Capitolo 8 - Aspetta un attimo

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Charlotte tornò improvvisamente lucida.

«Che cosa stai facendo?» chiese mettendosi una mano sulla fronte, mentre con l'altra faceva cenno a Patrick di allontanarsi. Non riusciva a guardarlo.
«In che senso, scusa?» Patrick si era fermato al penultimo bottone della camicia e ora la guardava confuso. I suoi pettorali si intravedevano sopra due file di addominali lisci e scolpiti.
«Io...» Charlotte si allontanò ancora, sul divano, guardando imbarazzata dalla parte opposta a lui. «Io...credo di dover andare.»
«Dove?» Patrick scattò in piedi. «Pensavo che, che lo volessi anche tu.»
«Patrick...»
«Ho capito» disse lui riabbottonandosi la camicia, guardando Charlotte negli occhi. «Fammi indovinare - le disse mentre riprendeva in mano il bicchiere di vino scolandolo d'un fiato - c'entra Josh, non è così?»
«Non...non so cosa pensare...non so ancora se sei responsabile di quello che gli è successo.»
«Certo, capisco» era diventato freddo e la guardava appena.
Charlotte si sentiva mancare: aveva rovinato una serata quasi perfetta o aveva solo salvato quel poco di dignità che ancora le rimaneva?

Patrick si avvicinò alla finestra, mentre lei lo osservava. Nel salone era calato il gelo, nonostante il caminetto crepitasse vivacemente. Aveva iniziato a piovere e le gocce battevano sulle ampie vetrate.

«Ho capito» ripeté lui. «Io non sarò mai Josh, nonostante le bugie, i tradimenti e il fatto che non potesse offrirti altro che gli scarti di ciò che dava agli altri. Tu vivi in un ricordo distorto Charlotte, quello che sai di lui è solo una minuscola parte di quello che era davvero. Gli volevo bene anche io e mi manca maledizione, ma non posso dimenticare tutto il male che ha fatto a chi lo amava.»
Charlotte non sapeva se avvicinarsi.
«Forse è meglio che tu vada - aggiunse lui dopo una pausa, aveva il fiatone - ti accompagno.»
«Chiamerò un taxi non preoccuparti.» 
«No. E' il minimo che possa fare per ringraziarti di essere stata qui.»

Era quello il trattamento che riservava alle ragazze che passavano da casa sua? Charlotte non lo sapeva, ma era grata di essere tornata in fretta alla realtà.
Lui prese il cappotto. «Andiamo» le disse perentorio.
Dopo qualche minuto Charlotte vedeva la pioggia battere sul tettuccio trasparente dell'auto. Era interdetta. Non voleva che la conversazione finisse lì, e decise di andare contro tutto ciò che avrebbe fatto normalmente. Doveva ristabilire i ruoli.

«Sali?» gli propose quando furono sotto casa sua.
«Non credo sia il caso.»
«Mi devi delle spiegazioni.»
«Qualsiasi spiegazione ti darò non sarà sufficiente Charlotte, sarai sempre innamorata di lui. - guardò il volante - Sei sempre stata sua.»
«Sali cinque minuti, Patrick. Non voglio che questa serata finisca così. Almeno comportiamoci civilmente. Per mio padre.»
L'ultima frase fu una mossa azzardata, ma Charlotte aveva finito gli assi da giocarsi ed era decisa ad agire d'astuzia. Patrick non avrebbe mai fatto nulla che potesse metterlo in cattiva luce con Charles Cooper e lei lo sapeva.

Funzionò.
Patrick sbuffò, e uscì dall'auto. Non si preoccupò della pioggia, che gli bagnava i capelli, il cappotto, le mani. Aspettò Charlotte, che scese dall'auto e corse verso l'atrio del palazzo, riparandosi con la borsetta. La seguì poi nell'ascensore, dove gocciolò copiosamente sul pavimento. Era serio e non parlava, anzi era infastidito.

Charlotte non sapeva se essere più irritata o incuriosita da quell'atteggiamento. Patrick era un arrogante privilegiato, abituato a ottenere sempre quello che voleva senza alcuna fatica oppure era sincero e lei non credendogli, lo aveva ferito?

«Vai pure in salone, ti prendo qualcosa per asciugarti.»
Tornò dopo pochi minuti con un asciugamano mentre lui si scaldava le mani davanti al caminetto che nel frattempo aveva acceso.

Lui afferrò l'asciugamano passandolo sui capelli velocemente e glielo ridiede.
«Grazie» brontolò.

