MANUEL

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I giorni passavano lentamente. Era passato solo un giorno dalla sua sparizione e sembrava che fosse passata un'eternità. In classe non ero l'unico che si era preoccupato per lui: anche Chicca e Laura mi chiedevano di lui ma io non volli mai dare spiegazioni anche se sapevo perfettamente dove fosse. Mia madre si era accorta perfettamente che qualcosa mi stesse rendendo triste. «oh Manuel.» mi chiamò dalla cucina. Io - che ero rimasto steso sul letto per tutto il pomeriggio - alzai di poco il capo. «dimmi ma'» mormorai, non ero più lo stesso. Non riuscivo più ad andare a scuola, sedermi accanto al suo banco vuoto, non sopportavo la gente che mi chiedeva dove fosse. «oggi non sei andato a scuola..» spuntò dalla mia porta appoggiandosi con la spalla allo stipite di essa. «che ti prende?» mi chiese con aria seria sapendo che sarebbe stato difficile tirarmi fuori le parole di bocca. «niente, non te preoccupà.» ovviamente non diedi segni di debolezza e non accennai nulla di ciò che mi stava ferendo nel profondo. «so di Simone, mi aspettavo che me ne parlassi tu, ma a quanto pare devo smettere di sperarci.» non doveva fare così, mi avrebbe fatto sentire ancora peggio, i sensi di colpa  per essermi tenuto dentro tutto mi travolsero. Rimasi steso sul letto senza nemmeno guardarla. «non sai niente invece.» ribattei senza nemmeno pensarci mostrando quanto in realtà mi importava di quella vicenda. «allora spiegami Manuel perché non si capisce mai nulla di quello che succede tra te e lui.» anche questa frase mi fece riflettere, in realtà non c'era molto da spiegare: eravamo molto amici, avevamo entrambi fatto delle cazzate di cui ci pentivamo, eravamo uniti come fratelli poi io lo avevo scacciato ripetutamente per i sentimenti che provava per me. Non perché fossi contro gli omosessuali semplicemente sapevo che non ero abbastanza per lui, avevo ridotto un bravo ragazzo a diventare un tipo come me, si era messo in pericolo, mi ero allontanato proprio quando aveva più bisogno del mio aiuto, se aveva provato a togliersi la vita era anche colpa mia. Una lacrima, solitaria, rigò lentamente il mio viso scivolando fino all'orecchio a causa del fatto che ero ancora steso. «oh, Manuel stai piangendo?» il tono duro era sparito lasciando spazio solo alla preoccupazione di una madre quasi troppo apprensiva. Si sedette accanto a me cercando inutilmente il mio sguardo che era improvvisamente vuoto, come se non valesse la pena aggiungere altro. «è colpa mia..» sussurrai così da contenere la voce spezzata che mi stava tradendo. «non è colpa tua, mi spieghi che è successo?» mi domandò accarezzandomi il braccio. Stavo per rifugiarmi tra le sue braccia, confessarle tutto quello che non ero mai riuscito a dirle a causa del mio eccessivo orgoglio, volevo piangere abbracciato a lei, liberarmi di tutta la tristezza che in realtà sarebbe sparita solo con Simone di nuovo al mio fianco. Quando mi stavo per abbandonare allo sconforto mi drizzai in piedi camminando a grandi passi verso l'uscita di quella casa, diventata opprimente. «Manuel! Manuel torna qui! Stavamo parlando! Manuel!» urlò Anita mentre io ero già fuori, in sella alla mia moto, non avevo meta, non sapevo chi poteva aiutarmi, non sapevo chi contava realmente, che scopo aveva la mia vita.

Era quasi il tramonto di una giornata di metà ottobre. Era freddo e non mi sentivo più le mani mentre guidavo, mi diressi davanti a scuola che probabilmente sarebbe stata del tutto deserta a quell'ora. Mi sedetti sul muretto dopo aver messo via il casco e le chiavi, rimasi lì mentre ancora l'unica lacrima lasciava quella sensazione di umido sulla pelle. Mi passai una mano sul viso quasi sul punto di piangere di nuovo, di scoppiare a piangere come un bambino. Presi il telefono tra le mani, andai sulle chiamate e mentre stavo per chiamare Simone per fargli capire che mi sentivo una merda per quella videochiamata cambiai idea facendomi prendere dal mio solito orgoglio. Guardai avanti sognando ad occhi aperti tutti i momenti belli che avevamo passato in quello spiazzo: tutti gli abbracci, io che giocavo a fargli lo sgambetto, lui che mi rubava -quando ne aveva l'occasione- le chiavi della moto. Lasciai che altre lacrime rigassero il mio viso reso gelido dal freddo invernale, non avevo la forza di andare avanti senza di lui.

Fu proprio quando realizzai la sua totale assenza che capii di essere innamorato di lui.

