Capitolo 14

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Mi svegliai — il che significava che avessi dormito — con Erebo sullo stomaco, acciambellato come un gatto. Stephane si era girato su un fianco e mi aveva abbracciato ad un certo punto della notte, mi stupii nel notare la sua testa fosse proprio sopra il mio braccio.

Ci misi più del dovuto a realizzare fossi incastrata, bloccata a letto con un bambino affettuoso ed un piccolo cane sorprendentemente pesante, ma andava bene, tutto sommato.

Accarezzai il pelo ispido e leggermente... oleoso di Erebo, nonostante lo odiasse — e nonostante lo odiassi anch'io — mi promisi di lavarlo una volta arrivata a casa.

Casa. Sarei tornata nel mio appartamento, avrei ripreso a lavorare nel solito banale bar e tutto sarebbe tornato come prima. Niente più persone strane, spade che non sapevo maneggiare o imbarazzanti baci da ragazzina delle medie. Dovevo esserne felice, ma una parte di me si sentiva schiacciata contro il materasso, e presto sarei semplicemente annegata nelle lenzuola. Me lo sentivo.

Scacciai quei pensieri, non stavo certo per morire, nessuno di noi stava per morire, ed era giusto che le cose tornassero al loro posto.

Mi lasciai sfuggire un sospiro, non ero certa di cosa significasse, e non me lo chiesi.

Stephane si strinse a me e, quasi in automatico, come fosse la cosa più naturale al mondo, gli avvolsi il braccio su cui lui aveva il capo attorno alle spalle. Sorrisi un istante ascoltando il suo respiro moderato, ripensai solo per un momento alla prima volta che lo avevo visto, per terra, sporco di sangue a piangere mentre i suoi polmoni gli impedivano di respirare.

Mi vennero i brividi.

Quella mattina sembrava non ci fosse verso di pensare in modo meno negativo, sperai le cose migliorassero con l'avanzare della giornata.

Non so quanto riuscii a restare immobile, potevano essere passati pochi minuti, ma a me sembrava di stare ferma da ore. Era colpa dell'ADHD, e saperlo non mi rendeva le cose più semplici.

Volevo muovermi, anche solo leggermente, bastava non stare ferma in quel modo, ma non potevo iniziare a girarmi su me stessa o avrei svegliato Stephane. Ed Erebo, anche se lui si sarebbe spostato e avrebbe ripreso a dormire come un sasso.

Chiusi gli occhi, dovevo solo controllarmi, era semplice, semplicissimo. Ma non per me apparentemente.

Volevo alzarmi, camminare in tondo, fare una capriola nonostante non ne fossi in grado e sapessi mi sarei rotta l'osso del collo.

Volevo correre, e io odiavo davvero correre: i polmoni mi bruciavano dopo pochi metri e le gambe sembravano piccoli ramoscelli fragili che tentavano di sostenere un intero albero.

Eppure eccomi li, certissima che correre fosse la cosa migliore al mondo. O saltare. Mi sarebbe bastato anche qualcosa di meno... movimentato, un bel blocco da disegno e una matita. Facevo pena a disegnare, ma era sempre meglio di stare ferma.

Stavo lentamente degenerando. Il mio cervello sembrava un grande mare e io mi stavo allontanando dalla riva, sempre più in là.

Ecco cosa avrei voluto fare, una bella nuotata in mare, non mi piaceva nemmeno la salsedine nei capelli, perché li avrebbe resi crespi come foglie secche d'autunno — quindi più crespi di quanto già non fossero dopo settimane senza balsamo.

<<Stai ferma, ho sonno,>> si lamentò Stephane tirandomi la camicia, quella frase, detta in quel modo, mi suonò strana, un bel tipo di strano. Era il tono che avrebbe dato ad una persona che non aveva paura lo giudicasse. O così mi sembrava.

<<Scusa,>> replicai spostandogli i capelli dalla fronte per pettinarglieli all'indietro con le dita della mano che non lo stava stringendo.

Lui mugolò qualcosa che non riuscii a comprendere e tornò a dormire profondamente, io continuai ad accarezzargli i capelli trovando in quel semplice gesto un modo accettabile per scaricare almeno parte della mia energia accumulata.

La storia delle Anomalie e dell'AnticristoWhere stories live. Discover now