il cane e il lupo

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Ogni notte, quando la luna sta per sparire dietro l'orizzonte, il cane si alza, rivolge il suo sguardo al giorno che avanza e piano intona un canto. Canta di un tempo passato in cui la rugiada imperlava i sottili fili d'erba, quando il suono delle sveglie destava il mondo dal suo riposo. Ogni notte, quando il canto risuona nel deserto caldo, lui chiude gli occhi e prega di poter cancellare il passato. Quando le prime stelle si fanno strada nel cielo, il canto si ferma, lui si siede sulla nuda terra lasciando che la testa gli ricada stancamente sul petto. La gola brucia, la bocca è impastata dalla sabbia e i suoi piedi sembrano bruciare a contatto con la terra arida; ma presto tutto passa, la fame e la sete si placano e il corpo si rinvigorisce, solo il suo spirito rimane spezzato. Prende da terra una pietra dal bordo appuntito, osserva le tante piccole linee sul suo braccio e con fermezza ne incide un'altra. Sono passati dodici anni. Una piccola goccia di sangue scivola dalla ferita fino a terra, il taglio brucia ed è confortante; quando tutto sparisce e la realtà ormai sembra quasi un sogno, il dolore rimane, per ricordargli perché continua a camminare e a sopportare tutto. Resiste al sonno, continua a camminare stringendo il braccio segnato, ma ogni passo diventa più pesante e alla fine cade a terra addormentato. 


Ogni giorno, quando il sole sta per sparire dietro l'orizzonte, il lupo si alza, rivolge il suo sguardo alla notte che avanza e piano intona un canto. Canta di un tempo passato in cui alla fine del giorno il sole si tuffava tra le fronde degli alberi, quando si sentivano gli ultimi cinguettii prima del silenzio. Ogni giorno, quando il canto risuona nel deserto ghiacciato, lui guarda la notte e prega di poter vedere un futuro diverso. Quando i primi raggi del sole iniziano ad illuminare la notte buia, il canto si ferma, lui si sdraia sul ghiaccio freddo e si assopisce con la consapevolezza che sognerà nuovamente. Argento freddo contro il viso, gambe immobili, i polmoni che bruciano ad ogni respiro. Gli occhi fanno fatica ad aprirsi e la testa pulsa per il dolore, ogni voce è ovattata, ogni urlo sembra lontano. Qualcuno lo fa voltare, i raggi del sole penetrano attraverso le palpebre e piano un viso viene messo a fuoco. Una delle voci si sovrappone alle altre e tra i singhiozzi distingue il suo nome. Non piangere, vorrebbe dire, andrà tutto bene, ma la voce non esce, sente solo gli occhi pizzicare e d'improvviso più nulla. Apre gli occhi, le lacrime gli bagnano le guance e un urlo prorompe dalla sua gola diffondendosi per miglia e miglia di nulla assoluto. Urla finché la gola non brucia, finché i suoi occhi non hanno più lacrime da versare. E poi il sonno lo prende nuovamente, dorme, sogna e un'altra volta si sveglia piangendo e urlando. E così continua quell'esistenza dolorosa che sembra non avere mai fine.


Le linee sul braccio aumentano. Il tempo è passato, ma tutto è rimasto uguale. Il dolore, il canto, le parole, il deserto, le montagne che si stagliano all'orizzonte, sempre lontane, mai vicine. E i ricordi. Eccolo. È lì davanti ai suoi occhi, inerme, sconfitto, spogliato del suo potere e c'è silenzio. È davanti ai suoi occhi eppure non vorrebbe vederlo. Peter, sussurra. Nient'altro sembra importante, non la luce che lo avvolge, o i bassi mormorii sorpresi, vede solo il suo amico, steso a terra e sente solo il cuore spezzarsi. Li ha traditi. Capisce improvvisamente. Indietreggia, vorrebbe piangere, urlare, chiedere spiegazioni, abbracciarlo e al tempo stesso allontanarlo. Un vortice di oscurità li avvolge, chiude gli occhi e quando li riapre c'è solo un mignolo. Aveva voluto bene a Peter, lo aveva protetto, ora lo odia.


Sfiora le sue cicatrici. È solo, può solo cantare e camminare, e così continua. Canta più forte, lascia che la melodia si impregni di dolore e alza gli occhi al cielo, a quello spicchio di luna cui è legata la sua vita. Dopotutto è stata colpa sua. I Potter sono morti. Sembrava che la guerra fosse finita, avevano vinto, ma lui non era stato abbastanza attento. Cade in ginocchio, si porta le dita alle orecchie. Non vuole sentire altro. Ho fallito. È colpa mia. Non so cosa fare. Siamo in pericolo. Dobbiamo scappare. Ci serve un piano. Fallirò di nuovo. Non può averlo fatto davvero. Dobbiamo andare via. Ho perso. È colpa mia. Ho fallito. Fallirò di nuovo. Non riesco a smettere di amarlo. I pensieri vorticano in testa. Chiude gli occhi. Stringe forte i pugni. Si alza. Dice qualcosa. Si allontana in fretta. Lui non è al suo fianco. Corre.


Il cielo si tinge di rosso. Il canto non risuona più per il deserto. Un altro giorno è passato. Lui si guarda il braccio segnato, poi le dita. Sospira. Si siede e pensa. Al passato. A suo padre. A sua madre. A suo fratello. A lui. Si chiede dove si trovi, cosa stia facendo e se anche lui stia soffrendo quanto lui. Oppure se abbia iniziato a odiarlo. Dopotutto crede che sia stata colpa sua. Corre. Le gambe si muovono per inerzia. Nella testa lo sguardo maligno di Peter. Quel momento continua a ripetersi tra i suoi pensieri, inesorabile, sovrastato solo dalla consapevolezza che l'ha fatto per Voldemort. Tutto quel dolore, la distruzione, le battaglie, ogni cosa solo per perdere tutto. Un capogiro. Sente la bile salire dallo stomaco. Si ferma e cade sulle ginocchia. La gola brucia, inizia a tossire e le lacrime scorrono sulle sue guance. Stringe i pugni cercando di non urlare e si rialza. Una melodia lontana, quasi impercettibile lo desta dai suoi pensieri. Si alza di scatto e inizia a correre. Prega che sia lui. La sabbia lo rallenta. Cade molte volte. E altrettante si rialza. Sempre più determinato. Corre verso quella voce. È lui. Ne è sicuro.


Molte volte in quegli interminabili anni si è chiesto cosa fosse quel posto. Tutto è bianco, ghiacciato, freddo e vuoto. Forse è ciò che c'è dopo la morte. Non conosce la risposta a questa domanda e nessuno è lì per rispondere alle sue domande. Continua a cantare e camminare. Ma qualcosa sembra diverso. Un rumore lontano. Una voce forse. Alla sua destra. Si volta. Inizia a correre. Scivola sul ghiaccio. Ma si rialza. Corre finché il canto non esce solo a rantoli dalla sua bocca. Ma non si ferma. Sente la voce sempre più vicina. Sente il suo nome. E finalmente vede una figura lontana correrle incontro. Raccoglie le ultime energie. In un ultimo scatto colma la distanza che li separa. E lo abbraccia. Il calore del suo corpo. La pelle morbida. Le braccia forti che lo stringono. La sua voce che continua a ripete il suo nome, a ripetere che non è stata colpa sua. Che era innocente, in fondo, dentro di sé lo aveva sempre saputo. Null'altro ha più importanza. Né il mondo attorno a lui che si è improvvisamente illuminato. Né la sua voce che ha smesso di cantare. Tutto ciò che gli serviva era lì, tra le sue braccia.


Si separano. Le mani ancora strette le une nelle altre. Si guardano. Sorridono. Il cane e il lupo sono di nuovo insieme. Tutto andrà bene.

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