capitolo 7

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Pedalo fino a casa e lego la bici al solito palo nel nostro cortile posteriore. Sono le cinque e mezza passate, non mi ero accorta di aver fatto così tardi.

Salgo le scale del palazzo ed entro in casa, mia madre sbuca di colpo dalla cucina e mi viene incontro, a passo di carica e la faccia arrabbiata.

«Si può sapere dove sei stata finora? Ho provato a chiamarti mille volte, ma il tuo cellulare è scarico!»

Resto spiazzata dalla sua sfuriata. Prendo il cellulare dalla tasca e in effetti è spento. «Scusa, non mi ero accorto che si fosse spento.»

Ma le mie scuse a lei non bastano. «Sono stufa del tuo voler fare come ti pare. Questa casa non è un albergo.»

«Ti ho detto che mi dispiace. Sono stata un po' distratta, va bene?»

«Sei sempre troppo distratta, ultimamente.» Mi punta un dito contro. «La tua principale preoccupazione dovrebbe essere quella di non far preoccupare noi. Il tuo ragazzo del mondo può anche stare un giorno senza di te.»

«Ma cosa dici?»

«Lo so io cosa dico.» Indica la mia stanza. «Va' in camera tua, stasera quando viene tuo padre decidiamo cosa fare. Ci sono delle regole in questa casa, e vanno rispettate!» Si volta di scatto e torna in cucina.

Mi lascia sola nell'ingresso, confusa come non lo sono mai stata.

Mi rifugio nella mia stanza e mi butto sul letto a peso morto. Il materasso ondeggia, il mio stomaco vuoto protesta. Menomale che ho mangiato qualcosa da Alessandra, altrimenti avrei saltato del tutto il pranzo.

Poso lo sguardo sulle tende della finestra, troppe cose a cui pensare, troppe cose da sistemare. Vorrei potermi addormentare adesso e risvegliarmi quando tutto sarà finito.

O non risvegliarmi affatto...

***

Mi chino per allacciarmi la stringa, torno a sedere composta in macchina, accanto a Samuele che mi guarda con la fronte aggrottata. Non sono più abituata ad andare in sala con loro, e nemmeno lui. Papà me lo ha ordinato, dato che ieri sono arrivata tardissimo a casa senza avvisare, e io mi sono presentata all'ultimo momento alla porta vestita con i pantaloni invece che con la classica gonna. Speravo che mi dicesse che non potevo entrare in sala vestita così e che mi avrebbe lasciata a casa, invece mi ha solo guardata con un'espressione poco felice e ha fatto cenno di andare.

Mi stringo nelle spalle, mi sto abituando ai loro sott'intesi.

Papà entra con la macchina nel cancello di proprietà della congregazione e parcheggia. Tutti si affrettano a scendere dall'auto tranne me. Ma papà si affaccia dallo sportello e mi guarda. «Scendi, vieni anche tu.»

Confusa, scendo dalla macchina e lo seguo dentro la sala. Ma non dovevo entrare dopo tutti e uscire prima di tutti?

La porta dell'ingresso non si è richiusa ancora alle mie spalle che mi sento a disagio. Noto gli sguardi furtivi degli altri, che subito distolgono dalla mia persona. Nessuno mi saluta, nessuno mi guarda per più di due secondi, come se non mi conoscessero. Come se fossi morta.

Seguo papà fino alla sala principale, mi siedo nell'ultima fila di sedie e mi accomodo contro lo schienale; dato che devo stare qui per forza almeno mi riposo. Papà mi lancia una lunga occhiata esasperata e si allontana. Mi tratta come se fossi una criminale. Intanto oggi non sono andata nemmeno all'ospedale, non ci sono riuscita.

Non voglio sentire Enea che prende accordi per la sua operazione...

Lisa si materializza a pochi metri di distanza davanti a me, mi lancia una strana occhiata curiosa e scettica ma non mi saluta.

Anch'io ti aspetterò sempre.Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang