1. Come ti chiami?

13K 402 349
                                    

Zoe

«Zoe, il tavolo 3 aspetta da dieci minuti il suo ordine» si lamentò Malcom, il caposala. «Puoi sbrigarti?»

Prendendo i piatti, sospirai. «Sai, Mal, saprebbe più facile se assumeste altre persone anziché tenere solo due cameriere.»

Malcom non mi rispose e io roteai gli occhi, portando prima l'ordine al tavolo 3 e poi al 5. Io e Rosalinda ci occupavamo di due parti diverse della sala, ma a quest'ora, soprattutto trovandosi a fianco all'università, il locale era affollatissimo.

Guardai velocemente l'orologio e vidi che erano solamente le sei del pomeriggio e che mancava ancora molto prima che il mio turno finisse. Non osavo dire che lavorare lì fosse divertente, ma durante i fine settimana riuscivamo a mettere la musica e con Rosalinda ci divertivamo a pulire con le sue melodie latine a tutto volume nelle casse, dopo l'ora di chiusura.

Sorrisi educatamente a un cliente e, nello spostare lo sguardo dal suo tavolo per concentrarmi su un altro, vidi con la coda dell'occhio una macchina troppo vicina alla mia e una persona che stava scendendo per guardare il paraurti.

«Oh, no... oh, no, no, no, figlio di...» Non mi preoccupai neppure di togliermi il grembiule o dare spiegazioni per la mia uscita: ormai erano tre anni che lavoravo lì e tutti sapevano quanto mi impegnassi a svolgere le mie mansioni.

Mi avvicinai in tempo per sentire l'uomo borbottare: «... parcheggiato così?»

«Io ho parcheggiato così» sbottai innervosita mentre osservavo l'uomo voltarsi verso di me. In realtà si trattava di un ragazzo, più o meno della mia età.

Okay, il fatto che fosse bello non diminuiva la mia rabbia.

Okay, forse in parte sì.

Mi sembrava di averlo già visto.

«E ti pare il modo?» Indicò la mia macchina, la quale aveva il faro posteriore destro rotto e il paraurti attaccato solo da una parte.

Sgranai gli occhi. «Scusami? Ti devo far notare il modo perfetto in cui la mia macchina sta nelle linee del parcheggio? Sei tu quello che mi è venuto addosso.» Avrei scommesso dieci dollari che stava usando il telefono alla guida.

Il ragazzo chiuse gli occhi e prese un bel respiro, così io decisi di osservarlo meglio. Ci impiegai diversi minuti a capire che era Andrew Myers, il playmaker della squadra di basket dell'università. Non ci avevo mai avuto niente a che fare prima e di certo non avevo nessun interesse a farlo ora, considerando che mi aveva appena sfasciato la macchina, però l'occhio faceva la sua sporca parte.

Le iridi azzurre spiccavano sui capelli neri anche grazie alla luce del sole, e il suo corpo era proprio come quello dei giocatori professionisti: alto, snello e muscoloso. Il volto possedeva lineamenti duri e decisi, ma quando buttò fuori l'aria, la faccia gli si rilassò e tornò a guardarmi facendomi deglutire. Avevo sentito così tante cose su di lui che averlo davanti sembrava quasi strano. Tutti al campus osannavano questo ragazzo perché era gentile e simpatico con chiunque, ma a questo punto ero quasi certa che la gente lo amasse principalmente per la sua bravura e la sua bellezza.

«Okay, allora» iniziò lui, infilando le mani nelle tasche in cerca di qualcosa, «ti pago i danni e finiamola. Quanto vuoi?»

Aggrottai la fronte. «Quanto vo—? Ma io non sono un meccanico, non so quanto costeranno questi danni!»

Andrew si grattò la base del naso e piegò la testa di lato. «Come ti chiami?»

«Zoe» risposi indicando il cartellino che avevo sul petto.

Sorrise in imbarazzo, poi mi porse la mano. «Io sono Andrew.» Vedendo che non gliela stringevo, la abbassò e disse: «Facciamo così, Zoe. Io chiamo un mio amico che è meccanico e te la faccio aggiustare, così siamo a posto.»

Puoi trovarmi a New York (COMPLETA)Where stories live. Discover now