12 - Una stanza buia

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Si trovavano ancora lì, in quell'aula vuota. Nessuno dei due aveva abbandonato il proprio posto alle estremità del tavolo. Sedevano lì, fermi, fissandosi negli occhi di tanto in tanto. Un silenzio imbarazzante, tanto assordante da strappare i timpani, si era impadronito di quei momenti lì, impedendo addirittura ai pensieri di nascere. Nessuno dei due si era deciso a proferire parola. Non sapevano cosa dirsi, e come biasimarli. Il giovane Tom Riddle aveva un'aria perplessa. Era un individuo particolare, indecifrabile, era strano forse anche per se stesso. O almeno lo era in quel momento. Tutto ciò che lo riguardava o credeva avesse riguardato la sua esistenza fino a quegli ultimi istanti era diventato incomprensibile, incerto. Inapplicabile addirittura alla sua stessa vita. Era come se fino a quel momento lì avesse vissuto due esperienze separate, due vite diverse, l'una distaccata dall'altra.
Fu la sua infanzia ad averlo reso così, ad aver fatto crescere in lui un senso di apatia a livelli estremi. Non era nato con la mente contorta, non era mai stato corrotto fin dall'inizio. Era una creazione, un costrutto, il frutto degli occhi degli stolti, dei babbani che lo avevano maltrattato per essere stato un bambino prodigio, per essere un mago. Di quei babbani che lo avevano maltrattato convinti che in lui risiedesse una sorta di demonio; maltrattamenti così perpetui che addirittura lui era finito per auto-convincersi che fosse così, che lui fosse il diavolo. In quell'istante il suo odio per i babbani crebbe più che mai; odio che cresceva nei confronti delle suore dell'orfanotrofio, per quell'uomo che aveva visto nei ricordi vividi di Cirene. L'aveva disprezzata dal primo momento che l'aveva vista, ma in quel momento per lei provava una sorta di vicinanza.
«È morto?» non poté fare a meno di chiederglielo. La giovane, che stava precedentemente fissando la libreria che occupava tutto il muro alla sua destra, si voltò verso di lui, guardandolo pacatamente.
«No» non lo stava guardando per davvero. I suoi occhi erano puntati su di lui, ma stavano guardando altrove, stavano vedendo altro. Non sapeva cosa di preciso, ma erano persi in un'ombra sconosciuta, annebbiati dalla realtà. Era presente, ma allo stesso tempo era assente. In bilico tra la realtà e la finzione. In bilico tra la vita e il vuoto della morte. Stava vivendo in una tensione tale da un anno a quella parte, soffocata dalla verità e dall'intenzione di dimenticarla. Aveva visto la sua intera famiglia morire davanti ai suoi occhi, e se solo fosse rientrata a casa qualche ora prima forse avrebbe avuto il tempo di prendere la bacchetta e proteggerli tutti, o forse anche lei avrebbe fatto la loro stessa fine. Non si trattava di una paura, ma più di un desiderio. Il desiderio di ritrovarsi riunita a loro, anche al costo di andare incontro alla morte. Alla fine non sarebbe cambiato molto; la gente avrebbe ripreso a vivere come si fa sempre quando una tragedia avviene lontana dalla propria via. Si ritrovava immersa nel vuoto in quel preciso momento, e sarebbe stato lo stesso anche da morta. Il vuoto, era quello ad attenderla. E tra la morte e la vita la differenza non era più molta.
«Vorresti ucciderlo?» uno strano bagliore di un color rosso vivido aveva acceso gli occhi del ragazzo. L'immagine del sangue che macchiava le sue mani, la possibilità di strappare la vita a chi l'aveva già fatto a sua volta. Eppure non si trattava di giustizia, ma di codardia. La stessa codardia di chi uccide per non affrontare in problemi, di chi non vuole guardare in faccia il destino, ma vuole domarlo. Era questo quello che pensò lei in quel momento dopo aver studiato a fondo quella domanda. Voleva vedere quell'uomo morto, ma non voleva ucciderlo. Non voleva macchiarsi dello stesso crimine commesso da chi le aveva tolto la vita. Perché lei non era morta, ma non era nemmeno più viva. La sua vita era finita, la sua luce si era spenta da un po' ormai. «Merita di morire» Tom Riddle. Un nome curioso. Una persona curiosa. Aveva gli occhi di un assassino anche lui, di chi strapperebbe via un'anima per mangiarla, per assorbirne la forza. Tom lo svitato, così lo aveva chiamato Ben, così lo aveva creduto Cirene. Forse ora non erano tanto diversi.
