Cap. 9

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Sfilai il giaccone dall'attaccapanni, presi cellulare e chiavi di casa dallo svuotatasche all'entrata e uscii ignorando il pianto di Jimin, che aveva iniziato a singhiozzare nel momento in cui gli avevo voltato letteralmente le spalle.

Mi stavo infliggendo dolore fisico da solo lasciandolo lì, in quello stato, mentre cercavo di riprender fiato e allontanarmi dalla porta. Sentivo la schiena inchiodata al legno e il cuore, o almeno ciò che ne restava, pesante. Sarei voluto tornare sui miei passi e sbatter fuori Namjoon per prendere il suo posto, ma ottenendo cosa? La famiglia di un altro?

Strinsi le dita sulle chiavi finché il dolore non fu troppo forte e mi riportò un minimo di lucidità, che mi consentì di muovere un passo dopo l'altro fino all'ascensore. Scesi in strada, pentendomi subito di non aver preso anche un cappello; sollevai il cappuccio e affondai il collo nel giaccone per ripararmi il più possibile.

A ogni passo che mi allontanava dal mio appartamento, sentivo il malessere fisico crescere come se il mio corpo mi stesse implorando di ricongiungersi a quello del suo omega. Ignorai quell'istinto perché non avrei risolto niente nello strisciare senza orgoglio da Jimin e il senso di benessere sarebbe durato poco, perché poi sarebbe toccato alla mia anima struggersi per un amore che non potevo ricevere.

Infilai le mani nelle tasche e incappai negli auricolari bluetooth dello smartphone. Li usavo raramente e non sapevo neppure se fossero ancora carichi; li indossai con la speranza di poter ascoltare musica che avrebbe aiutato a distrarmi, o anche solo a farmi tornare a respirare in modo regolare. Feci partire la playlist di canzoni miste di un gruppo inglese che amavo particolarmente e che in quel momento avrebbe aiutato a far svanire i pensieri.

Camminai senza meta finché non sentii i piedi freddi e il naso congelato. Non potevo continuare a vagare per la città tutta la notte, ma non sapevo dove andare. O meglio: sarei voluto andare alla Hype per chiudermi in studio o in palestra, ma avrei finito con l'esagerare e non potevo permettermi di non dare in massimo sul lavoro, la mattina dopo.

C'era soltanto un unico altro posto dove mi sarei rifugiato, quindi cedetti a quel bisogno e inviai un messaggio scrivendo che mi sarei presentato sotto al suo appartamento da lì a una decina di minuti, senza neanche chiedere se disturbassi o avesse altri piani.

Per me c'era sempre e sapevo non sarebbe cambiato mai, qualsiasi cosa succedesse.

Presi un taxi all'angolo della strada e cercai di rilassarmi col calore della vettura e le note sparate ancora nelle orecchie, eppure ogni chilometro che mi allontanava da Jimin era una ferita all'anima e stavo sempre peggio. La sensazione provata prima era niente, forse perché la distanza fisica iniziava a essere troppa. Eravamo già a quel punto?

L'autista si fermò sotto all'appartamento del quale gli avevo fornito l'indirizzo e dovette richiamare la mia attenzione quasi urlando. «Giovanotto, siamo arrivati. Sicuro di sentirsi bene?»

Annuii, poco incline a chiacchierare, e gli lasciai una cospicua mancia. Chiusi i suoi ringraziamenti dietro allo sportello e m'incamminai verso il portone a vetri del palazzo; accelerai il passo per prendere l'ascensore insieme alla ragazza col cane e non dover aspettare. Ci salutammo con un cenno e mi sembrò di riconoscerla, forse era l'universitaria che viveva alla porta accanto e che a volte ci faceva impazzire con la musica ad alto volume.

La mia teoria si confermò vera quando scendemmo allo stesso piano e percorremmo il corridoio: lei aprì la porta mentre io bussavo e aspettavo che mi aprissero, togliendo gli auricolari e riponendoli nella tasca sinistra del giaccone.

«Chi non muore si rivede» esordì, apparendo sulla soglia.

«Non so per quanto sarò vivo, ancora.»

Fuoco e Stelle [Yoonmin]Onde histórias criam vida. Descubra agora