Capitolo 13

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Anna riuscì a uscire di casa senza grossi problemi. Per fortuna, suo padre russava e sua madre indossava dei tappi per le orecchie. Una benedizione, visto quanto era stata rumorosa Micol. E poi aveva un’immaginazione esagerata. Molte volte, raccontava cose strane e quasi non le importava di non essere creduta. Anna sorrise, cercando di non lasciarsi prendere dall’ansia. 

Il cielo notturno era limpido e il giardino era in parte illuminato dalla luna. Non che fosse una luce intensa, ma aiutava. Inoltre, nella mano sinistra, la ragazza stringeva il proprio cellulare con la funzione torcia attiva. Si mosse con decisione verso gli alberi, ma comprese di essere nervosa quando si accorse di aver incespicato un paio di volte senza però cadere.

Il suo corpo le stava dicendo che, lei, in mezzo agli alberi di notte non era così sicura di volerci andare. Proprio lei, la tredicenne che aveva il divieto assoluto di uscire da sola, si era ritrovata fuori casa nella quasi totale oscurità. E, per di più, non era neppure certa di cosa stesse facendo. Era possibile essere contattati in sogno? Non lo sapeva. Di certo attorno a lei nell’ultima settimana stavano accadendo cose molto difficili da spiegare.

E lei non aveva intenzione di ignorare tutto ciò. Sarebbe andata in fondo alla questione dei segreti della propria famiglia. Avrebbe dimostrato a se stessa che avere genitori iperprotettivi non faceva di lei una bambinetta debole e timorosa.

Non avendo nessuna indicazione sulla direzione da seguire e neppure sul luogo esatto dell’incontro, Anna scelse un punto al limitare del bosco nel quale due alberi erano abbastanza distanziati da semplificarle il passaggio. Addentrandosi sempre più, man mano che procedeva, in quell’insieme di erbacce, rami e terreno accidentato si rimproverò per non aver preferito delle scarpe da ginnastica alle ciabattine in gomma che indossava.

Il richiamo di un volatile notturno la fece sobbalzare. Ciò nonostante Anna proseguiva il suo percorso con ostinazione. 

  «C’è nessuno?? Sono qui come una matta a urlare in mezzo agli alberi di notte. Mi hai chiamata e sono qui… Preferirei parlare con qualcuno invece che da sola. So che sei qui! Fatti vedere, per favore. Sono Anna, la nipote di Giov… Di Heim».

Un momento dopo, cellulare e torcia si spensero.

«Non ho paura! Io resto qui.»

All’improvviso le venne un’idea. L’idioma Psyon.

«Sono Anna! Sono nel bosco come mi avete fatto vedere in sogno. Voglio sapere, perché ho delle capacità strane. Voglio sapere da dove vengono questi talenti! »

Lentamente, a circa due metri da lei, la ragazza notò accendersi delle luci bianche. Erano molto più grandi di quelle prodotte da una lucciola. Nel fitto della vegetazione, lei riusciva a intravedere frammenti di oggetti con una forma geometrica, ad esempio degli angoli. Eppure, per quanto si stesse sforzando, non le riusciva di vedere bene nessuno di quegli strani oggetti fluttuanti e luminosi. Mentre Anna era voltata a sinistra, si accorse che a un metro da lei, di fronte a lei c’era qualcuno. Lasciò perdere l’osservazione delle luci e si volse di scatto.

Aveva davanti un uomo alto che dimostrava forse trentacinque anni, mai visto prima eppure familiare. Somigliava un pò al bisnonno di Anna.

«È bello incontrarti Anna. Mi chiamo...»

«Enamis» lo interruppe lei.

«Giusto. Brava. Mi diceva tuo nonno che sei sveglia».

Anna non riuscì a capire se fosse emozionata o ansiosa. Sentiva una strana energia, che in un istante le aveva fatto dimenticare sia il sonno che quanto fosse, da un punto di vista oggettivo, pericolosa quella situazione. 

