Quel ricordo feroce

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Cassie mi appoggiò le mani sulle spalle e mi guardò con i suoi soliti occhi lucidi e sgranati.

-Sei proprio sicuro di stare bene?

- Sì, sì, tranquilla. - Sospirai. - Però adesso torna a casa, altrimenti tua mamma si preoccuperà...

Lei annuì, mi abbracciò un'ultima volta e se ne andò. La ringraziai nel pensiero di essersi allontanata in tempo, perché quel ricordo aveva appena distrutto le catene con morsi selvaggi e ora stava fuggendo, ora era pronto a divorarmi, ora stava prendendo il sopravvento come una bestia feroce.

Mi voltai a controllare che il cimitero fosse deserto, mentre il respiro mi usciva pesante dai polmoni e mi muoveva il petto con scatti irregolari.

La lapide di fronte a me era di marmo bianco. La colpii con un pugno. Poi un altro. Una scarica decisa e non mollai, non ancora. Le mie nocche erano sbucciate e doloranti, ma qualcosa dentro di me mi impediva di fermarmi: era bloccato nel mio petto, come la punta di una spada che faceva pressione e sfavillava contro la mia pelle nell'attesa di sprofondarmi dentro. Premeva, premeva e premeva sempre di più. Dovevo assecondarla, se non volevo che mi affondasse nella carne.

Mi bloccai per prendere fiato: qualche goccia rossa precipitò sul marmo bianco e produsse altri schizzi. "Sanguino e lascio il segno. Faccio rumore. Sembro umano."

Mi sfuggì un gemito e mi scagliai di nuovo sulla tomba. Una costellazione di puntini disegnava cerchi e galassie di sangue sul pavimento: alcune mi guardavano e sorridevano, altre avevano l'espressione di mio padre mentre moriva. E quell'espressione, lo giuro, non l'avrei dimenticata mai.

- Papà, cosa mi dicevi prima di spegnere la luce e lasciarmi dormire? Cosa? Cosa? Lo sai ancora? - gli gridai. Iniziò a infilarsi e sfilarsi gli anelli che gli circondavano le dita: nel loro materiale argentato erano incise le mie iniziali e quelle degli spiriti di cui era riuscito a realizzare i desideri. Di solito gli davano la forza di calmarsi quando era arrabbiato, ma questa volta non ci sarebbero riuscite. Questa volta non c'era rimedio. A niente.

- No, Burald. - Contrasse la mandibola. -Non so più niente di quello che ero. Ho voltato pagina. Sono stato costretto. Noi cimiteriali non abbiamo scelta.

I suoi occhi guardavano lontano. Indossava una camicia stropicciata, che rispecchiava la sua pelle spiegazzata e la ricalcava come un graffito scavato più a fondo del necessario. Mi ficcai le unghie nei palmi fino a quando il sangue tiepido non riempì le mie, di pieghe. E io ce le avevo dentro, quelle maledette pieghe, ce le avevo dove non potevo nemmeno stirarle con un ferro rovente.

-Puoi rinunciare a quell'incarico... Ti aiuterò a trovarne un altro, andrà tutto bene! - Ansimai. - Andrà tutto bene, papà. Te lo prometto, però...

Agitai la testa e fissai di nuovo i miei occhi nei suoi. -Non puoi fare quell'errore, e tantomeno dirmi di imitarti! Ti rendi conto...? Lo sai che non ti seguirei mai nei tuoi sbagli, lo sai che tu mi hai insegnato...

Mi posò una mano sulla spalla. -Figlio mio, tu mi devi appoggiare, anche se quella che devo fare non è un'azione buona. Altrimenti diventerò un senza tetto!

La scrollai via. -Vuoi coinvolgere anche me? Vuoi davvero obbligarmi a fare ciò che mi proibivi? - Agitai la testa. - Non ti riconosco. Devi cercare un'altra soluzione, devi...

Aprii le dita e lasciai che il mio sangue gocciolasse per terra. I miei muscoli erano rigidi come roccia. - Non ti riconosco.

- Nemmeno io. - Contorse la bocca in una smorfia. -Burald, mi vuoi ancora bene?

Il giovane dei desideri irrealizzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora