Imprevisto

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Sono tante le cose che Manuel non riesce ancora a concepire, nel 2027.

Tipo perché le suonerie dei telefoni fissi delle abitazioni che frequenta abitualmente – due, escludendo la sua dove di fisso si trova solo l'intonaco scrostato – siano così fastidiose.

A partire da quell'aggeggio infernale di colore rosso acceso di Chicca che, alle sette di mattina, sveglia Manuel squillando esattamente come il citofono del suo pediatra – pace all'anima sua – producendo un suono non troppo acuto ma ugualmente martellante.

Si muove di riflesso e percepisce prepotentemente i dolori della rissa a senso unico che l'ha visto coinvolto la sera precedente.

Apre gli occhi e li strizza un po' di volte per abituarsi alla luce della finestra, che risulta forte anche se filtrata da una tenda azzurrina. Cerca di muoversi ancora, rendendosi conto che non seguire il consiglio di Chicca di andare nella camera degli ospiti è stata una pessima idea: dormire rannicchiato su quel maledetto divano gli ha solo accentuato i dolori.

«Chicca?!» chiama, con un filo di voce. Si schiarisce la gola rumorosamente e prova a chiamare di nuovo sia lei che Alessia, senza ottenere risposta. Quando, inaspettatamente, gli squilli finiscono, Manuel vuole solo festeggiare la fine della tortura tornando a dormire – stavolta magari su una superficie adatta.

Quaranta, approssimativamente, sono i secondi che passano prima che il telefono torni a squillare. Grugnisce frustrato, agitando i piedi e dando calci all'aria come per sfogarsi, pentendosene subito dopo per una fitta all'addome che gli fa vedere le stelle. Prende un respiro, si gira su un fianco, si alza lentamente col busto, aspetta due secondi, mette i piedi a terra e rimane seduto altri due secondi prima di alzarsi.

Come gli ha insegnato il terapista di sua madre per i problemi di cervicale.

Si avvicina barcollando al ripiano in marmo su cui poggia il telefono, guardandolo come se fosse un mostro a tre teste. Sospira e si ripromette di non inveire contro l'interlocutore solo nel caso si tratti di un'emergenza grave, poco gli importa se il telefono e la casa non gli appartengono e non ne avrebbe il diritto.

«Seh?» sbiascica con la voce impastata, una volta alzata la cornetta.

«B-buongiorno?»

«Eh, buongiorno.» risponde sfregandosi gli occhi con le dita. Il silenzio che sente dall'altro lato del telefono, e che si prolunga per qualche secondo di troppo, lo spazientisce. «Allora? Posso sape' chi è?»

Alle orecchie gli arriva un vociare fastidioso che lo porta ad allontanare per un attimo la cornetta.

Uno scherzo di cattivo gusto ad un orario improponibile? Probabile. Quello è sicuramente uno dei motivi per cui Manuel si è sempre opposto ai tentativi di sua madre di fargli installare un telefono fisso in casa, oltre al fatto che sarebbe stato uno spreco inutile di soldi.

La pazienza arriva al limite quando le voci si fanno più confuse e il telefono sembra gracchiare. «Vabbe' senta, nun ce serve niente, buona giornat-»

«No!» urla la voce dall'altro lato, affannata. «Non riattacchi...cioè-» un tonfo – forse la chiusura di un cofano o di una portiera di una macchina – lo fa bloccare per un attimo. «S-scusa, non riattaccare, uhm...» la voce si blocca di nuovo, mentre un rumore simile a delle piccole rotelle che scorrono sull'asfalto sovrasta la voce dell'interlocutore. «C-c'è Chicca?» gli sente dire. «O-oppure mh...Alessia?» chiede ancora, tremolante.

Manuel alza gli occhi al cielo e si chiede perché quella voce che sembra così giovane e fresca risulti tanto incerta e preoccupata. «Stanno a dormi', che te serve?»

Finestrini sporchi, anime pure | SimuelWhere stories live. Discover now