«Lo so» accennò un sorriso spento, uno di quei sorrisi meccanici, fatti tanto per celare altre emozioni, per fingere più con se stessi tanto che con gli altri.
«Allora perché non vuoi ammazzarlo?» la curiosità lo stava divorando vivo. Non riusciva a credere come non si potesse voler fare a pezzi un essere che aveva distrutto la propria famiglia, che aveva martoriato il proprio corpo. Lui lo avrebbe fatto senza ripensarci due volte, se solo avesse saputo la verità sulla morte di sua madre. Verità perché non credeva che lei, una strega pura, lontana parente di Salazar Serpeverde, fosse morta così, di una morte tanto sciocca, tanto debole. Non voleva accettarlo, non poteva accettarlo. Come poteva essere possibile? La magia è inarrestabile, ed era inammissibile che la morte potesse strapparne via l'essenza. Eppure la morte riesce ad andare oltre anche alla magia, riesce a superare la sua grandezza, a batterla. No, lui sapeva che c'era dell'altro. Sapeva che doveva esserci un motivo plausibile della sua debolezza. Aveva solo bisogno di qualcuno da incolpare, su cui scagliare contro la sua ira. Aveva bisogno di qualcuno da uccidere, per sé stesso, per sua madre e per chi disonora così i maghi. Cirene non era una strega a tutti gli effetti, non lo era secondo i suoi ideali di purezza, però non era tanto diversa da lui. Erano entrambi il frutto del disastro di qualcun altro, e avevano tanto odio dentro che ribolliva da tempo. Forse non era del tutto inutile, forse le serviva. Era questo il pretesto che era riuscito a trovare per giustificare le sensazioni che provava, per giustificare quella strana vicinanza che sentiva per lei.
La giovane accennò un altro sorriso, ma non rispose. Si alzò e si avvicinò lentamente al centro della cattedra, dove Tom aveva spostato le sue cose. Si teneva aggrappata ai bordi del tavolo, come se temesse di cadere da un momento all'altro. Allungò le mani verso il libro, la pergamena e la piuma con l'inchiostro, stringendoli al suo petto. «Mi dispiace» il giovane abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. Si stava scusando per la seconda volta e qualcosa dentro di lui lo stava pugnalando, lo stava punendo per quella sua debolezza. Non avrebbe dovuto dispiacersi, non avrebbe dovuto sapere cosa significava il dispiacere. «Non volevo vedere quelle cose. Non pensavo che l'incantesimo mi avrebbe mostrato questo» e non aveva tutti i torti. Era molto abile nella ligilimanzia, non aveva mai commesso un errore, eppure quella sera era successo qualcosa di strano. Voleva scavare nei ricordi più bui della giovane, per spaventarla, per allontanarla da lui il più possibile. Voleva vedere qualcosa, ma non era quello ciò che si aspettava. Ora invece più la guardava più vedeva se stesso riflesso negli occhi vitrei di lei. Avrebbe voluto allontanarla, ma aveva finito per avvicinarsi lui.
«Almeno adesso possiamo scrivere il nostro lavoro meglio di altri» Cirene sorrise. Ancora una volta si trattava di quel sorriso meccanico, spento. Era pallida, il suo viso sembrava dello stesso colore dei capelli e l'unico colore che spiccava era quel nero abisso dei suoi occhi. Metteva dolore il solo guardarla per pochi istanti. «Ti va se continuiamo?»
«Potremmo usare i libri d'ora in poi» una forte fitta al petto. Ma che stava facendo? La stava pure assecondando adesso? Era come se due persone avessero preso il sopravvento nel suo corpo, e stessero ora litigando su quale delle due avrebbe dovuto prendere il comando. Sembrava quasi come se la possessione la avesse eseguita anche su stesso. La verità era che non sapeva che uno degli effetti di quella maledizione era proprio quello; la spartizione in due della propria persona nel bene e nel male. Qualcosa stava accadendo dentro di lui, qualcosa di nuovo, sconosciuto. Quelle due parti da sempre esistite dentro la sua mente stavano ora prendendo coscienza, lo stavano distruggendo dall'interno e non avrebbero smesso fino quando non avrebbe ceduto loro il comando, riconoscendole.
