Panic.

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Ashley

Quando rientrai in casa tolsi il cappotto e lo appesi, in meno di due secondi Liam scese al piano di sotto. Si fermò a metà scala e mi guardò.

Indossava una tuta grigia ed una maglietta bianca. In effetti, nonostante il clima rigido, in casa si avvertiva un certo tepore.

Solo quando ci feci caso, sentii lo scricchiolio della legna nel camino.

"Ehi." disse imbarazzato.

"Ciao." risposi, ancora ferma all'entrata.

"Com'è andato il primo giorno di scuola?" chiese, poggiando il fianco al corrimano della scala.

"È andato." dissi semplicemente. Lui annuì, sempre più in imbarazzo, indeciso su cos'altro dire.

"Ti ho mandato un messaggio all'ora di pranzo.. non sei venuta in mensa." disse.

"Ho telefonato ad un mio amico." dissi, chiedendomi per quale motivo mi fossi appena giustificata raccontandogli i fatti miei.

"Non hai mangiato? Hai fame? Se vuoi ti cucino qualcosa." disse.

Mi sembrava di parlare con Rachel, era talmente apprensivo. Non avevo cinque anni, se avevo fame, mangiavo.

"Non ho fame." dissi.

Annuì e poi abbassò lo sguardo, inserendo le mani nelle tasche della tuta. 

"Ti manca?" chiese improvvisamente, tornando a guardarmi.

"Chi?" chiesi, seccata da quella conversazione che stava durando fin troppo.

"Il tuo amico.. quello che hai chiamato." disse. Corrugai la fronte. 

"Non voglio parlarne." dissi.

"Scusa, io.." iniziò, prima che lo interrompessi.

"Salgo di sopra." dissi, salendo le scale, sorpassandolo velocemente. Lo sentii sospirare.

Quando salii in camera, mi sedetti sul letto ed iniziai a pensare che non potevo farcela.

Non potevo vivere in una casa con persone delle quali non sapevo niente. Con persone con cui non parlavo. Per colpa mia, lo sapevo. Ma non riuscivo ad instaurare un rapporto con loro, non volevo integrarmi nella loro famiglia. Non volevo che quella diventasse la mia normalità. Io vivevo come se fosse stato solo un periodo di passaggio.

Ma iniziai a chiedermi se sarebbe mai passato. E se quella fosse stata la casa nella quale avrei dovuto passare tutta la mia vita? Se non avessi mai più avuto l'opportunità di tornare in America? Avrei rivisto Zayn? Avrei rivisto il mio amato oceano? O avrei vissuto per sempre in quella piccola e fredda città dell'Inghilterra?

Notai il respiro farsi pesante, iniziai a sudare freddo, a tremare. Afferrai il telefono e barcollante, raggiunsi il bagno. Chiusi a chiave la porta e nonostante il tremolio della mano, cercai di chiamare Zayn.

Avvertii un forte calo di pressione, dovetti mettermi a sedere per non cadere a terra. Il telefono squillò. Suonò a lungo e lui non rispose.

Il petto mi faceva male, era come un fastidio pungente che non mi dava pace. Non ne avevo mai sofferto prima, ma quello mi sembrò un attacco di panico in piena regola.

Cercai di richiamare Zayn. Non mi rispose.

Il mio corpo sembrava impazzito, alternava brividi a vampate di calore. Cercai di stabilizzare il battito cardiaco, facendo respiri profondi. Ma ogni voltai venivano spezzati dal fiato corto.

Poggiai la fronte al muro per godere della liscia freschezza delle mattonelle.

Inviai una terza chiamata, la quale non ottenne risposta. Avevo bisogno della sua voce, del suo tono premuroso che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene. Avevo bisogno di sentirmi dire "arrivo, tra cinque minuti sono da te".

Just Forget The World | h.s.Where stories live. Discover now