Diciannove

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Sono in piedi davanti alla porta della stanza di Eddie. Mi sento un po' come Jack Torrance nella scena del film "The Shining", nell'esatto istante in cui prende ad asciate la porta di un bagno, per raggiungere la ragazza rintanata in esso e sbudellarla con tanta allegria.

Se solo avessi un'ascia, l'aria da psicopatica e la battutina pronta: «Sono il lupo cattivo!», potrei seriamente interpretarlo. Chissà... Magari questa notte mi ritroverò le gemelle Grady ai piedi del letto. Magari mi inviteranno a giocare con loro, oppure mi regaleranno uno splendido triciclo con il quale gironzolare liberamente per casa.

Scuoto la testa, cosciente di doverla smettere di farmi tutte questi film mentali e iniziare a darmi da fare. Prendo un grosso respiro, insieme a una notevole quantità di coraggio, e busso, né troppo forte, né troppo piano.

«Avanti...».

Abbasso la maniglia ed entro, rimanendo in piedi sulla soglia. Eddie è seduto sul suo letto, lo sguardo fisso su di me. In mano tiene un libro aperto a circa la metà. Strizzo gli occhi per vedere meglio il titolo: è "Jane Eyre", uno dei libri che gli ho regalato io per Natale.

Rimango zitta e impalata davanti alla soglia, improvvisamente sento di aver perso tutto il mio coraggio e la mia determinazione, vorrei solamente sgusciare fuori nella speranza che Eddie si dimentichi tutto.

Continua a guardarmi e man mano che il tempo passa il suo sguardo da interrogativo si trasforma in preoccupato e successivamente in angosciato. In effetti non posso che dargli ragione: chi non si sentirebbe a disagio con una tizia probabilmente strabica, inquietante e dall'aria morente, che ti sta fissando in continuazione senza dire nulla? A parer mio ci riuscirebbe solamente uno di quei conduttori di show televisivi che permettono alle persone di trovare "l'anima gemella". Quelli sono abituati a tutto, non so capacitarmi di come facciano a lavorare in ambienti del genere...

«Perché non me l'hai mai detto?».

Inizio pessimo? Inizio pessimo. Con tutto quel cazzo che potevo dire, con tutte le prove che avevo fatto davanti allo specchio! Perché? Perché sono così stramaledettamente incapace di tenere una comunicazione seria e composta con qualcuno? Perché devo mandare all'aria tutto? Cosa c'è che non va in me e nel mio cervello?

L'espressione di Eddie si fa ancora più cupa. «Di... Di che stai parlando?».

Non sta facendo il finto tonto, lo conosco troppo bene. Eddie non è molto bravo a recitare e a dire bugie, anche se mi stupisco di come sia riuscito, in parte, a tenere nascosto questo suo piccolo, ma al contempo enorme, segreto.

Sospiro, chiudo leggermente la porta alle mie spalle. Anche se i miei genitori non sono ancora tornati dai rispettivi lavori, temo sempre che le loro orecchie possano arrivare ovunque e in qualsiasi momento, perciò è meglio tenere chiuso, per sicurezza. Ciò di cui si parlerà in questa stanza rimarrà in questa stanza, almeno almeno fino a quando Eddie non deciderà di rivelarlo al mondo esterno.

«Tu e Lewis» dico «perché non mi hai mai detto di voi due?».

Alzo lievemente gli occhi su di lui, è sbiancato, il libro prima aperto è appena caduto dalle sue mani che sono rimaste sospese a mezz'aria in una posizione innaturale, le dita tese, piegate in modo sofferente. Trema, ma noto come stia cercando di imporre al suo corpo di rimanere rigido e fermo. Sta combattendo, sta combattendo accanitamente con i sentimenti forti che lo stanno lentamente divorando. Odio provocargli questo, ma so di non poter fare nient'altro, non possiamo andare avanti a prenderci in giro l'un l'altro, non possiamo e non ho intenzione di continuare a farlo.

«T-tu come...?»

«Eddie...» il mio tono mi sbalordisce, è calmo, dolce, rassicurante, non credo di essere mai riuscita a emettere un timbro del genere in vita mia. «Vi ho visti oggi, a scuola...».

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