Capitolo 28. Burattini che non sgambettano.

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Ero stata io per prima a mettergli la pulce nell'orecchio, a fargli credere che fosse il leader perfetto, che fosse l'unico che ci avrebbe permesso di vincere questa guerra.

Pregai di non aver commesso un abominevole errore.

Nei giorni successivi all'elezione continuai a osservarlo di soppiatto, nei momenti in cui si sentiva più a suo agio, per capire se l'opinione personale che avevo finito per costruirmi di lui fosse solo una stupida fantasticheria o se lo Slyder fosse davvero avido e ambizioso come avevo finito per ritenere.

Continuarono i nostri allenamenti, spinti sempre di più verso i limiti del Programma: velocità, dissimulazione, resistenza ai veleni, combattimento. Qualsiasi strada potesse rivelarsi necessaria doveva essere percorsa.

E nel mentre Abay impugnava una coppia di pugnali e tentava di accoltellarmi, io lo osservavo. Lo studiavo come mi aveva insegnato Andre.

Ciò che più mi innervosì di tutta la questione? Non trovare nulla di compromettente. Assolutamente nulla. Era pulito, o quantomeno era dannatamente bravo a sembrare pulito.

Continuavo a chiedermi come fosse riuscito a uscirne miracolosamente innocente dall'omicidio scellerato di Devlin. Il pomeriggio stesso delle elezioni si discusse della questione, con attenti interrogatori e l'analisi delle prove. Nessuno riuscì a venirne a capo: Abay aveva un alibi inattaccabile, i suoi più stretti ugualmente. Io ero rimasta incosciente per il tempo dell'omicidio – per una volta me l'ero scampata – e nessuno pensò di accusare Andre. Non che il mio compagno fosse capace di simili scelleratezze.

Tutti coloro che avevano un movente non potevano averlo ucciso, e chi poteva aver commesso l'omicidio – il suo gruppo di fedeli – tutto voleva tranne la sua morte.

Quindi chi era l'assassino?

In tempi meno pericolosi, una tale domanda mi avrebbe assorbita del tutto. Avrei mosso le montagne per sapere, per capire. Non per la vittima – di cui ero più che felice di essermi sbarazzata – quanto per l'omicida a piede libero negli stessi corridoi che frequentavo tutti i giorni.

Tuttavia, questioni molto più pressanti pretendevano attenzione.

Una mattina – se così poteva essere considerata quando ancora il sole non aveva fatto capolino all'orizzonte – io e Abay combattevamo a mani nude. Nessuna arma ammessa. A quanto pareva dovevo essere pronta a combattere anche in situazioni estreme. A volte mi faceva combattere bendata, o legata, a volte mi drogava e mi spingeva a reagire.

Quella mattina continuava a riuscire a vincere, con mio profondo disappunto.

Prima una stretta al collo che mi aveva quasi fatto perdere i sensi. Poi mi aveva messa a terra e immobilizzata con una destrezza e precisione da farmi domandare chi lo avesse addestrato. Era nettamente superiore a qualunque altro combattente dei Protettori.

Io, però, avevo scoperto di essere una Slyder nettamente superiore a lui, e avevo imparato a giocare sporco.

Quando mi immobilizzò per la terza volta, il petto a baciare il suolo e la schiena incurvata mentre lui mi tratteneva le braccia, decisi di sperimentare.

Immaginai di prendere fuoco. Immaginai il sangue ribollirmi nelle vene, l'epidermide scottare e il sudore evaporare a fior di pelle. Immaginai me stessa diventare una fenice.

Forse fu la sorpresa, forse andai davvero a fuoco, ma Abay mi lasciò andare in tutta fretta: «Moyenne! Avevo detto a mani nude! Senza armi» mi sgridò.

Mi sollevai e mi spazzolai la tuta d'allenamento. «Non sto impugnando nulla se non la mia mente. Direi che per una volta puoi ammettere la sconfitta» lo canzonai, sorridendo.

Abay irrigidì la mascella e non ricambiò il sorrido.

All'inizio.

Poi, come accadeva spesso con lui, fu come se scattasse qualcosa nel suo cervello che gli ricordava di dover essere una persona civile e amabile. C'era sempre – sempre! – uno scarto tra la sua reazione istintiva e quella che ci si aspettava da lui.

Dopo una frazione di secondo, infatti, ecco che un sorriso tirato sgusciò sulle sue labbra. «Va bene, va bene, penso che per oggi sia abbastanza. A domani Moyenne».

Lo afferrai per un braccio. «Penso di aver atteso abbastanza».

«Di cosa stai parlando?» chiese il ragazzo visibilmente confuso.

«Ti ho aiutato a primeggiare perché tu facessi qualcosa, qualsiasi cosa per combattere Syria. O forse hai dimenticato la nostra guerra? C'è un unico motivo per cui tutto questo esiste, i Protettori, questo posto, tutto. Impedire la morte di tutti noi. A volte sembra che a te importi solo di fare il burattinaio. E, se mi è concesso dirlo, i tuoi burattini non sgambettano nemmeno» gli feci notare, guardandolo dritto negli occhi.

Il sole stava rischiarando il cielo di colori caldi, e i primi segni di vita iniziavano a farsi sentire attorno a noi.

La maschera di Abay cadde. «Fauve, devo ricordarti a chi devi la tua fedeltà? A chi devi il posto di rilievo che ricopri nei Protettori? Il tuo passato e le tue parentele non ti renderebbero la vita facile» mi minacciò. «Stai al tuo posto, burattino».

Lo lasciai andare con rabbia e lo spintonai furiosamente. «Starò al mio posto quando il mio posto avrà un senso, un'utilità!»

Abay non si scompose. «Bene, credo sia tempo di partire in missione, Slyder».


Animula [Sequel di Crisalide&Effimero]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora