15.2

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«E quindi ogni anno io e Radja ce ne andiamo in vacanza insieme, lontani dai paparazzi. Gli voglio un mondo di bene, siamo diventati padri e cresciuti come uomini praticamente insieme» Miralem sorrise intenerito davanti allo sguardo esterrefatto di Diana.

«Ma... voi due...» balbettò incredula, la bocca che non riusciva a chiudersi per lo stupore. «Avete sempre detto di non essere più amici!»

Lui scrollò le spalle, sogghignando divertito. «La questione è stata gonfiata da tutti. È vero, per un periodo non ci siamo parlati, ma non potevamo continuare così per sempre: alla fine ha accettato la mia scelta, siamo abbastanza grandi per poter mettere da parte queste cose.»

Diana lo fissò sempre più allibita, mordendosi l'interno della guancia.
Di tante possibili scoperte in cui avrebbe potuto incombere, di certo quella rivelazione non era tra quelle che si immaginava: sentiva tutto l'astio nutrito in quegli anni per Pjanić scemare lentamente e, in parte, anche un po' di risentimento verso Nainggolan, che non aveva mai accennato della loro rappacificazione nelle interviste, se non sempre in chiave ironica, sul filo del detto-non-detto.

«Ancora non accetto la tua scelta, perché eri uno dei miei preferiti» affermò seria. «Però mi scuso per tutte le volte in cui ti ho augurato qualche infortunio, ero solo tanto arrabbiata.»

«Accetto le tue scuse!» il bosniaco rise, poggiandole un braccio attorno le spalle. «Cambiando discorso, come va con Dybala? Prima vi ho visti discutere.»

Diana evitò i suoi occhi indagatori, giocherellando con il bordo del vestito. «Alti e bassi. Certe volte se ne esce con delle cose che... Non lo so, sembra non capire. Ha comportamenti strani, non mi dice tutto, non so nemmeno se mi dice la verità.»

«Paulo non è cattivo e non ti sta mentendo» sussurrò Miralem, dopo qualche secondo di silenzio. «È solo spaventato.»

«Ah, lui è spaventato?» la biondina sorrise ironicamente, incrociando le braccia al petto. «E non te la prenderai se ti dico che con le parole di uno dei suoi amici più fedeli ci faccio ben poco.»

«È spaventato perché sa che con te non può permettersi passi falsi, e credimi se ti dico che la sua più grande paura è quella di perderti. Non ho motivo di dirti cazzate, non me ne entra nulla in tasca.»

Diana percepì le guance arrossarsi e una scarica di adrenalina scuoterla dalla testa ai piedi: la sincerità di Pjanić era così palpabile che si vergognò di averla messa in dubbio.
Quella poteva essere un'altra conferma di quanto Paulo tenesse a lei, se solo lui non avesse deciso di rovinare tutto quello che avevano creato in meno di due giorni.
I comportamenti strani, ignorarla per ore e ore senza preoccuparsi di come stesse, la sfuriata senza senso che la aveva rifilato mezz'ora prima, obbligandola a prendere tutte le dovute distanze di sicurezza per salvaguardare i suoi sentimenti e il suo cuore. Era stata lei, da quel momento, a ignorarlo, gettandosi nelle conversazioni più assurde con chiunque non fosse stato Paulo Dybala.

Si alzò con decisione dal divanetto su cui era seduta, traballando sui tacchi che aveva stupidamente scelto di indossare – tutto per quello stronzo – e Miralem riuscì ad afferrarla per un gomito, evitando che ruzzolasse a terra.

«Non hai nemmeno bevuto e stai così?» la sbeffeggiò, destandosi a sua volta.

Diana evitò di ribattere con una delle sue solite battute sarcastiche e lo invitò con un cenno a seguirla verso la ringhiera, il volto stoico e senza emozione.
Strinse con forza il metallo freddo tra le mani e cercò tra la folla il suo numero dieci.

Lo trovò a tiro sotto di loro, accanto alla consolle del DJ, e sentì la bile risalirle in gola quando lo vide scostare una ciocca di capelli dietro l'orecchio di una ragazza, sussurrandole qualcosa di così tanto divertente da costringerla ad avvicinarsi ulteriormente, accarezzandogli il braccio sinistro in un gesto di confidenza molto allusiva. Lui socchiuse gli occhi, scolandosi i rimasugli dell'ennesimo Gin Tonic della serata.

SOTTO LO STADIO | Paulo DybalaWhere stories live. Discover now