Prologo { REVISIONATO }

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PROLOGO

JASON

Sembra passata una vita da quando ho cominciato l'addestramento per entrare nell'Esercito. Tutti i miei amici mi credevano pazzo per questa scelta, ma io convinto ho continuato imperterrito per la mia strada. Ora sono qui, tornato dall'ennesima missione, tutti mi osannano e mi ringraziano per quello che ho fatto. Ma io non voglio essere osannato. Ho fatto il mio dovere. Non capiscono che per me essere soldato è una vera e propria Missione, tutto quello che faccio o che provo a fare ogni volta che parto con il mio plotone è per migliorare la vita delle persone non solo nei Paesi colpiti da guerre e da povertà ma anche per il nostro Paese.

Essere soldato, o meglio Caporale dell'esercito significa prendere decisioni importanti per te e per tutti i ragazzi e le ragazze che lottano con te per tentare di portare un piccolo bagliore di speranza e pace in coloro che non credono più.

Nessuno sa cosa si prova quando nonostante tutta la preparazione mentale e fisica qualcosa va storto e non tutti tornano a casa o tornano colpiti nella mente e nel corpo. Nessuno sa cosa si prova quando la persona a cui tieni di più e di cui sei perdutamente innamorato perde la vita sotto i tuoi occhi colpito da una mina antiuomo e tu sei obbligato, anche se in quel momento vorresti solo morire con lui, ad avvisare la famiglia dell'accaduto.

