2 - L'oceano

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oceano

/o-cè-a-no/

La più grande delle distese acquee del globo, ma anche simbolo di eccezionale vastità.

«Signorina, tutto bene?» Mi basta uno sguardo preoccupato della hostess per capire che le mie intenzioni di affrontare questo viaggio in modo tranquillo e rilassato non hanno avuto molto successo

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«Signorina, tutto bene?» Mi basta uno sguardo preoccupato della hostess per capire che le mie intenzioni di affrontare questo viaggio in modo tranquillo e rilassato non hanno avuto molto successo.
Eppure, finora speravo di sembrare - almeno in apparenza - serena e perché no, professionale.

Accavallo le gambe e mi porto una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio, facendo tintinnare l'orecchino che pende dal lobo.

«Tutto bene» le rispondo con una voce così rauca che non sembra appartenere ad una ventiduenne.
Da quando ho lasciato Washington, l'unica persona con cui ho parlato è stata la barista annoiata dell'aeroporto di Las Vegas, in cui ho fatto scalo un paio di ore fa.
«Quante ore di volo mancano ancora?»

«In questo momento stiamo sorvolando Austin, atterreremo tra non molto.» Do un'occhiata fuori dal mio finestrino, quasi come se potessi effettivamente vedere qualcosa, ma sono le dieci e mezza passate e il buio del cielo avvolge completamente l'aereo, facendo aumentare il mio senso di claustrofobia.

Non ho mai amato prendere l'aereo, ho sempre patito lo stress del volo, le lunghe code per imbarcarsi e i decolli, soprattutto i decolli. Ma adesso la situazione sembra essere peggiorata.

L'idea di essere, un'altra volta, chiusa in uno spazio circoscritto senza via di uscita mi provoca uno stato d'ansia che non avevo mai provato prima.
Non riesco a non sentirmi in trappola, così come non riesco a sopprimere quei pensieri che si mescolano a ricordi che sto provando con tutta me stessa a dimenticare.

Ma non ricordare è difficile, l'essere umano vive di pensieri e di memorie, ed è grazie a questi che sopravvive nel mondo, o ci si seppellisce al di sotto.

Questo viaggio è però necessario e non posso negare di aver aspettato un'occasione del genere per mesi, soprattutto quando lo sconforto aveva iniziato a prendere il sopravvento e mi ero ritrovata a fissare sullo schermo del computer un lavoro che temevo non avrebbe mai visto la luce.

Ma poi, finalmente, ho trovato l'aggancio che mi serviva per concludere il reportage a cui sto lavorando da tempo, e non avrei permesso a questa nuova ansia che sembra essersi impossessata di me, di farmi perdere questa opportunità, anche se questo comporta il trasferirmi dall'altra parte degli Stati Uniti, in una città di cui non conoscevo neanche l'esistenza fino a qualche settimana fa.

Coraggio. Certo, una buona dose di sangue freddo è necessaria.

Sangue freddo che, però, non ho avuto con Malcom.

Ed è forse più per il mio bisogno di allontanarmi da lui e da quel senso di claustrofobia, che questo viaggio è per me necessario.

Appoggiata sulle gambe ho la mia inseparabile agenda nera, su cui segno ogni idea o spunto utile. Solo parole chiave, qualche scarabocchio o cifra. Niente di più. Il resto, tutto il lavoro che sto facendo passando notti insonni, è sul laptop che sta viaggiando in stiva insieme ad un paio di valigie.

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