Accettare una cosa del genere non era facile, accettare i propri sentimenti era complicato, sopratutto quando vi erano ancora etichette dispregiative per coloro che amavano le persone dello loro stesso sesso, sapevo che non avrei fatto una grande figura a scuola, anche se sapevo che i miei amici mi avrebbero accettato così com'ero non ero del tutto tranquillo e sicuramente non l'avrei detto a nessuno. Su questo non vi erano dubbi, ero bravo a camuffare ciò che provavo realmente, ad esempio in quel momento sembravo un ragazzo che piangeva disperatamente per la perdita del suo unico amico, e non di certo per il suo amato. Sapere che comunque ero ricambiato mi scaldava il cuore ma non sistemava il problema: Simone era lontano e convinto che non provassi nulla per lui. Dovevo mettere in atto l'unico punto forte che mi era rimasto. Dovevo tentare.

Il giorno dopo mi recai a scuola dopo un giorno di totale assenza, non sono dall'ambiente scolastico ma non mi feci sentire in generale, non parlai con nessuno per un giorno intero se non con mia madre, anche le nostre conversazioni non erano per niente profonde. Arrivai comunque con qualche minuto di ritardo, aprì la porta dell'aula senza nemmeno bussare. Mi ritrovai Dante e tutti i miei compagni con gli occhi puntati su di me, sembravano dei fari. Alcuni sorridevano, altri erano sbalorditi alla mia vista. Sorrisi appena e il professore fu il primo a rivolgermi la parola. «ciao Manuel, bentornato.» devo dire che l'ambiente scolastico mi era mancato davvero tanto, sopratutto la leggerezza delle lezioni di filosofia, mi erano mancati discretamente anche i miei compagni di avventure. «buongiorno.» risposi avviandomi verso il mio solito banco battendo il cinque di sfuggita a Matteo che era rincuorato dal mio ritorno. Anche Chicca si girò verso di me sorridendomi. «dopo parliamo un po' Manuel, che ne dici?» mi chiese ed io annuì con un piccolo sorriso in volto. Sorridere mi era difficile proprio perché accanto a me vi era ancora il banco  vuoto, ancora non avevo realizzato che se n'era andato. «ha notizie di Simone?» chiesi subito al prof prima che si rimettesse a spiegare, avrei messo davanti a lui qualsiasi cosa ora che i sentimenti erano chiari nella mia mente, almeno non regnava più la confusione di prima. «no, non mi ha voluto parlare...ma sappiate, cari ragazzi, che sta bene..su questo sono sicuro.» e sapevo che non mentiva, ora non sentiva più la mancanza di sua madre, non era abbandonato al suo destino. Ci rimasi un po' male, ero deluso da quella riposta, ero l'unico che era riuscito a contattarlo?

All'intervallo seguì Chicca vicino alla macchinette e mi appoggiai al muro con la schiena. «dimme'» dissi un poco scocciato, non avendo voglia di stare al suo tira e molla di mesi fa, ormai tra di noi era chiaramente finita. «perché non vuoi dicce dove sta Simone?» domandò incrociando le braccia al petto, sospirai ritrovandomi con le spalle al muro. «perché non lo so manco io Chicca.» risposi seccamente sentendomi attaccato. Avevo i miei motivi per non dirlo. «non te rendi conto che più siamo e più aumentano le possibilità di farlo tornare?» doveva ricattarmi forse, farmi ragionare, ma io vedevo solo Simone come qualcuno di lontano ora come ora, gli avrei parlato io quella sera. Dovevo fare tutto io, loro non centravano. «Chicca, non è così che funziona va bene?» feci per sorpassarla ma lei mi prese per il polso facendomi voltare, alzò il tono di voce. «non se hai capito, qui la situazione è grave, è scomparso nel nulla Manuel! Come fai ad essere così tranquillo? Dato che sappiamo tutti che qui quello che ci tiene di più sei tu è ovvio che sai dove sta!» sbottò ed io alzai gli occhi al cielo, per niente contento di quella scenata che stava facendo davanti a tutti, anche i nostri compagni ci fissavano. In effetti se non sapessi che Simone stava bene a casa di sua madre sarei andato di matto. «e va bene! Simone è andato ad abitare da sua madre, non so dove ok? Mi vuoi lasciare in pace adesso? Cazzo Chicca, riesci a non fare scenate come na' bambina di tre anni?» le urlai contro e lei invece di incazzarsi si calmò, il suo sguardo si abbassò verso il pavimento ed io fui travolto dai sensi di colpa, di nuovo. Sembrava in una fase di riflessione. «e che cazzo avete voi da guardare? Andatene affanculo in classe, forza!» feci un gesto e gli altri mi assecondarono proprio perché sapevano che ero quella che stava soffrendo di più per la sua sparizione.  La ragazza dalla frangetta che cambiava colore in base al suo stato d'animo mi fissò negli occhi, uno sguardo diverso dal solito come se fosse riuscita a congiungere tutti i puntini, come se fosse riuscita a trovare la risposta che tanto stava cercando. Si avvicinò a me come se volesse confessarmi un segreto. Io all'inizio non capì ma per non peggiorare la situazione mi limitai a guardarla a mia volta. «sei innamorato di Simone?» quella domanda mi devastò.

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