Questo è il momento più brutto, essere lì davanti alla porta di casa, con la bandiera piegata e la piastrina identificativa e dover dire più serio e contrito possibile "Suo figlio non ce l'ha fatta"... Credi di abituarti anche a questo ma non è così. Quando ho dovuto farlo per lui, per Alessandro Mancino, non sono riuscito a trattenermi.

~~~

Libano Marzo 2019

"Siamo a Beirut per la nostra ronda abituale di controllo. La capitale yemenita quel giorno sembrava tranquilla, stranamente tranquilla. Caldo soffocante, più del solito. Io e i miei ragazzi sudavamo molto e la sofferenza era tanta, ma eravamo abituati a tutto questo. Come da prassi, arrivati al centro città ci dividiamo in modo da controllare in modo meticoloso tutti i punti nevralgici della capitale. Do gli ordini smistando tutti nelle loro zone di competenza.

Io, il Primo Caporale Alessandro Mancino e altri due soldati ci dirigiamo verso la stazione di San'a. Cominciamo ad ispezionare l'area. L'aria attorno a noi oltre ad essere afosa, è pregna di un fortissimo odore di bombe e mine antiuomo esplose da poco e di corpi lacerati e lasciati lì a marcire. Ci avviciniamo ad alcuni di questi corpi, li osserviamo accorgendoci con il dolore negli occhi e nell'anima che si tratta di tre bambini che non hanno più di sette anni.

Anime pure, indifese e senza colpa che hanno perso la vita loro malgrado per un credo estremizzato ai massimi termini. Mi piego sulle ginocchia, nonostante il mio essere fermo e quasi senza emozioni comincio a sentire i miei occhi pesanti, cerco di non piangere ma diventa sempre più difficile. Sento una mano poggiarsi sulla mia spalla. La sua mano, la mia roccia, la mia ancora. Sollevo lo sguardo verso di lui, le mie iridi azzurre si incrociano con le sue color nocciola. Il mio sguardo poi torna su quelle povere creature, entrambe le mie mani finiscono sui loro occhi e glieli chiudo per l'ultima volta.

Mi rialzo, mi guardo intorno, mi sembra ancora una volta tutto troppo tranquillo. Non riesco a capire se sono io a farmi troppe domande o se quel silenzio assordante è solo uno spiraglio di quiete prima dell'arrivo della tempesta. Il mio istinto non mi ha mai tradito. Tengo la mia soglia di attenzione alta mettendo sull'attenti i ragazzi che si trovano qui con me. Non sono per niente tranquillo. Continuiamo la nostra ronda.

All'improvviso odo un boato fortissimo e mi metto sull'attenti. Non riesco a capire da dove proviene, fino a quando non dirigo il mio sguardo all'ingresso della stazione. Corro in quella direzione, faccio saettare il mio sguardo ovunque. Vedo apparire i due ragazzi che erano con me, si avvicinano. Continuo a guardarmi intorno, non lo vedo. Alessandro non c'è. Nella mia mente oscuri presagi si fanno largo. devo mantenere la calma, ma non ci riesco, non quando si tratta di lui. Continuiamo a guardarci intorno, ancora niente. Il fumo creato dall'insieme della mina esplosa e dei detriti già sul suolo comincia a diradarsi, lasciando intravedere quello che è rimasto.

Vedo un corpo, prego che non sia il suo. Mi catapulto lì, di colpo mi blocco. Alex è lì inerte al suolo. Corro verso di lui, mi inginocchio. Respira ancora, ma è molto debole. Gli prendo la mano, cerco di tenerlo sveglio quanto il più possibile. Chiamo i soccorsi spiegando l'accaduto e restiamo in attesa. Cerco di fare tutto il possibile, non può finire così, non può morire. Non posso restare senza lui. Ad un certo punto mi sento tirare debolmente, è lui. Mi prende la mano, me la stringe con la poca forza che gli è rimasta e sussurra con voce appena udibile «Sei e sarai sempre l'unico amore della mia vita. Promettimi di non lasciarti andare...» mi lascia così esalando l'ultimo respiro, resta lì con gli occhi aperti, quelle iridi nocciola in cui mi sono perso talmente tante volte e che d'ora in poi non vedrò più, ma che rimarranno per sempre impresse nel mio cuore e nella mia anima.

***

Roma, qualche settimana dopo l'accaduto.

Sono qui davanti casa della famiglia di Alessandro. Faccio un grosso respiro, mi avvicino molto lentamente al portone, suono il campanello. Ed ecco quello che non volevo. Ad aprire la porta è Vanessa, sua sorella minore. Lei sa bene cosa sta succedendo, nonostante abbia sedici anni è cosciente di quello che succede quando un superiore bussa alla porta di casa in divisa e con quegli oggetti custoditi nelle proprie mani. Mi fa entrare, mi accorgo che sta tremando, i suoi occhi si stanno arrossando rapidamente.

Arriviamo entrambi nella sala da pranzo dove ci sono i signori Mancino. Mi osservano e capiscono immediatamente. Sento gli occhi appesantirsi. Una lacrima bagnarmi la guancia destra. Cerco di farmi forza.

«Signori Mancino, vi porgo la bandiera e la piastrina identificativa del Primo Caporale Alessandro Mancino...» riprendo fiato, le lacrime cominciano a sgorgare abbondanti, non riesco a continuare.

La signora Mancino mi si avvicina piangendo anche lei prendendo quegli oggetti dalle mie mani, sa cosa è stato suo figlio per me, l'unico che sia riuscito a farmi perdere la testa e a farmi innamorare di lui, mi abbraccia come solo una mamma sa fare. Il suo abbraccio nonostante la sua sofferenza riesce ad essere una piccola coccola. A quel punto ricambio l'abbraccio lasciandomi completamente andare. Del Caporale Jason Jensen non c'è niente, ora c'è solo Jay, così amava chiamarmi il mio Alex. Quella stretta prima tra me e Rosa, diventa ora "di famiglia". Io e la famiglia di Alex ci stringiamo in un momento TUTTO nostro. Un abbraccio che sembra non finire mai. Quando riusciamo a riprenderci un minimo, dico

«Io ci sarò sempre per voi, so che non serve dirvelo, ma dovete saperlo» ancora con le lacrime che cadono sulle mie gote ora rosee.

«Lo sappiamo Jason e tu puoi sempre contare su di noi.» afferma il signor Marco Mancino. Sto per andarmene ma Vanessa mi blocca abbracciandomi da dietro e

«Jay» sussulto e trattengo il fiato al sentire quel diminutivo,

«Sei come un fratello maggiore per me, per favore non allontanarti da noi. Ale era tutto.» mi supplica tutto d'un fiato. Le mie mani stringono le sue e sciogliendo quella stretta mi giro verso di lei. La stringo in un abbraccio che sa di affetto e mi affretto a rincuorarla, come faccio ad abbandonarli

«Vanessa, non potrei allontanarmi da voi neanche volendo. Siete la mia seconda famiglia» affermo con le mie labbra che si curvano verso l'alto creando un dolce sorriso e la stringo forte a me, lei ricambia immediatamente.

~~~

Ora sono qui nel mio appartamento, fuori dal Centro delle forze operative terrestri. Da quando è successo ho chiesto una licenza, che mi è stata subito accordata. Non entra nessuno in questa casa se non mia sorella Jessica che è l'unica che riesce a capirmi e a volte i Mancino che di tanto in tanto vengono a trovarmi e io vado a trovare loro. Questi due anni sono stati durissimi, sono andato avanti per forza d'inerzia. Mi sento vuoto e come se mi mancasse qualcosa, mi sento ancora completamente distrutto, ma nonostante tutto voglio e devo tornare a fare l'unica cosa che mi fa sentire utile e mi fa avere uno scopo da perseguire nella vita. Devo tornare a compiere la mia Missione. Aiutare chi aiuto non ha, rendere migliore la vita a chi non può averla.

Domani tornerò al Comando dopo circa due anni, sono stato convocato per alcune comunicazioni importanti e sarà lì che annuncerò il mio ritorno. Non so come sarà, ma ho bisogno di tornare. Quella è la MIA vita. E poi sono certo che sia i Mancino che la mia famiglia e in particolare mia sorella, la mia guerriera, Jessica saranno felici e fieri di me per questa decisione. E no, non l'ho dimenticato, anche lui, Alex sarà fiero di tutto questo. Anche per lui essere soldato era una vera e propria Missione.

LegàmiWhere stories live. Discover now