I

4.3K 165 50
                                    

"Allora Simone, come è andata questa settimana?"

Simone si sistema meglio sulla poltroncina in pelle, fa uno sgradevole rumore, un cigolio fastidioso, ogni volta che si muove, e lui cerca di dissimulare quando si sistema un'altra volta, non tanto per comodità quanto per la smania che ha di fare suonare a quella sedia sempre la stessa dissonante melodia.

Si passa le mani sulle cosce tre volte, si schiarisce la voce una volta, poi tira sapientemente la manica destra della felpa che sta indossando fino a coprire interamente il palmo della mano.

"Mh bene, direi" afferma, guardando negli occhi Roberto.

Ha iniziato questo percorso ormai quattro anni fa.
Non avrebbe voluto, in verità, ma Dante, suo padre, e pure sua madre Floriana, avevano insistito tanto affinché riuscisse ad elaborare nel migliore dei modi ciò che aveva scoperto all'improvviso. Volevano che avesse un supporto, una persona che potesse aiutarlo e comprenderlo.

Simone all'inizio li aveva pure un po' detestati per le continue proposte che gli propinavano e le infinite discussioni su quanto avesse bisogno di una terapia, poiché, effettivamente, una terapia lui neanche avrebbe dovuto affrontarla se i suoi genitori non avessero nascosto la polvere sotto il tappeto per quattordici lunghi anni.

Se avesse avuto il tempo di riconoscere Jacopo nelle foto e nei racconti.
Se avesse avuto il tempo di apprendere della sua nascita e solo in seguito della sua morte, e non tutto nello stesso momento, come se quel bambino avesse vissuto un solo secondo su quella terra.

Poi dopo l'ennesima discussione con suo padre, in cui si alzarono i toni, e finita in lacrime e una corsa per le scale con conseguente porta sbattuta, sua nonna, Virginia, entrò delicatamente in camera.

Gli disse, accarezzandogli i capelli, che conosceva un ragazzo, un uomo, aiutava qualcuno dei giovani che facevano parte del gruppo di teatro che la donna gestiva, era simpatico e pacato, non aveva l'aria di un dottore e i ragazzi ne parlavano molto bene e sembravano quasi bramare l'ora dell'incontro con quell'uomo.

"Provaci, va' anche tu da lui, solo una volta, e vedi come va. Se poi non ti piacerà, cercherò io di parlare con i tuoi genitori e vedremo come aiutarti in altro modo. Ma credo che ti faccia bene, Simone, provaci, non per tuo padre, né per tua madre, per te, caro. Solo per te." gli aveva detto.

E Simone sapeva dire di no a chiunque, scuoteva la testa e serrava la mandibola, e da qualche mese riusciva pure a urlarli i no più sentiti, le negazioni più assolute, ma con sua nonna, non avrebbe mai imparato.

Così aveva contattato Roberto, aveva preso un appuntamento, e tremando come una foglia era andato al primo incontro.

Aveva ragione Virginia, non aveva assolutamente l'aspetto di un dottorone. Era sorridente e cauto nel parlare, chiedeva sempre a Simone se aveva voglia di fare qualcosa, non si imponeva mai, hai voglia di parlare di Jacopo? Hai voglia di dirmi come ti faccia stare tuo padre? Hai voglia di raccontarmi cosa fai nella tua giornata? Hai voglia di parlarmi di tua madre?
E Simone aveva apprezzato quanto fosse facile scuotere la testa, o sussurrare un no, affinché l'uomo gli sorridesse e alzasse le spalle, come a dire che non importava, e cambiasse discorso.

Era stato poi ancora più facile aprirsi, passo passo, e raccontare a Roberto, divenuto Rob dopo una manciata di mesi, di suo fratello, del modo in cui lo avesse scoperto, della sera che aveva cercato di dimenticare ogni cosa e aveva rischiato la vita nel mettersi alla guida per tornare a casa, del fatto che non avesse amici, e quei pochi che negli anni si erano creati li aveva persi con la sua incapacità di stare a contatto con le persone, a parte Chicca, e del fatto che si sentiva come se non sapesse più stare al mondo.

Jusqu'ici tout va bienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora