IL GARAGE

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Era lunedì, quel giorno. E come ogni lunedì la sveglia del cellulare suonava come se fosse innervosita dal caos madornale che affliggeva le strade della città a quell'ora del giorno. Ma non le diedi ascolto, seppur prometteva di boccheggiare fino a che non mi fossi arresa. Niente. Neppure un terremoto avrebbe avuto la forza di buttarmi giù dal letto ma, per quanto fossero cristallizzate le mie intenzioni, un intenso bruciore agli occhi mi costrinse ad aprirli lievemente.

Sentivo un vago ticchettare provenire da fuori dell'abitazione, tuttavia non mi stupii più di tanto dal momento che il calendario contava novembre inoltrato. Che cosa spingeva la gente ad essere fuori dal caldo del proprio letto già ad un simile orario? Forse lo stesso motivo per il quale mi sarei dovuta alzare anche io.

Decisi in concomitanza con me stessa di sollevarmi ed aprire la luce che mio padre molto gentilmente aveva installato nella parete vicino al mio letto, affinché avessi una luce di sicurezza nel momento in cui mi sarei sentita divorare dalle tenebre.

Ho sempre avuto paura del buio, fin da bambina, e non me ne vergogno perché sono consapevole di non essere la sola ad aver trascinato fin tarda età paure simili. Differisce esclusivamente l'abilità con la quale si nascondono.

Allungai lentamente una mano per schiacciare il pulsante della lampada ed un brivido si fece largo lungo le vertebre, provocandomi le vertigini. Mi posizioni di scatto seduta. Stavo sognando o quella che toccavo era una parete liscia come la seta? Mi bastò un attimo che già mi sentivo affogare dalla paura. Fu necessario il tempo di sollevarmi per comprendere che la lampada era scomparsa. E per di più, sentivo un altro respiro calmo e soddisfatto che aleggiava intorno al mio. Meno di dieci secondi e sarei svenuta. Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Quattr...

- Non ti senti bene amore?
Due braccia mi avvinghiarono da dietro ed un sussulto partì repentino senza autorizzazione.

- Se hai freddo posso scaldarti io.

Avevo il cervello in totale standby, sebbene le orecchie mi funzionassero alquanto bene. Era una voce maschile che si rivolgeva a me con un tono pacato e tendenzioso, abbastanza convincente da farmi surriscaldare. Da quando ero diventata sonnambula e vagabondavo di letto in letto nel bel mezzo della notte? Pure nella mia mente le lampade si era trasferite altrove, volatilizzate, e mi accorsi solo in ritardo che tremavo.

- E' stata una notte speciale - mi sussurrò teneramente all'orecchio, stringendomi ancora più forte a sé - indimenticabile.

Sgranai gli occhi che schizzarono ad alta velocità come durante il sonno REM, e capii che non mi trovavo a casa mia, nella mia stanza, nel mio letto. Di conseguenza non ero sicura se fossi maggiormente terrorizzata dal buio che mi circondava o da quel breve monologo che faceva lungo intendere.

Cercai di ritrovare un briciolo di lucidità. Stavo respirando irregolarmente.

- Me ne devo andare, adesso - disse la voce estranea, rompendo quell'imbarazzante silenzio - il dovere mi chiama, tesoro.

Qualcosa di nauseante stava par fuoriuscire dalla mia bocca, e non ero certa fosse vomito.

- In...dimenticabile? Cioè, questa notte intendo. Nossignore! Non credo di aver dormito in questa, cioè, in questa stanza stanotte, o meglio - feci per schiarirmi la voce rauca - in questa casa, qui, con te.

- Infatti non abbiamo dormito, proprio come mi hai chiesto tu stessa ieri, alla festa - il timbro della sua voce tornò provocante, subdolo come un'arma a doppio taglio. Mi girava la testa come mai in vita mia. O cielo! Di quale festa parlava? Ricordavo esattamente il nulla della serata precedente, e per di più la sua sagoma non dava alcun suggerimento utile alla mia memoria. Si stava vestendo, supportato dalla sola luce fioca proveniente dallo spiraglio della finestra. Il fruscio dei suoi indumenti creava vibrazioni nell'aria e nonostante la luce quasi del tutto inesistente, sembrava proprio che conoscesse intimamente qualsiasi dettaglio di quella piccola abitazione. Era un luogo di modeste dimensioni.

Un caloroso bacio sulla fronte come ultimo saluto mi fece sobbalzare dal divanetto su cui risiedevo da chissà quanto tempo. Poi se ne andò, come se nulla fosse stato detto. Ero paralizzata per quel che avevo visto. Il suo odore, la sua voce, la sua presenza uscirono di scena così come erano apparsi.

Tuttora non credo di poterlo giurare, ma probabilmente mi trovavo in un garage, garante l'odore di nafta proveniente dagli angoli più bui della stanza ed imprimeva le mie narici in maniera tenue e, per certi versi, piacevolmente. Provavo un senso di spensieratezza, quasi gioia, indice questo di un totale mancato senso di colpa rispetto ai miei atti dell'imminente passato. Avevo persino l'alito pesante, simile a quello di un ubriacone dopo una sbornia madornale. Iniziai a rivestirmi con tutta calma, svanì pure la fretta che aveva motivato il mio risveglio, tanto valeva fare con comodo.

Tutto intorno a me diveniva più circoscritto, ogni secondo più nitido, come se il sole si fosse all'improvviso si sia accorto di essere in ritardo. E fu allora che mi accorsi che il mio Super Io stava imponendo all'Es di non pensare, andando presuntuosamente contro il cogito cartesiano: non capivo più niente solo perché mi stavo rifiutando di cercare un perché, di ricostruire i fatti, di dare ordine alle confuse parole che minacciavano di creare un'esplosione nella mia testa. Non rientrava nei patti iniziali il dare una spiegazione responsabile alle mie azioni, quindi decisi che a vincere era il mio Es superficiale e distaccato dalla moralità. Uno a zero netto, senza obiezioni.

Mi colpì un biglietto, accanto ai jeans a terra:

"Freedom Party, un mondo aperto a tutti.

Il divertimento è un successo per chi lo insegue!!"

Ti aspetta Dj Patterson al Denny's Pub

il 19 Novembre, ore 22:00

In serbo per te una gran sorpresa.

Il 19 novembre. Perfetto, il giorno del mio compleanno. Mancavano esattamente tre giorni e quindi decisi di posare l'invito nella tasca dei pantaloni, mi sarebbe servito quando avrei deciso di dare il meglio di questa patetica sceneggiata della ragazza ribelle e trasgressiva.

Ormai era da tanto tempo che non vedevo mio padre, il mio cane Kuaio e Jonathan, il mio adorabile peluche, però sentivo che ancora qualcosa di strano mi attendeva, ed io dovevo trovarlo il più presto possibile. Non provavo alcun rimpianto nella scelta di aver abbandonato la mia famiglia, Jonathan, la mia routine giornaliera, perché qualcosa dentro di me marciava decisa verso la strada che avevo intrapreso già da un mese circa.

L'umidità iniziava a farsi sentire, infatti i miei lunghi capelli castani stavano attorcigliandosi più del solito, creando grossi boccoli che avvolgevano la mia schiena fin la metà perfetta del mio busto.

Quel posto, senza il compagno che per magia si era dileguato in un sol soffio di brezza mattiniera, mancava di calore, per cui guardai attorno, alla ricerca di un accessorio utile e notai che, oltre ad esservi attrezzi di vario genere e dimensione, vi era un motorino, presumibilmente di colore rosso - ancora la mia vista non si era del tutto abituata a quel soffice spiraglio di luce - sul quale vi era adagiato un succulento maglione pura lana merino.

Ben presto avrò riposto nel dimenticatoio anche quest'assurda, eccitante esperienza.

Mi accarezzai la tasca dei pantaloni facendo un sorrisetto da psicopatica e decisi all'attimo la mia prossima meta: il Freedom Party. 19 Novembre. Dennys Pub.

La prossima fermataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora