Casa

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John era seduto sulla sua poltrona al 221B di Baker Street. Davanti a lui Sherlock era immobile, seduto nella sua solita posizione, mani congiunte sotto le labbra, come se stesse facendo una preghiera, e gli occhi chiusi. Circa un ora prima si era presentato una cliente e aveva esposto il suo problema. Kate Riddle era una donna di circa una trentina d'anni, capelli castani, occhi verdi intelligenti. Dopo che Sherlock, come al solito, l'aveva sommersa con le sue brillanti deduzioni, la signorina Riddle, come aveva detto Sherlock, non era sposata, aveva detto di essere stata seguita più volte dal tragitto lavoro-casa e viceversa. La cosa sembrava intrigare il consulente investigativo anche se John non ci vedeva niente di speciale, casi come quelli erano stati liquidati con un "NOIOSO!" urlato da Sherlock e la successiva mossa era stata buttare fuori i clienti da Baker Street. Tuttavia questo caso sembrava diverso in una maniera che il dottore non riusciva a cogliere e non vedeva l'ora che Sherlock riemergesse dal suo mutismo per spiegargli cosa aveva di speciale quella situazione. La cosa però non accadde e il consulente investigativo rimase lì fermo a pensare. John era sicuro che, anche se avesse fatto saltare in aria l'appartamento, Sherlock non se ne sarebbe accorto. Figuriamoci, una volta era uscito e dopo essere tornato Sherlock gli aveva chiesto di passargli una penna. Si era anche lamentato! "Ti ho chiesto di passarmi una penna" aveva detto con aria infastidita. "Quando?" Aveva chiesto John perplesso. "Circa un'ora fa" aveva risposto Sherlock. John era stato fuori dall'appartamento per più di un ora e lui non se ne era accorto. Ridendo a quel ricordo, John si alzò dalla poltrona e andò in cucina a preparare un tè. Come al solito ne preparò due tazze, una per sé e una per il suo amico. Preparare il tè era un azione così quotidiana che John si ritrovò a versare meccanicamente l'acqua nelle tazze mentre la sua mente vagava altrove. Erano passati due mesi dall'incidente e niente era cambiato. Lui e Sherlock erano tornati a risolvere casi insieme, con la differenza che adesso alcune volte li seguiva anche Mary e che alla fine John aveva ammesso a sé stesso di provare qualcosa per il consulente investigativo, ma a parte quello niente era cambiato. I due non tentarono più di parlare, anche se le domande rimanevano ed erano sempre le stesse. Il matrimonio di John ci sarebbe stato tra poco meno di una settimana lui non aveva ancora capito cosa fare. Tutti e due però cercavano di evitarsi, si era creato una sorta di muro invisibile che ciascuno dei due non voleva oltrepassare e questo li faceva star male entrambi. John sospirò malinconico e prese le due tazzine di tè. Quella per Sherlock la mise sul tavolino, anche se non era tanto convinto che il consulente investigativo l'avrebbe bevuta. John si rimise seduto sulla sua poltrona accettando il fatto che probabilmente il suo amico non gli avrebbe dato delle spiegazioni sul caso e prese un vecchio romanzo. Guardò distrattamente l'orologio. Erano le 4:17. Sbuffando John aprì sovrappensiero il suo libro e si mise a sfogliare le pagine senza però leggerle veramente. Probabilmente sarebbe dovuto tornare da Mary entro le 5:00... In questo periodo non vedeva spesso Sherlock e non lo aiutava più a risolvere i casi con la stessa frequenza di prima. John chiuse di scatto il suo romanzo, infastidito. In quei pochi momenti in cui stavano insieme lui e Sherlock non parlavano quasi mai, oppure il consulente investigativo si rifugiava sempre nel suo Palazzo Mentale. Sinceramente John era stanco di questa indifferenza, poteva capire quando aveva un espressione fredda mentre parlava a quelli della scientifica sulla scena di un crimine, ma non poteva sopportare che quello stesso sguardo venisse usato in sua presenza, come se fosse un estraneo. Perchè no, lui non era un estraneo che diamine, lui era il suo migliore amico, per quanto il nome non calzava proprio a quello che erano e non piaceva molto a John che ogni volta che lo pronunciava sentiva una fitta al cuore. John era l'unica persona con cui Shelock mostrava almeno un po' dei suoi sentimenti e il dottore non aveva intenzione di cambiare questa situazione, non voleva che Sherlock si chiudesse anche con lui. Sbuffando arrabbiato sbattè con forza il suo romanzo sul tavolo. Il consulente investigativo alzò un sopracciglio ma non aprì gli occhi. "Bene Sherlock, io devo andare, se hai qualche sviluppo sul caso chiamami." Disse, osservando la figura del consulente investigativo rimanere immobile. Il fatto che non ci fosse stata alcuna reazione, cosa alquanto normale quando Sberlock si immergeva nei suoi pensieri, lo fece infastidire ancora dì più se possibile. John prese il cappotto e uscì dalla porta del 221B di Baker Street. Non riusciva proprio a capire come mai Sherlock si comportasse in quel modo, come se volesse evitarlo, come se gli anni in cui erano stati coinquilini erano stati cancellati dalla sua memoria e adesso lui non fosse altro che un... un estraneo! Si comportava in modo distaccato e freddo, ma lui era John, non era di certo Anderson o, che ne sapeva lui, Molly! Il dottore decise di andare a piedi fino a casa, camminare forse gli avrebbe fatto sbollire la rabbia. Infatti poco dopo la sua furia venne sostituita dalla stanchezza. Era stanco, così stanco, stare appresso a Sherlock con i casi, cercare di capire cosa non andava, tentare di convincersi che sposare Mary era la cosa migliore... era sfinito, non aveva neanche più la forza di arrabbiarsi decentemente. John si fermò davanti la porta di casa. La guardò intensamente, socchiudendo gli occhi, inclinando la testa di lato, ma alla fine sbuffò scuotendo la testa. Per quanto ci provasse, per quanto poteva convincere la sua mente che quella fosse "casa", non riusciva proprio a concepirla come tale. L'unica immagine che gli veniva in mente a quella parola era il salotto di Baker Street e, ovviamente, l'uomo che ci viveva dentro.

Le emozioni sono complicate Donde viven las historias. Descúbrelo ahora