CAPITOLO 3

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Iniziai ad essere ossessionata da quel libro: non dormivo più, non mangiavo più, e non mi alzavo più dal letto. Avevo un unico pensiero in testa: dovevo finire quel libro, a qualunque costo.
C'era qualcosa di strano, come una calamita che mi attirava a quelle vecchie pagine stampate con l'odore di chiuso e dell'inchiostro nero. Un attrazione che mi spingeva a leggere e ad andare avanti con la sua storia e con tutti i segreti che racchiudeva e la magia che sprigionava. Avevo fame, ma non la solita fame che si ha, caratterizzata dal rumore allo stomaco che reclama cibo, ma era la mia mente che brontolava e che provava dolore quando non continuavo nella mia lettura. I libri sono il pane della mente, mai stato più vero di così.
Ricordo la noia e lo sconforto che mi prendevano quando si iniziava a parlare di libri o si entrava in una libreria. Mi sono reputata sempre una persona incapace di sognare attraverso un libro, ma, a quanto pare, mi sbagliavo di grosso.
La scrittura dickensiana è articolata, fluida e remota. È un viaggio nel passato: nelle città di Londra e di Parigi, le due potenze europee più forti che si fronteggiavano.
Leggo di quel racconto come se lo stessi vivendo in prima persona, come se fossi io a vedere con i miei occhi le città di Londra e di Parigi vissute negli anni burrascosi che seguirono la Rivoluzione francese. Come se guardassi i disastri causati dalla ribellione attraverso i pensieri e lo sguardo di Sydney Carton, avvocato dall'ambiguo passato a quale viene riservato un inconsueto destino. Come se perissi la disperazione e il dolore della perdita di Lucie Manette per la presunta sparizione del padre. O come se avvertissi la paura di Charles Darnay, uomo aristocratico francese rifugiato in Inghilterra, accusato durante il Terrore.
Come se vivessi altre quattro vite all'infuori della mia.

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⏰ Last updated: May 04, 2015 ⏰

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