Linea gialla

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Manuel apre gli occhi lentamente per non lasciarsi accecare dalla luce del sole che entra dal finestrone. La sua scia si posa nel punto esatto in cui corre il suo sguardo e ciò che ne segue è una sorta di dejà vu.

Un po' somiglia alla mattina di Capodanno in cui i suoi forse erano corsi ad arginare in-sicurezze sul punto di straripare e sommergere tutto; un po'– forse tanto – somiglia invece al sogno vivido che aveva fatto solo ventiquattro ore prima.

Si rende conto che la notte l'ha privato di quella visione. Per la prima volta nella sua vita ha provato cosa significhi dormire a sonno pieno, nel calore di un letto che abbraccia, senza più incubi e ombre.

Adesso che lo vede bene, però, così vicino e presente, gli pare santo, uno di quei miracoli a cui si era sempre ripromesso di non credere.

È un angelo, Simone, con il suo corpo nudo, candido, mentre gli riposa accanto. Ha il lenzuolo attorcigliato tra le sue gambe, entrambe le mani poggiate sotto una guancia, le labbra schiuse e il respiro regolare che gli fa venticello leggero verso i ricci sulla fronte.

Le ciglia, poi, quelle di cui Manuel ha ormai smesso di avere paura, gli sfiorano la pelle con premura.

C'è uno strano calore di casa nell'aria, di cui non ricordava più il dolce tepore. C'è quotidianità nell'immagine inedita e mai sognata prima di Simone che, infastidito da qualcosa, si ritrova ad arricciare il naso e a borbottare parole incomprensibili, ancora immerso nel sonno.

Lo vede rigirarsi piano sul materasso fino a finire a pancia in giù, smuovendo una scia di profumo che niente potrà portar via e lasciando a Manuel una visione libera delle sue curve.

È il corpo di un uomo, pensa. E mi piace da morire.

Non l'ha solo sognato. L'ha guardato, desiderato. L'ha toccato, gli ha lasciato i segni, l'ha venerato, l'ha fatto suo. L'ha modellato con le proprie mani, purificate al solo contatto con quella pelle diafana, vivo, vero, ansimante e rumoroso sotto di lui.

L'ha ritenuto innaturale così tante volte che un po' si odia. Crede, invece, di aver vissuto assieme a quel corpo – che sembra vibrare in maniera indissolubile con l'anima che gli appartiene – la notte più vera della sua vita. Maledice sé stesso, il tempo che ha perso, le parole che ha sprecato, le cattiverie che ha vomitato, tutte quelle volte in cui ha creduto che dall'aridità non si potesse rinascere, non si potesse crescere per imparare ad amare.

Come una piccola gocciolina stanca che, illuminata dal giusto sole, diventa fiore, frutto, destino.

Si chiede cosa sarebbe successo se la vita gli avesse teso la mano.

Se non avesse cambiato scuola, sarebbero finiti nella stessa classe. Si sarebbero odiati al primo sguardo, presi a cazzotti, sputato cattiverie. Però, poi, si sarebbero guardati, visti, compresi. Avrebbero creato un'associazione a delinquere, Simone l'avrebbe aiutato a non cascare in brutti affari e Manuel l'avrebbe aiutato con l'assenza di Jacopo, della sua metà mancante.

Se ne sarebbe accorto prima di volerlo baciare, di volerci fare l'amore, di voler scoprire sé stesso grazie e insieme a lui. Gli avrebbe dedicato prima mille poesie, senza il terrore di doversi nascondere. Avrebbe potuto amarlo senza il peso di sentirsi un mostro che risulta essere l'unico a non perdonare sé stesso.

Eppure, forse è proprio questo ciò che la vita ha voluto per lui: che sbagliasse, espiasse le proprie colpe, lottasse, sudasse, soffrisse a tal punto da riuscire a meritarsi la bellezza. Quella di Simone, davanti a cui crede di non potersi tirare indietro. Quella per cui ha deformato tutte le linee che si è tracciato attorno nel corso del tempo. Quella per cui ha oltrepassato la linea gialla, tanto pericolosa quanto unica e diretta connessione verso l'altro lato della strada, del mondo, di sé stesso.

Finestrini sporchi, anime pure | SimuelWhere stories live. Discover now