Capitolo 2

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L’ancella si mosse in tutta fretta, controllando veloce che sulle proprie vesti non vi fossero tracce di quell’incontro fugace e stirò appena le pieghe dell’ampia gonna di pelle, foderata di morbido pelo di scoiattolo. Non era semplice data la loro minuta stazza conciare tessuti e pellicce, ma i rigidi inverni e l’incapacità di richiamare le energie della Grande Madre per scaldarsi aveva portato a un’ovvia quanto necessaria scelta. Se i loro predecessori erano soliti vestirsi con foglie e petali, per il popolo non era più possibile. Non avevano l’eleganza degli Elfi Oscuri nel creare splendidi abiti intrecciati di magia e nemmeno la spessa pelle degli Ogree che gli permetteva di non percepire il minimo gelo e resistere facilmente alle intemperie. Erano semplici fate reiette e il loro potere era sempre più debole.
Ispirarsi agli stessi esseri umani che li avevano ridotti in ginocchio fu la scelta meno dignitosa, ma la più efficiente.
Si passò le dita leggiadre lungo il collo, lì dove l’ultimo bacio del Principe l’aveva sfiorata, il suo cuore fece un’impercettibile capriola che ignorò con un gesto scocciato della mano, quasi a rimproverarlo per quell’atto non richiesto, quell’emozione non preventivata.
Non era pentita di ciò che era accaduto, non lo era mai. Ma iniziava a temere le sue stesse emozioni.
Il suo sguardo si posò sui grandi quadri che adornavano quel corridoio, dipinti sapientemente su tele simili a quelle degli Alti, intrecci di fibre che non assorbivano troppo i colori mantenendo viva l’immagine ritratta. Ognuna di esse raffigurava una famiglia reale succedutasi nel tempo. Le opere più antiche erano state eseguite su vecchie pergamene rubate probabilmente agli umani, quando ancora tutto era regolato dalla Grande Madre e le fate erano capaci di azioni straordinarie. Persino quei quadri erano intrisi di energia, la poteva percepire a ogni passo che la avvicinava a quei volti immutabili dal tempo. Frizzava giocosa lungo la sua pelle, sfiorandole il viso come una carezza, sollevandole i capelli sfuggiti alla cuffia e attraendola come una falena al fuoco. Il volto severo del primo Re delle fate la osservava in netto contrasto con la dolcezza paterna che traspariva dal suo sguardo. I capelli scuri esaltavano la pelle diafana e gli occhi chiari e azzurri come l’acqua di un laghetto. Tutto di quel quadro risplendeva di morbida luce, come anche quello successivo, dove il figlio aveva succeduto al padre e ne condivideva il medesimo sguardo pregno d’amore per il proprio popolo e di nuovo, fino a quando il nero della chioma e il dolce azzurro delle iridi venne sostituito da morbidi capelli biondi e occhi color rame. Le pose composte e i sorrisi sinceri avevano dato posto a volti annoiati e corpi stravaccati sul grande trono di viticci tramandato di generazione in generazione.
L’ultimo quadro raffigurava Re Helyx Liko III.
Una scintilla d’odio divampò nelle iridi ametiste di lei al vedere, anche se solo dipinto, il volto dalla bellezza eterea del sovrano, gli occhi animati da giochi crudeli, risplendevano rossastri mentre il viso giovanile veniva sorretto svogliatamente dal palmo aperto. Una sottile corona brillava tra i boccoli chiari. Eis inarcò un sopracciglio confusa, non si era mai soffermata sui dettagli di quei dipinti, soprattutto sul suo, e infatti dovette mordersi il labbro fino a percepire il sapore ferroso del suo stesso sangue per trattenere la scariche di ingiurie e l’impulso di fare a pezzi quello sguardo capriccioso e impunito. Tornò a focalizzarsi sulla corona che gli poggiava in capo e alla sensazione di estraneità che le rimandava. Non appariva in nessun altro dipinto, era apparsa improvvisamente solo in quell’ultimo quadro e i pensieri vagarono incontrollati a tutte le volte che era stata alla presenza del Re. Quel sottile cerchio d’oro lo accompagnava ovunque andasse, ne era ossessionato e vanesio lo esibiva alla nobiltà della corte fatata e costringeva il popolo che lo incontrava a baciarne la gemma incastonata al suo centro.
Un leggiadro scampanellio raggiunse le sue orecchie sensibili che leste tremarono attratte da quelle note, la Principessa la stava chiamando e in effetti era spaventosamente in ritardo.
Si avvicinò felpata alla grande finestra circolare scavata nel tronco del maestoso albero che costituiva la corte del popolo fatato e si guardò intorno, non c’erano guardie o servi di alcun genere, nessuno solcava quei corridoi a un’ora così tarda, ma presto sarebbe arrivato qualcuno.
Decise per quella notte di disobbedire nuovamente alle regole, una calda fitta le inondò il ventre alla sola idea e l’immagine di lei che raggiungeva le stanze del Principe a dispetto di quelle della sorella la colse impreparata tingendole le guance di porpora. La scacciò con un gesto deciso del capo e schiaffeggiandosi appena le gote arrossate afferrò poi i bordi della finestra per aiutarsi a scavalcarla.
Una volta seduta e con le gambe a penzoloni sul vuoto, i suoi occhi violacei si soffermarono sulle tante luci che brillavano lungo la corteccia della gigantesca pianta. Il popolo viveva a un passo dalla nobiltà, abbastanza vicini per sfiorarli e inebriarsi di essi, ma lontano a sufficienza da non insudiciare le stanze con la loro presenza o almeno così il Re amava dire lontano da orecchie indiscrete.
L'odio che a stento era riuscita a sopprimere poco prima si riaccese come una brace animata dal vento al solo ricordare la voce profonda e beffarda del suo sovrano mentre nell’oscurità le sussurrava parole maligne e promesse di sangue.
Leste le dita raggiunsero la schiena mentre liberava dalla loro prigione di cuoio le grandi ali bianche, simili per fisionomia a quelle di una cicala, ma più spesse e resistenti e dello stesso colore delle stelle e come esse rilucevano appena nel buio del corridoio. Aveva bisogno di sentire l’aria sulla pelle per scacciare l’eco delle dita del Re, non era più questione di ritardo, quanto più che sentiva la necessità fisiologica di sfiorare un po’ di libertà, detergersi grazie al soffio della brezza di fine autunno, sentirsi più vicino all’unica madre che aveva mai avuto.
Si lasciò cadere in avanti, mentre la retina le aderiva al volto come una seconda pelle a causa dell’aria che invisibile contrastava la sua discesa nel vuoto. Aprì di scatto le ali iniziando a muoverle veloci per librarsi senza alcuno sforzo nel vento. Attenta a evitare le zone particolarmente illuminate, virò lesta intorno al grande albero che costituiva ciò che era rimasto del suo popolo. Nel suo viaggio verso le stanze della Principessa afferrò al volo un po’ di linfa che il maestoso arbusto aveva deciso di donarle, consapevole di quanto ne andasse ghiotta la giovane reale e sperando così di rendere più dolce il suo ritardo.

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⏰ पिछला अद्यतन: Feb 27, 2023 ⏰

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