Era stata guardata a vista e sorvegliata fin da piccola, neanche fosse stata una  principessa. Ormai aveva deciso che della prudenza non le importava proprio niente.

«Tu somigli molto al mio bisnonno. Siete parenti?»

«No Anna, non lo siamo». 

Enamis le aveva risposto con  una voce serena che ispirava fiducia alla ragazza.  I suoi occhi erano verdi, dal taglio orientale come quelli di Anna e del suo bisnonno. Aveva capelli un po’ più scuri di quelli di Giovanni Rossi, ma avrebbe potuto essere la scarsa illuminazione a scurirli, inoltre erano più corti e voluminosi. Rispetto ad Anna era molto alto ed era abbigliato con una casacca chiara lunga, la quale arrivava al ginocchio, e aveva maniche di un tessuto diverso. Queste maniche arrivavano poco oltre i gomiti e ricordavano vagamente un jeans, però avevano degli strani riflessi luminosi. Il collo della giacca che portava la faceva pensare a quello delle uniformi maschili dei licei giapponesi, visti negli anime, ed era fatto anch’esso di quel tessuto riflettente. I pantaloni, attillati come una calzamaglia e scuri, erano visibili al di sotto di un paio di altri calzoni più larghi e semitrasparenti, che arrivavano fino ai piedi. Le calzature che indossava, a prima vista, parevano rivestite di metallo lucido.

Anna si rese conto che lo stava guardando fisso, non appena continuò a parlarle. Quindi lo guardò negli occhi per meglio ascoltarlo.

«Gli abitanti della vostra Cina, o anche dell’India, si somigliano tra loro».

«Venite dallo stesso paese quindi siete simili. È così? Da dove venite voi due?»

«Da Gralis» le rispose.

«Gralis? Non ho mai sentito di un posto così, ma non sono molto brava in geografia… Scusa. Di quale nazione fa parte questo vostro paese d’origine?»

«Potremmo definire Gralis una nazione, se ti aiuta a capire» fece una pausa come per cercare le parole,«ma Gralis è un pianeta».

«Cioè, tu saresti un alieno?? Alieno tu, alieno mio nonno… E cosa sono io?? Io… Devo… Devo sedermi» ciò detto Anna si accovacciò per sedersi a terra, tenendo la schiena contro il tronco dell’albero più vicino.

Enamis la imitò, riducendo di qualche passo la distanza tra loro. Era seduto alla sua sinistra, proprio di fianco a lei. C’era un extraterrestre proprio accanto a lei. Aveva sempre vissuto con il proprio bisnonno, il quale era esattamente come lui. Non riusciva a crederci. Eppure dei segnali c’erano stati, si disse.

«Capisco la tua confusione, Anna. Sono qui per rispondere ai tuoi dubbi. Sarò costretto, però, a raccontarti una versione corta della storia, perché presto dovrai tornare alla tua casa, quindi c’è poco tempo. Devo permetterti di capire la situazione, prima di poterti chiedere aiuto. E questo è il secondo motivo per cui sono qui». Anche Enamis, come Anna, smise di parlare in idioma Psyon in modo da metterla a suo agio.

«Se sarò capace di aiutarti… E se è per una buona causa, per qualcosa buono, ti aiuterò. Basta che non vogliate invadere la terra! Ma per quello di solito andate in America, mi sembra. Intanto sono qui e ti ascolto. Comincia, ti prego, col dirmi cosa, ehm che cosa… Chi sono io. E se ci sono altri come me. Che cos’è la bisnipote di un extraterrestre?? Non ho mai sentito niente del genere» fece lei guardandolo dritto in viso. 

«No, non vogliamo invadervi. La terra ha ben poco a che fare con ciò che voglio chiederti. E comunque un discendente di uno Psyon, di terza generazione come te e nato dall’ibridazione con i terrestri, è uno Psyonumano. Un umano differente. Diverso anche dagli Psyon e reso unico dalle sue differenze, dai suoi punti di forza».

Camp Green SpaceWhere stories live. Discover now