combattere» rispose Renato con sarcasmo, citando un vecchio detto del ventennio «o forse non è più la tua filosofia di vita?»

«No, lo è ancora. Solo che quando mi sono arruolato, speravo di andare in missione all'estero come ho fatto la prima volta dopo l'addestramento, non certo il controllore di un pollaio in una città piena di stronzi che dovrebbero starsene a casa loro!»

«Sei contraddittorio, Vale. Tu desideri andare a combattere in chissà quale luogo e la gente non può muoversi dove vuole?» La domanda lo spiazzò in un primo momento, poi fu fulmineo nel rispondere.

«A casa mia comando io e se tu mi fai qualche torto, te ne esci a calci in culo. Io sono per l'accoglienza selezionata e soprattutto, prima gli italiani. Quando c'era il Duce, queste cose non esistevano. E guarda che non eravamo intolleranti, solo più pratici.»

«Ah, ti prego, non cominciare con questi discorsi sorpassati, vediamo di parlare d'altro.

Spiegami piuttosto perché sei così nervoso. Non credo proprio sia colpa di qualche goccia di sudore, abbiamo sopportato di peggio.»

Una lunga pausa di silenzio li prese, mentre aspettavano che passasse una comitiva di asiatici.

Dovevano mostrare tutta la loro fierezza e dedizione nel lavoro e quelle persone li apostrofavano con commenti forse non tutti positivi.

«Ho capito solo cinciun cian!» biascicò Valerio «Chissà che cazzo stanno dicendo e perché non smettono di fotografarci! Sembriamo dei monumenti, per caso?»

«Ma smettila tu piuttosto! Adesso gireranno l'angolo. Vedendo la Piramide gli sembrerà di essere in Egitto e non a Roma. Pensa a quanto s'incasinano il cervello» cercò di farlo ridere Renato, ma l'altro sembrava irremovibile nel suo ostentato nervoso.

Tornarono a esaminare i dintorni, immobili a pochi centimetri dal muro lucido e la folla continuava a camminare avanti e indietro, talvolta riunendosi in piccoli gruppi.

BIANCO NERO ROSSO [ESTRATTO] (pubblicazione completa su AMAZON)Onde histórias criam vida. Descubra agora