Prologo

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Era piegato sui piccoli talloni ricoperti da calzini blu con una piccola riga celeste chiaro che gli circondava le caviglie ossute. Una delle braccia era appoggiata sulle ginocchia, dove aveva posato il mento mentre l'altra era allungata verso i fili d'erba verdi con le dita bambinesche che stringevano un rametto. Camminava con gli occhi scrutatori verso il prato pronto a riconoscere ogni insetto che avesse trovato e le sue iridi calde si meravigliarono trovando un animale grande quasi come un uovo, corazzato, color marrone scuro con un grande corno sulla testa. Non aveva mai visto niente del genere nel libro che suo padre aveva preso di corsa la notte che avevano lasciato la sua vecchia casa.

Quando arrivarono in quella baita di legno in mezzo alla montagna era appena cominciato l'inverno e la neve si era posata da poco sul manto erboso. Appena scese di macchina, alle prime luci dell'alba, affondò le gambe nello strato bianco almeno fino al suo ginocchio.

In sette anni di vita quella era la prima volta che vedeva quella strana cosa bianca, fredda al tatto ma che si scioglieva appena la teneva fra le dita trasformandosi in acqua.

Erano passati mesi in cui l'unico che andava fino al primo centro abitato era il padre e l'unica persona che veniva a trovarli era un signore più grande dei suoi genitori, con i capelli argentati e accenni di rughe sul volto. Le spalle larghe erano spesso ricoperte da giacche eleganti e il suo abbigliamento strideva con il luogo che lo circondava e con gli abiti semplici suoi e di mamma e papà.

Quando quello sconosciuto arrivavaarriva si fermava molto tempo a osservarlo. Gli posava una mano sui capelli scompigliandogli e si sforzava a sorridergli anche se agli occhi del bambino sembrava solo un sorriso dovuto.

Non gli piaceva quell'uomo. Non gli piaceva quella casa e tanto meno non gli piaceva quel luogo.

La notte che partirono, suo padre lo prese dal letto e gli gettò sulla testa una giacca pesante dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbe dovuto fidare dei suoi genitori che lo amavano più della loro vita e che non doveva avere paura di niente perchè ci sarebbe stato sempre qualcuno a proteggerlo.

Ma a lui non piaceva stare lì, isolato da tutti, senza uno straccio d'amico.

Erano passati mesi dal suo arrivo alla baita, mesi monotoni e sempre uguali, scanditi solo dall'arrivo dello sconosciuto una volta a settimana.

Quel giorno di fine maggio era lo stesso del giorno precedente e di quello prima ancora e ancora e ancora e ancora.

I suoi genitori erano dentro casa con l'uomo sconosciuto e parlavano, anzi, sussurravano segreti che il bambino non poteva sentire, così si era ritrovato a dare fastidio a quell'insetto strano.

Una leggera brezza si alzò leggiadra andando a spettinargli i capelli sulla fronte e sentì chiaramente dei piccoli brividi coprirgli la base del collo e salire fino alla nuca. La pelle iniziò a prudere e scattò in piedi prendendosi a grattare le braccia nude. E la sentì la corda invisibile che si legava stretta al petto. I polmoni si riempirono d'ossigeno ma a lui sembrò affogare e conosceva bene quella sensazione, era successo l'anno prima quando si trovava al lago vicino casa con il padre e il piedino scivolò su una roccia algosa e l'acqua gli finì in gola e la stessa si serrò per proteggere il corpicino. Riconobbe l'impossibilità a respirare.

DOVESEIDOVESEIDOVESEIDOVESEI

Le gambe si mossero sentendo quella richiesta d'aiuto o, forse, una semplice domanda portata dal vento.

Le orecchie si tapparono e il suo nome che veniva urlato dagli adulti alle sue spalle divenne ovattato. Il bambino riusciva solo a sentire il suo battito cardiaco che pulsava a ritmo della sua frenetica corsa.

Si addentrò nella boscaglia e poco importava se le sue mani, i suoi avambracci e le sue gambe venivano trafitti dai rami che spezzava al suo passaggio. Poco importava sentire una mano invisibile entrargli dentro la bocca e spremere i polmoni e il cuore e i muscoli delle gambe visto che lui non si sarebbe fermato.

Percepiva quel lamento sempre più forte e dentro di sé avrebbe voluto urlare di smetterla perché lo stava distruggendo, lo stava lacerando.

DOVE SEI?

Quella domanda ripetuta che si dipanava sui nervi e sui tendini, scorrendo veloce sull'epidermide.

DOVE SEI?

E lui voleva solo che cessasse, in qualunque modo. Una domanda trasportata dal vento dentro un odore che sapeva di casa, di bosco, di fantastico e spettacolare.

DOVE SEI?

I capelli rimbalzavano sulla fronte sudata e avrebbe davvero voluto pensare a qualcosa, avrebbe voluto che il suo cervello comandasse alle gambe di fermarsi per potergli permettere di riprendere fiato ma la sua mente era piena, straripante di quel lamento, a volte triste e a volte rabbioso, e sentì la nausea risarirgli lo stomaco.

DOVE SEI?

Le palpebre premevano fra loro per impedire alle gocce di sudore di fargli bruciare le pupille e le iridi scure si sorpresero quando trovarono una piccola radura, un cerchio imperfetto creato dalla natura stessa. I piedi rallentarono fino a che il corpo si immobilizzò appena varcata la soglia. Il vento gli portava le ciocche all'indietro e ora poteva sentire quella silenziosa domanda urlata al mondo intero. Fissò l'albero che aveva di fronte, alla base, trovando una stoffa lilla che chiudeva un schiena minuta. I capelli neri che si muovevano deliranti come il gomito che poteva scorgere.

Con il fiato che stava rallentando, sorrise sbuffando un po' d'aria e le ginocchia cedettero ritrovandosi a terra. Il vento cambiò direzione e ora si ritrovava i capelli che gli accarezzavano il volto e lo pensò, infine.

SONO QUI.

Premette i palmi sul manto erboso e chiuse gli occhi, doveva ancora riprendere la capacità di respirare normalmente. Non riusciva a muoversi, con la testa china e le mani ad affondare tra i fili verdi mentre un'impressionante pressione al petto data da quella corda invisibile legata si strinse fino a fargli male.

Un'ombra lo sovrastò, un'ombra piccola come i piedini che comparvero davanti ai suoi occhi che si allungavano in due piccole gambe bianche.

SEI QUI.

Di nuovo quell'odore di casa, di bosco, di pioggia, di fantastico e spettacolare.

SONO QUI.

Pensò il bambino mentre la sua testa si alzava di poco ma che si bloccò appena delle dita piccole toccarono la sua guancia. Epidermide contro epidermide e sentì il sole albeggiare dentro di sè, mite e ardente, luminoso ma accecante, raggi che fendevano le spalle e il resto del corpo. E quell'odore avvolgerlo dalla testa al collo, alle braccia scendendo fino ai piedi, che sussurrava parole come ti ho trovato, sei qui, non andartene, resta per sempre, mio solo mio.

Il bianco puro lo avvolse e striature leggere rosse si muovevano ondeggiando da quel polso e da quelle vene che fissava per paura di perdersi in degli occhi sconosciuti. La pace delicata. La fine essenza della felicità. Tutto per dell'epidermide contro altra epidermide.

Ma il bianco si tramutò in nero. Un buio che lo stritolava. Una tenebra che lo soverchiava. Un ignoto che lo spaventava. Le dita si erano allontanate dalla sua guancia lasciando una profonda bruciatura.

Sentì l'eco lontano di quel lamento, di quell'odore, allontanarsi bruscamente. Ti troverò, ripeteva piagnucolando, ti cercherò per tutta la vita, se necessario.

E non lo avvertì più e il nulla lo afferrò.

Wholeheardly - Con tutto il cuore Where stories live. Discover now