41. Uniti nell'abisso - Pt. 2

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Uniti nell'abissoParte 2



























"L'ho fatto per solidarietà".

Mentre si tamponava le palpebre, Gwenda aveva minimizzato così quel suo rendere omaggio a mia madre; spiegò che in quel periodo Latisha le aveva da pochissimo confessato della malattia.

Ciò aveva rappresentato un monito a entrare in un cimitero.

Anche quando Gwenda ne sopportava poco la vista.

Si infilò tra i cuscinetti della panca, fra me e Jay; lui le tese un pacchetto di fazzoletti che lei rifiutò. Qualche secondo, e sospirò: «In realtà non so cosa dire. Nell'ultimo anno mia sorella era diventato il mio chiodo fisso. Pensavo solo a come stesse, a cosa fare per rendermi utile. E ho fatto di tutto, di tutto: ritirare i farmaci nei centri per paura che la paparazzassero e la infamassero in qualche sito di merda, prenderla da lavoro per accompagnarla ai controlli, alle sedute di gruppo, ho dormito da lei che a stare da sola neanche a parlarne. E in tutto questo i nostri genitori non lo sanno. Dice di non sentirsi ancora pronta... ma temo non lo sarà mai.» I gemelli la guardarono con grande apprensione, mentre Jay azzardò un contatto, stringendole la spalla. «Vedevo le condizioni di Latisha, come fosse dimagrita, quelle notti in cui mi chiamava piangendo, le volte in cui voleva mollare il lavoro... Come potevo non pensare pure a tua madre, Ophelia?»

L'ultimo tassello si incastrò da solo.

Ecco spiegati gli "incontri" sospetti di cui parlava Olivia, argomento spinoso che aveva accompagnato la spiacevole cena dagli Holmberg l'anno prima. Aveva senso: Latisha che si rinchiudeva in bagno a piangere e le colleghe che la sentivano, l'isolamento perenne, i chili in meno. In risposta, mi venne da prenderle la mano, che sì, ora capivo quell'inaspettato slancio di empatia. Con un peso al petto, le mormorai: «Sai anche che l'ha confessato a Desmond?»

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