Capitolo 1

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E come sempre, ogni mattina, devo alzarmi svogliata, assonnata e priva di forze per andare a scuola. Sarà sempre la stessa giornata del cazzo. Tutti gli occhi su di me, come se fossi un fenomeno da baraccone e la mia solita indifferenza nei loro sguardi e nelle lezioni dei professori. La scuola non è mai stata la mia priorità, e penso che non lo sarà mai. Potevo ritirarmi a sedici anni, ma ovviamente questa scelta avrebbe avuto delle conseguenze. Mio papà, anche se non posso definirlo tale, mi avrebbe rincorso per casa con tanto di cinta in mano. Sinceramente, mi basta già essere picchiata ogni fottuto giorno di questa vita, senza una motivazione. Dargli un motivo equivarrebbe alla mia morte istantanea.

"Emily, scendi subito che devi andare a scuola." mia mamma mi chiama dal salotto prima di uscire e sbattere la porta di casa per andare a lavoro. Cazzo, ma perché sono finita proprio in questa famiglia? Accidenti! Mi vesto lentamente a causa dei lividi sul mio corpo che mi procurano dolore e appena finisco, mi guardo allo specchio. Labbro spaccato, occhio gonfio e lividi ovunque. In pieno Agosto, devo mettere una giacca a maniche lunghe non solo per il freddo ma anche per coprire l'orrore delle mie braccia. Non posso rischiare di far sapere in giro che mio papà mi picchia, assolutamente. Se venisse a sapere che sua figlia ha spifferato tutto continuerebbe a farlo, anche peggio di prima. 

"Ricordati di essere puntuale!" sbiascica mio papà completamente ubriaco. Lo guardo per un secondo con tanto disprezzo e rabbia e dopo aver annuito vado a scuola. Metto una cuffietta nell'orecchio e faccio partire la riproduzione casuale per godermi almeno due minuti di pace. Le strada che percorro non è quasi mai affollata, e ciò mi fa solo piacere. Odio avere gli sguardi di tutti puntati addosso, ho l'impressione che l'unico motivo per cui mi guardano è perché faccio schifo. Continuo a camminare a testa bassa tenendo lo sguardo fisso sui miei piedi e a canticchiare di tanto in tanto, non facendo caso alle poche persone che mi passano vicino. Non impiego molto per arrivare davanti al cancello verde e grande e, appena metto piede dentro il cortile, tutti, e ribadisco tutti, mi guardando con disgusto. Ovviamente! Non sono una ragazza che si può vestire come tutte le femmine qua dentro. Gonne che non coprono niente, tacchi che le fanno sembrare elefanti e top che lasciano davvero poco all'immaginazione. Per la mia situazione non posso di certo permettermelo. E poi, come se non bastassero le occhiate delle femmine, ci sono anche quelle dei maschi. Non sono mica la ragazza più popolare! E neanche quella che piace a tutti. Sono solo Emily Jonhson, la ragazza asociale, non per mia scelta, che non sta simpatica a nessuno.

***

"Signorina Jonhson, ha studiato per oggi?" a causa della professoressa che mi chiama, alzo la testa dal banco per guardarla.

"Perché ogni giorno deve farmi la stessa domanda se sa già la risposta?" sbotto irritata chiudendo il libro di storia velocemente.

"Ha preso adesso tutto questo coraggio?" mi guarda con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate al petto. Clarice Brown, professoressa di Storia, nonché mia sorella, anche se non lo sa, come ovviamente non sa tutta mia storia. Per non farle passare dei guai, ho dovuto allontanarmi dal mio stesso sangue e non c'è mai stata decisione peggiore e dolorosa, perché solo lei poteva starmi accanto in questa situazione.

"Ha deciso proprio oggi di rompermi con le sue solite ramanzine?" la guardo negli occhi e stringo un pugno sulla mia coscia. Vorrei poterle raccontare tutto. Vorrei stringerla tra le esili braccia e piangere sul suo petto fino a cadere addormentata. Vorrei poterle accarezzare il viso e dirle "adesso siamo insieme", ma mi ritrovo semplicemente a gridarle in faccia per tirare avanti questa stupida scenetta.

"Esca subito fuori dall'aula e vada dal preside." urla arrabbiata mentre scrive la nota. "Si porti il registro e poi ritorni subito qua." mi guarda e se gli sguardi potessero uccidere, a quest'ora sarei già morta. Mi alzo lentamente dalla sedia e mi avvicino alla cattedra, prendo il registro con le mie piccole mani per poi uscire. Non ho mai preso una nota in vita, mai andata da preside, semplicemente perché per quanto odi la scuola non sono mai stata una tipa così terribile, mi sono sempre limitata a restare in un angolino a riposare, dato che di notte dormire per me era impossibile. Incubi, solo incubi. Urla, dolore, tristezza. Ormai la mia vita si era limitata a questo, e non mi piaceva affatto questa cosa. Però ora non ho tanta paura di quello che avrebbe potuto dirmi il preside e neanche di come reagirà mio padre. In questo momento mi fa più paura il fatto di non poter avere mia sorella accanto, piuttosto che avere le luride mani di mio papà sul mio corpo, come succede ormai da anni. Immersa nei i miei pensieri e le mie continue sconfitte, vado a sbattere contro qualcuno, finendo per cadere all'indietro.

Second chance - Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora