Capitolo 8 ~ Rachele Olivarelli

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- Come ti trovi tu con i tuoi nuovi compagni invece? - mi chiese Rebecca.

Aveva appena finito di raccontarmi la storia della sua vita

- Perchè questa domanda proprio adesso? -

Mi faceva ripetizioni di matematica da qualche mese, ma per me rappresentava una parte essenziale della mia vita, anche se non ne fu mai a conoscenza.

- Non lo so, mi sono semplicemente accorta che tu sei l'unica a sapere quasi tutto della mia vita, ma io non so nulla della tua -.
- Non è vero: sai che sono pessima in matematica e che mi sono traferita allo scienze umane solo quest'anno... -
- E basta. Non so neanche chi sia la tua migliore amica, chi ti piace... tu sai addirittura cosa ho provato la prima volta che ho fatto l'amore! -
- Com'era già... - dissi portandomi un dito sotto al mento facendo finta di recuperare informazioni lontane - spaventoso ma così soddisfacente! - emulai il tono di una ragazza in preda agli ormoni - E chi era già... Ah sì, l'innamorato Tom... -
- Zitta! - si incupì di colpo.

Poi prese il telefono e cominciò a scorrere quasi ossessivamente nelle sue applicazioni.

- Andrai alla festa questa sera? - provai a cambiare argomento data l'aria diventata tesa.
- Non lo so - plausibile.
- Ci saranno tutti, e per tutti intendo anche Tommaso, Milo, Michela... non posso -.
- Non puoi mancare, ho ricevuto persino io l'autorizzazione dei miei genitori per recarmi lì! -
- Sì, ma... -
- Tu e Tommy avete ricominciato a parlarvi? -
- Solo parlarci? C'è anche il discorso Milo e Michela... e... -
- Rebecca che succede? Puoi parlarmene... -

***

- Rachele che succede? - la D'Agostino sedeva di fronte a me.

Ero stata trascinata dagli agenti in centrale senza alcuna spiegazione, intuibile in realtà, ma un momento prima mi trovavo a ridere con Rebecca e subito dopo degli sconosciuti mi domandavano se conoscessi il motivo della sua morte. Ironico alcuni lo definirebbero. Io lo definirei straziante invece. Quanto pagherei per tornare a quel pomeriggio e pregarla di non presentarsi a quella festa. Fu solo colpa mia. Tutto. Tutto quello che successe. Ma ero troppo presa da altro per vedere quanto in realtà soffrisse sotto il mio sguardo, sotto le mie mani insanguinate. 

- Cosa sai dirci sulla vita di Rebecca? - riprovò l'agente rendendosi conto del mio sguardo assente.
- È morta - mi uscì solo dalla bocca come un flebile respiro.
- Questo lo sappiamo, ma ci è stato riferito che lei ti dava ripetizioni, speravamo potessi dirci qualcosa di più dell'evidenza -.
Il mio sguardo si piantó nel suo.
- Dovete essere proprio a un punto morto per venire a chiedere qualcosa a me allora -.
- No, non siamo a un punto morto - iniziò, ma io la interruppi.
- E allora perché siete venuti da me? Avrete già parlato con persone che rappresentavano i pilastri della sua esistenza -.
- Speravamo lei ti avesse detto qualcosa... d'altronde ti faceva ripetizioni, magari... -
- Parlare delle nostre vite non era ciò per cui lei mi faceva questo favore -.
- Rachele... -
- Lei non può obbligare a parlarmi signora, ho diritto a un avvocato -.

Non avrei mai rivelato nulla della vita privata di Rebecca, si era fidata di me.
Si fidó quando decise di raccontarmi di come era stata toccata da mani diverse dalle sue, della bassa considerazione che aveva di sé, di come pensava di meritare sofferenza, delle sue amicizie, dei suoi amori, dei segni sulla sua pelle: i suoi segreti più oscuri.
E io non avrei spezzato quel filo invisibile che ci aveva legate fino a quel momento. Neanche se questo significava scoprire chi l'avesse uccisa.

La Speranza è l'ultima a morireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora