12. Scacco alla regina - Pt. 1

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Scacco alla regina – Pt. 1
























Sabato. Ringraziando il cielo.

Il weekend, di solito, non richiedeva la mia presenza dagli Holmberg, poiché lo zio dei bambini sarebbe stato la figura disponibile a sostituirmi, casomai il padre avesse dovuto assentarsi.

Mi ha vista.

Strizzai gli occhi.

Basta, non pensarci più.

Stavo impiegando ogni briciolo di energia per una corsa che mi concedevo soltanto nel fine settimana. Sebbene mio padre continuasse a spronarmi a unirmi alle sessioni di jogging che praticava insieme a Olivia, preferivo mostrare un sorriso cordiale e rifiutare l'offerta, inondandolo di palesi giustificazioni, come il fatto che da sola non avrei avuto limiti, che avrei potuto scoprire nuove mete, permettermi le pause che volevo, concludere l'attività quando volevo. Giustificazioni plausibili, certo, ma che ogni volta mio padre ascoltava ed esaminava in un vetrino; lo notavo dalla rughetta che gli si formava tra le sopracciglia. Segno impercettibile, quasi, ma che avevo imparato a distinguere come un segno di "Fatico a crederti".

La verità era che, su suggerimento dell'inconscio, non me la sentivo di correre accanto a mia sorella, non quando determinava un termine di paragone per quanto riguardava la resistenza.

Se c'era anche lei, avrebbe implicato rallentarli.

Peso. Peso. Peso.

E la voce rauca di Olivia tornava a insinuarsi nei meandri della mente, a ghermire i tormenti incanalati in quell'unica parola, a raschiarli attorno alla scatola cranica, per poi prenderli e alzargli il volume, amplificandoli all'ennesima potenza quasi ci innescasse uno strano effetto surround, di quelli ultra costosi che si concedevano le discoteche.

Non respiravo quando accadeva, e una coltre di lacrime mi offuscava la vista. Anche adesso, mentre mi accingevo a correre.

Tra un saltello e l'altro, aliti di vento mi schiaffeggiavano il viso accaldato, alternando dei respiri che avrebbero dovuto rincuorarmi, far ritirare una pioggia che si sarebbe potuta abbattere sulle gote.

Cercai di distrarmi; sollevai lo sguardo su un cielo limpido, macchiato da pennellate di grigio e dalle scie a boomerang di alcuni affiatati stormi di volatili. Probabilmente si sarebbe messo a piovere anche lassù. Fortuna che ero stata lungimirante abbastanza da infilare un ombrello tascabile nello zainetto che mi aderiva alla schiena.

Mi ha sentita.

Mi ha vista.

Finivano le voci di mia sorella, e iniziavano le mie, quelle della coscienza. Riuscirono a farmi stare peggio. Tuttavia, non ci fu alcuna stretta alla gola dovuta alla tristezza, bensì al terrore.

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