33. alla mia portata

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«Ma tu non eri quello che non si voleva innamorare?» lo sbeffeggio mentre gioco con una sua ciocca di capelli tra le mani.

Sono le sei del mattino e noi siamo distesi sul letto di Niccolò a coccolarci, mentre il sole fuori sta iniziando a sorgere.

Dopo il concerto Niccolò ha insistito per portarmi in centro, dove ci siamo concessi una passeggiata per Roma che di notte è ancora più magica, senza mai parlare di ciò che lui aveva detto durante il concerto, avevo preferito ignorarlo per evitare possibili discussioni.

Dopo non molto tempo però siamo tornati a casa sua, dove abbiamo trascorso l'intera notte insieme. Non sono mai stata una di quelle che si concede ad un ragazzo conosciuto da poco, tanto che il mio primo vero ragazzo ha dovuto aspettare almeno un anno e mezzo, anche se è stato comunque uno sbaglio, eppure con Niccolò non ci ho pensato due volte, è come se già lo conoscessi, ma la cosa più importante è che lui sembra conoscere me più di tanto io conosca me stessa, nonostante ci conosciamo da veramente poi tempo.

Lui ridacchia. «Avevo tanta paura di soffrire che cercavo di negarlo anche a me stesso...» mi spiega guardandomi negli occhi, mentre porta una ciocca dei miei capelli dietro il mio orecchio. È la prima volta che tiriamo in ballo questo argomento, così ho deciso di prenderlo con un po' di ironia e sono felice nel vedere che non sembra infastidito, e cosa più importante non sembra essersene pentito.

Io sorrido, avvicinando il mio volto al suo. «Ti prometto Nic che farò tutto il possibile per non farti soffrire» sussurro, ricevendo un suo sorriso come risposta, che vale più di mille parole.

«Ed io ti dico che farò lo stesso» sussurra azzerando definitivamente la distanza tra di noi, unendo le nostre labbra in un lungo e casto bacio che mi riscalda ancora una volta il cuore.

Dopo qualche minuto però allontano le mie labbra dalle sue, poggiando il mio volto sul suo petto, sorridendo. «Andiamo a vedere l'alba?»

Lui si porta una mano sul volto, incapace di trattenere un sorriso, mentre rimane un paio di minuti a guardarmi senza dire niente. «Solo perché sei te, piccolè»

***

«Dove sei stata?» tuona mia madre, saltando in piedi non appena apro la porta.

Dopo aver guardato l'alba siamo usciti per fare colazione e dopodichè Niccolò mi ha riportata a casa, dove ci siamo salutati con un bacio, cosa mai successa prima d'ora. «Ci vediamo stasera» mi ha detto, alludendo alla sua festa di compleanno, ed io con un sorriso ho annuito, allontanandomi dalla sua macchina che se n'è andata solo quando ha visto che ero entrata nel portone del condominio.

Al mio rientro però, tutto mi sarei aspettata tranne che vedere mia madre su tutte le furie. «Ero da Sofia» mento, cercando di risultare abbastanza credibile. «So che dovevo avvertire, scusa» dico un po' insicura, dopotutto sono cosciente di aver sbagliato, ma non ha mai fatto una scenata simile.

Il suo volto assume infatti un'espressione indescrivibile ed io non ne capisco il motivo almeno fin quando non inizia a parlare, spiazzandomi completamente. «Ho chiamato Sofia dato che non mi rispondevi, mi ha detto che non vi sentite più da mesi» spiega con le braccia incrociate in vita. «Non posso cedere che mi hai presa in giro per tutto questo tempo, Chiara»

Io rimango spiazzata, immobile di fronte a lei. La cosa che più mi uccide è vedere che non urla, né alza la voce, ma mantiene un tono calmo e tranquillo ed è proprio la consapevolezza della sua delusione a congelarmi.

«Mamma scusa, lo so che-» inizio cercando di risolvere in qualche modo la situazione, ma vengo immediatamente interrotta da lei che non sembra aver voglia di sentirmi parlare.

dove il cielo si muove se lo guardi attentamenteWhere stories live. Discover now