«Allora iniziamo» Cirene prese la sedia e si sedette vicino a lui, che la guardò confuso. Stavano entrambi cercando di ignorare l'accaduto, ma era strano, non sapevano come comportarsi. Certamente il giovane Tom Riddle non si aspettava che lei si sedesse di fianco a lui, non ne capiva il motivo. Cercava di non pensarci, ma i suoi occhi non volevano allontanarsi da lei. Non riusciva nemmeno a concentrarsi sul compito. Era pietrificato, e il tutto per fissare interrogativo quella strana ragazza. L'indomani sarebbe tornato tutto normale, lo sapeva. Non aveva scelta in realtà. Avrebbe dovuto studiare il cofanetto che aveva trovato, lo scrigno di Osiride. La notte che lo aveva trovato era in compagnia di Cirene, posseduta da lui. Aveva cercato di aprire lo scrigno, e ce l'aveva quasi fatta per qualche istante. Il lucchetto si era rotto in due, e quando Tom aveva allungato le mani per aprire il cofanetto finalmente libero dal sigillo si era scottato. Uno strano fumo nero e denso aveva iniziato ad uscire dalle fessure di quest'ultimo. Era quasi come si era aspettato lui: quel poco fumo portava angoscia e sofferenza, e sembrava che al suo interno vi fossero delle urla. Non seppe perché lo fece, ma prese la ragazza tra le sue braccia e la portò via, lasciandola distesa di fianco un'albero all'inizio della foresta. Il suo gesto non fu dovuto a niente di buono, se non alla voglia di non voler fare andare le cose nel verso sbagliato, ma era solo un presentimento. Era subito tornato a chinarsi su quel prezioso manufatto sulla spiaggia, e aveva provato a toccarlo nuovamente. Questa volta non si era scottato, ma quel fumo nero si era attorcigliato attorno al suo braccio, tirandolo verso di sé. Il ragazzo aveva cercato di liberarsi, ma non ne aveva le forze. Uno strano senso di angoscia gli stava divorando il cervello, lo stava lacerando dall'interno. Si trattava di un dolore strano, un dolore mai provato e che mai si sarebbe aspettato di provare. Il fumo aveva ripreso ad attorcigliarsi attorno ai suoi arti, entrando dentro le fessure del suo corpo. Penetrava nei suoi occhi, nella sua bocca, nelle sue orecchie e nel suo naso, divorandolo vivo.
Durò pochi minuti, poi il cofanetto si richiuse, e Tom Riddle si ritrovò ansimante e sporco di sangue non suo. Da allora non riuscì più ad aprirlo. E fu a dire il vero un bene, in quanto non sarebbe stato in grado di controllarlo. Perciò avrebbe dovuto studiarlo, e quella serata passata a contorcersi dentro i suoi stessi pensieri avrebbe potuto passarla diversamente, ad esempio in biblioteca a studiare la sua prossima mossa.
«Continuiamo domani?» erano passate un paio d'ore, ed erano quasi le undici e un quarto. Tom Riddle non avrebbe potuto immaginare che invece il suo orologio da taschino avesse smesso di funzionare ben prima di quel momento, e non solo il suo. Ogni mezzo di monitoraggio del tempo era andato in malora. Era quasi come se il tempo stesso avesse perso il senno, e difficilmente lo avrebbe riacquisito.
«Si è fatto tardi ormai» Il giovane chiuse il libro e lo posò insieme al resto delle sue cose della borsa da studio. Non attese nemmeno che lei rispondesse, non voleva guardarla in faccia, era più semplice evitarla. Eppure sembrò quasi che il destino non fosse dalla sua parte quando cercò di aprire la porta. Era chiusa dall'esterno. «Cazzo» imprecò quando non riuscì ad aprirla nemmeno dopo aver provato a scagliarle contro tutti gli incantesimi di apertura che conosceva.
«Posso provare io» Cirene si era avvicinata; si trovavano ora l'uno di fianco all'altra. Tom la guardò male. Era impossibile che lei fosse più potente, se lui aveva fallito avrebbe fallito anche lei, e anche miseramente. Ma se invece ci fosse riuscita? Un mostro gli stava divorando il cervello facendogli perdere la ragione. Temeva di non essere più all'altezza, di non esserlo mai stato per davvero. «Mmh,» la giovane sospirò, facendo cadere le braccia di peso lungo i suoi fianchi, poi si voltò a guardare verso il compagno, che nonostante i complessi si era risollevato. «Credo che ci abbiamo chiusi dentro» sussurrò.
«Ma dai, non ci ero proprio arrivato sai?» mostrò un sorriso beffardo che fece rabbrividire la giovane, che ricambiò lo sguardo innervosita.
«Allora avrai anche capito che è per via di quella ragazza morta» lo punteggiò, mostrando lo stesso sguardo di scherno. Lui corrugò la fronte.
«Come?»
«Si, il custode deve aver proposto una cosa del genere» esitò per un istante, guardando verso la porta. Era quasi come se qualcosa l'avesse interrotta, eppure era ancora lì, e tutto proseguiva normalmente. «credo che abbia proposto di chiudere tutte le sale di Hogwarts durante la notte, per prevenzione»
«Avresti potuto avvisarmi» sospirò. L'idea di passare tutta la notte con lei non era delle migliori, e inoltre avrebbe dovuto studiare. Tutto ciò era uno spreco di tempo e risorse preziose.