«Che cosa intendi dire con sei sempre stata sua?» chiese Charlotte con un tono forzatamente calmo. Voleva affrontare quel discorso una volta per tutte e lo voleva chiudere quella sera.
«Josh è morto da tre anni, eppure continua ad avere un potere incredibile su di te» disse Patrick sedendosi sul divano. «Ma come diavolo fa?» si mise le mani tra i capelli e continuò. «Ho fatto di tutto per aiutarlo, per toglierlo dai casini in cui si infilava sempre. Eppure quando gli ho detto che mi piacevi si è messo a ridere. Cosa vorresti combinare con lei? mi chiedeva, sbeffeggiandomi. Usava quel tono sarcastico, fintamente interessato, che per me era come veleno, mi uccideva.»

Charlotte si avvicinò, senza dire nulla per paura di interrompere quel flusso di pensieri che, forse, le avrebbe portato le risposte che cercava. Ora Patrick la guardava negli occhi.
«Il giorno in cui tuo padre ci ha presentati - continuò - eravamo a quella serata di beneficienza a Mayfair...era maggio e tu indossavi un vestito verde scuro, lungo.»

Charlotte ricordava quella sera. Circa otto anni prima. Aveva conosciuto Josh da poco, sulle scale di casa sua. A quell'evento suo padre le aveva introdotto anche Patrick, che però aveva subito dimenticato.
«Tu eri visibilmente rapita da Josh - ghignò - e lui lo aveva capito. Gli dissi che avrei chiesto a Charles di poter uscire con te, anche se non sarebbe stato facile perché tu vivevi a New York e io a Oxford in quel periodo. Josh mi disse che si sarebbe preso lui cura di te, e allora capii di non avere nessuna speranza - guardò per terra - ma parlai ugualmente a Charles delle mie intenzioni. Invece Josh non si preoccupò minimamente di farlo.»

Charlotte era senza parole. Dopo quella sera aveva perso di vista Patrick, ma Josh le aveva fatto una corte serrata e alla fine avevano iniziato una relazione. Lei aveva completamente perso la testa, mentre Josh le ripeteva sempre di non dire nulla della loro storia a Charles.

«Perché mio padre non me lo ha mai raccontato?»
«Perché gli ho chiesto di non farlo. Avevo capito che Josh aveva deciso di prenderti in un modo o nell'altro e, come era sempre successo, avevo preferito cedere e farmi da parte. Me ne vergogno, ora.» Fece una pausa. «Ho comunque deciso di continuare ad appoggiarlo, e quando ha mollato gli studi l'ho detto io a Charles, perché lui aveva paura.»
«Cosa?»
«Hai capito bene. Charles praticamente gli ha fatto da padre.»
«Questo lo sapevo, ma...non ho mai conosciuto i dettagli.»
«Credo che ci vorrà un bel po' per tutta la storia.»
«Continua...»
«E' tardi Charlotte..»
«Non ho sonno.»
Lui la guardò, triste. «Neanche io ho sonno. Ma ho passato una vita a cercare di emergere dall'ombra di Josh, e ora che è morto non voglio passare una serata a parlare di lui. Non con te» si alzò. «Domani, quando ripenserò a questa serata, non voglio ricordarmi di quanto questa conversazione abbia riaperto vecchie ferite. Vorrei solo...»

Charlotte si alzò, con aria di sfida. Lo fissò negli occhi: «Solo?»
«Vorrei solo ricordarmi delle tue labbra sulle mie.» Patrick si morse un labbro, trattenendo a fatica l'impulso di baciarla. Si avvicinò lentamente a lei, sfiorandole il mento con l'indice e il pollice. La baciò, finalmente, con delicatezza, a fior di labbra. Non andò oltre.
«Buonanotte Charlotte.»
Lei rimase interdetta, staccandosi dalla camicia ancora bagnata di lui. «Buonanotte» sussurrò.

Patrick le sfiorò una mano e si diresse verso l'atrio. In un attimo uscì di casa e si chiuse la porta alle spalle. Charlotte andò alla finestra, ricordando l'ultima volta che l'aveva visto fuggire così da lei, qualche sera prima. Forse era così che doveva essere, in fin dei conti in tutti quegli anni non si erano detti una parola e adesso non riuscivano a stare vicini.

L'ombra di Josh li seguiva ovunque, dalla tomba, per ricordare loro che esisteva ancora, prepotente, in angoli della loro memoria e del loro cuore che non si potevano chiudere a chiave.

Sospirò, mentre Neri si accoccolava vicino a lei, che ancora guardava dalla finestra. Aveva smesso di piovere.
Sarebbe mai riuscita a chiudere quel sepolcro per sempre? Non lo sapeva, ma decise che ci avrebbe provato.

Il profumo del cardigan bluOnde histórias criam vida. Descubra agora