26. Espiazione di sangue

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TW: "Morte"
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L'ultima notte al mondo di Manuel Ferro non fu esattamente come se l'era attesa o immaginata. Aveva sempre pensato, almeno da quando era arrivato a Venezia e con Simone l'odio aveva ceduto il passo all'amore, che l'avrebbe trascorsa sotto un caldo e soffice strato di coperte e con la compagnia del suo nobile, ormai non più corvino, a fianco intento a stringergli la mano e a carezzargli il volto mentre intrecciavano assieme i respiri e lui gli diceva che non doveva avere timore a spiccare il Grande Salto perché, prima o poi, lo avrebbe raggiunto.

Invece adesso si trovava solo, chiuso in una cella gelida vista l'assenza di sole nei giorni antecedenti e con gli occhi spalancati ad ammirare un mondo fatto di oscurità immobile da cui sgorgavano saltuariamente pezzi di normalità sottoforma di travi, di assi o di mobilio, oggetti che era la sua mente a rimodellare più che i suoi occhi che erano stati privati della benedizione della luce quando la candela s'era consumata fino a spegnersi del tutto.

E tuttavia non erano né la paura né il buio a tenerlo sveglio.

A togliergli il sonno ed impedirgli di chiudere occhio infatti era ciò che aveva appena terminato di leggere, era quel minuscolo libricino che custodiva su carta la mirabolante capacità di distruggere il mondo in cui era vissuto fino ad allora, buttando giù mura e specchi per rivelare la sostanza che soggiaceva dietro a forme perfette e rispettabili che oro e lapislazzulo e pietre preziose celavano agli occhi dei più ma non a quelli di chi aveva vissuto sul confine fra quei due mondi per anni, troppo poco per far parte di quel mondo dorato ma troppo per essere considerata alla stessa stregua di ciò che da quella cerchia era rimasto fuori.

Il diario di Francesca, infatti, conteneva al suo interno tali e tanti di quei segreti inconfessabili sui maggiorenti della città che improvvisamente il ragazzo non fu più stupito di pensare che i condannati a morte venissero gettati in mare a far compagnia ai pesci: c'erano tali e tanti di quegli scheletri nell'armadio nelle vite dei patrizi veneziani che era chiaro che avessero avuto bisogno di gettare i comuni mortali fra i flutti prima che quelle stesse ossa emergessero con prepotenza dagli armadi dove erano state occultate per semplice effetto della quantità.

Il problema adesso, pensò nella sua mente, era trovare il modo di utilizzare quelle informazioni, di trovare la maniera più adatta per poterle impiegare a suo vantaggio modellando il mondo come lui desiderava fosse e non come avrebbe dovuto essere. Il tempo, tuttavia, non giocava a suo favore perché gli era praticamente impossibile riuscire a informare chi di dovere che lui sapeva tutto e che avrebbe tenuto il silenzio solo in cambio di un favore specifico né, d'altro canto, gli veniva in mente come far fruttare quei segreti di fronte all'imminente prova a cui Contarini lo aveva sottoposto e che perfino lui aveva capito essere stata concepita per eliminarlo, per rimuovere definitivamente il problema dando ai Barbarigo un viatico per farla franca e alle Istituzioni la via perfetta per evitare di incorrere nell'errore giudiziario e perdere quell'aura di venerabile imparzialità e incapacità d'errore.

Se solo gli fosse venuto in mente prima, se solo non avesse avuto bisogno di focalizzare lo sguardo sul libretto dove il cancellerie del tribunale aveva scribacchiato tutto il suo processo fino ad allora per farsi tornare in mente quell'oggetto forse avrebbe potuto usarlo prima, avrebbe potuto costringere chi di dovere a lasciarlo andare, a farla pagare finanche ad Urveda e alla sua maledetta smania di eradicare l'eresia e la diversità ovunque la trovassero.
Se solo.

Se solo...

Quante cose avrebbero potuto cambiare gli uomini se avessero avuto il potere di evitare tutto quello, se avessero avuto la capacità di mutare quei "se solo" in altro viaggiando a ritroso, ripercorrendo il filo del Tempo fino al momento in cui avevano sbagliato per correggere l'errore e ripartire da capo. Ma non si poteva tornare indietro purtroppo, non si poteva fermare il girotondo della vita solo perché si desiderava con ogni fibra del cuore proteggere chi si amava dai dardi della discordia e dalla crudeltà dell'esistenza. Si poteva solo andare avanti, seguire il flusso fin dove conduceva, sperando con le proprie bracciate di evitare la collisione con gli ostacoli che si poteva finire per incontrare lungo la via, quegli ostacoli cui lui era andato regolarmente contro spaccandosi e frantumandosi più e più volte solo per ricostruirsi e risbattere ancora, perché la Morte lui la sapeva domare e dominare ma la Vita era uno stallone imbizzarrito che rifuggiva ad ogni tentativo di essere imbrigliata e disarcionava chi non fosse stato bravo a reggersi e rimanere in sella.

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