«Non lo sapevo, la mia è solo una supposizione» voltò le spalle e andò a prendere una delle candele sul tavolo, andando poi a sedersi sul pavimento, con le spalle contro il muro. Alzò lo sguardo in alto e sospirò. Quella stanza era tremendamente buia.
«Che potrebbe essersi rivelata corretta» sbuffò lui. Si guardò intorno per un attimo, esitante, per poi andare a sedersi di fianco a lei. Se solo si fosse portato dietro lo scrigno per studiarlo... E invece lo aveva lasciato in quella stanza che appariva e scompariva, quella stanza che si mostrava a lui ogni qualvolta che la desiderava. Sbuffò nuovamente, infastidito. Lei lo stava ignorando, aveva il volto nascosto tra le mani, ed era immobile. Non stava piangendo, era come se ogni parte di sé avesse perso sensibilità. Tom la osservò per qualche secondo, incuriosito dai suoi modi di fare, poi distolse lo sguardo, guardandosi nuovamente intorno. Sospirò. «Accio Whisky» subito una bottiglia di Whisky Incendiario che si trovava dentro una vetrina volò verso di lui, atterrando sulle sue gambe.
«Che vuoi fare?» Cirene alzò lo sguardo, portando le sue mani sulle ginocchia che teneva strette al petto.
«Visto che dovremmo passare forse tutta la notte rinchiusi qui dentro almeno abbiamo come passare il tempo» afferrò la bottiglia e sfilò il tappo. Dal collo della bottiglia uscì del fumo marroncino, dall'odore forte e piccante. Bevve un sorso direttamente da lì, e la passò a Cirene, tenendo gli occhi serrati forse per il bruciore.
«Io non bevo» fece, guardandolo sottecchi.
«Questo non è come gli altri tipo di alcolici. È magico» fece roteare la bottiglia davanti agli occhi di lei, alludendo al fatto che non avesse mai bevuto nulla del genere per via dell'essere sempre vissuta con babbani.
«Lo so cos'è» punteggiò scaldandosi. Stava iniziando ad odiare quel ragazzo. Non solo per quello che le aveva fatto, ma anche per il sentirsi così superiore a lei. Se solo ci fosse stato un piccolo motivo in più non avrebbe saputo cosa avrebbe potuto fare. «Io non bevo e basta»
«Non hai mai bevuto?» era una domanda un po' scontata, ma volle porla lo stesso. La giovane si voltò finalmente a guardarlo negli occhi. Questa volta quelli di lui sembravano addolciti.
«Certo che l'ho fatto» arrossì. Si morse la guancia interna, e socchiuse gli occhi. «Qualche volta la domenica mio padre mi faceva bere del vino» i suoi occhi divennero lucidi per un instante, ma come se altri ricordi avessero preso il sopravvento divennero vitrei ed asciutti. Tom abbassò lo sguardo. Odiava provare quella sorta di pena, se così si poteva definire. Mandò giù un altro sorso. Sperava di spegnerla, di spegnere quella voce che lo giudicava e lo torturava, che gli impediva di vivere senza sentirsi un disadattato. Alzò la bottiglia e la passò nuovamente verso Cirene, che un'altra volta rimase immobile, esitante.
«Non è domenica e questo non è vino» la guardò con quel suo sguardo pungente «ma questo dovresti berlo». Lei esitò, ma poi allungò una mano verso la bottiglia, sfiorando quella di lui. Avvicinò il Whisky Incendiario alle labbra, e bevve. Aveva un forte sapore amaro e dolce allo stesso tempo, tanto forte da bruciarle la bocca, la gola e addirittura occhi e timpani. Ora capiva il perché del nome. Deglutì chiudendo gli occhi, come se fossero pronti ad uscirle dalle orbite. Subito il dolore alla testa che la perseguitava da giorni era svanito. Si sentiva più leggera, quasi libera da ogni tensione che la teneva in trappola. Anche la stanza sembrava ora più luminosa. «Questo ci darà una mano a liberare la mente dalla sporcizia» le sorrise, riprendendo la bottiglia tra le sue mani.
Una lunga nottata li attendeva, e a differenza da ciò che credevano, non l'avrebbero passata a bere in quella stanza buia. Qualcosa di oscuro stava per essere risvegliato ad Hogwarts; e il tempo ne era testimone.

Before you go / Tom Riddle Where stories live. Discover now