5. La bottega delle erbe

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Ripiego il lembo di stoffa sulla porzione granulosa di bacche essiccate, quelle piccole e giallognole che solitamente crescono lungo le rive del Mazelok, e con lo spago ne chiudo l'estremità superiore avvolgendola in un fiocco.

Sorrido al pensiero che in questa stagione il fiume sia invaso da una miriade di arbusti dai colori vivaci: è uno spettacolo da non perdere.

Ma quasi mai le persone si soffermano a osservare come le tinte cangianti ondeggino leggiadre sotto la spinta del vento, cullando lo sguardo e distendendo i nervi.
Perché il fiume non è puro.
La sorgente è tuttora sconosciuta; il suo corso sbuca fuori dal cerchio di alberi a ovest, costeggiando Stone Oak come un basilisco all'inseguimento della propria preda, per poi fluire nel laghetto a sud, il Lok sempre zeppo di oche starnazzanti e farfalle dalle ali rosate e in fondo al suo percorso, dopo aver diviso la vecchia cava dalle fucine, si affianca al Muro come volerlo sfidare; e alla fine ci riesce, giusto dietro le casette di legno dei pescatori, vecchie baracche che si tengono in piedi per miracolo.
E da lì il fiume prende un altro nome, sconosciuto.
È l'unica cosa che ci lega all'altra parte, ai Rinnegati, o così almeno credevo fino a ieri.

Degli occhi limpidi, cupi e beffardi invadono l'armonia dei miei pensieri, assieme all'imbarazzante ricordo del coltello da marmellata. Sono scampata così facilmente a un pericolo che ora non mi sembra più così reale.

Al passaggio celere di una figura al mio fianco, mi ridesto.
«Sei molto silenziosa oggi» Florence appoggia un barattolo stondato sullo scaffale delle erbe medicinali. «Non che tu sia mai stata una chiacchierona.»

«Sono solo un po' pensierosa» Appoggio il pacchettino nel cesto di vimini posto al centro del lungo bancone.

La bottega delle erbe di Flo è una piccola casupola dalle finestre sgangherate, nascosta nei vicoli stretti dietro la piazza principale.
Alle pareti, motivi floreali sono stati dipinti per nascondere il colore spento e grigio delle assi di legno, nascosti a tratti dalle innumerevoli scaffalature dove barattoli, ciotole e vasetti, sono stati riempiti con ogni sorta di erbe, da quelle aromatiche alle medicinali, e un'infinità di radici, fiori, bacche e foglie.
Alcune boccette di vetro sono conservate con cura sulle mensole più alte, all'interno piccoli insetti luminosi si agitano con furia.
Dal soffitto pendono un paio di candelabri in ferro illuminati da gonfie fiamme verdastre, che oscillando sinuosamente sulla cima delle candele, conferiscono al luogo un'atmosfera suggestiva.

«So io cosa c'è che non va» Strizza l'occhio destro, passandosi una mano sui riccioli castani che le contornano il viso cavallino.
Florence Ranch ama le erbe raccolte quanto i pensieri rubati, con quei suoi occhi paglierini sormontati da folte ciglia, sempre pronti a catturare qualsiasi dettaglio.
Mi scruta attentamente prima di allungarsi sul bancone, appoggiando il viso sui palmi aperti.

«Davvero Flo, non c'è niente. Non ho dormito bene questa notte» Le mie occhiaie ne sono la prova inconfutabile.
Mi ispeziona per alcuni scomodi secondi, gelidi e silenziosi, in cui cerco di respingere qualsiasi immagine relativa alla serata precedente, a Reed e agli altri Rinnegati, con la paura che solo il pensiero possa smascherarmi.

«Doris non ha ancora trovato l'uomo giusto per te, non è vero?» cantilena, dondolando la testa.

«No, e non voglio proprio che lo trovi» replico secca, dedicandomi ai fiori sul tavolo retrostante, impregnato di chiazze scure e indelebili, una sorta di piccolo laboratorio a vista dove qualsiasi pianta subisce la stessa sorte: la dissezione.
Le opalidi che abbiamo fatto essiccare negli ultimi giorni sono disposte al centro in una fila disordinata. I voluminosi peduncoli hanno assunto una tonalità violacea, mentre la corolla stinta, completamente raggrinzita, si è ripiegata sopra i pistilli.

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