𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈

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Guess who's back?
Back again
Shady's back
Tell a friend
Guess who's back? Guess who's back?
[...]
Now this looks like a job for me
So everybody, just follow me
'Cause we need a little, controversy
'Cause it feels so empty, without me.

(Without Me - Eminem)


Ketterdam, 9 anni dopo

Le luci calarono di colpo, illuminando solamente la figura che si stagliava fiera al centro del palco. Il pubblico trattenne il respiro per via dello stupore. Ksenyia, che quella sera vestiva i panni di Sankta Anastasia, diede le spalle alla platea fingendo di procurarsi dei tagli sulle braccia. Stavolta le luci si spensero definitivamente e quando si riaccesero, la ragazza dai capelli rossi si girò nuovamente e mostrò le braccia lorde di un liquido rosso, a simulare del sangue. Dai suoi occhi sgorgavano copiose delle lacrime, che contrariamente a tuto il resto erano vere. Era questo il più grande talento di Ksenyia secondo suo padre: lei sapeva dar vita ad ogni emozione, bella o brutta che fosse, senza fingere. Era vera, sincera e metteva tutta sé stessa in quello che faceva, nella sua più grande e unica passione: la recitazione. Il sangue venne raccolto in un bicchiere e fatto bere all'attore che interpretava il padre della Sankta. L'uomo guarì all'istante dalla peste. Altri attori, gli abitanti di Tsemna, si riversarono sulla scena, portando con loro un carro. Ksenyia vi salì sopra, distribuendo alla popolazione piccole otri contenenti il sangue. Poi la ragazza sparì dietro le quinte, si tolse l'abito verde indossato fino a quel momento e rientrò con una sottoveste bianca, che si era macchiata di rosso. Ksenyia si inginocchiò al suolo, portandosi le mani al petto, e tra le urla dell'uomo che interpretava suo padre e quelle degli abitanti di Tsemna, simulò la morte della Patrona degli Infermi. Il sipario si chiuse e quando si riaprì tutti gli attori si tennero per mano e si inchinarono verso il pubblico che li applaudiva con entusiasmo e commozione. Ksenyia si diresse verso le quinte, a braccetto con Celine, una delle attrici della compagnia, che reputava come una sorella maggiore. Maksim, che era sempre stato più portato per la sceneggiatura che per la recitazione, corse dalla figlia abbracciandola. «Sei stata magnifica,davvero» «Sembra che tu sia nata per interpretare questo ruolo» aggiunse Thea raggiungendoli. Ksenyia abbassò il capo, per nascondere il suo imbarazzo. Non sapeva mai come reagire ad un complimento. «Esagerate come al solito. Gran parte del successo è dovuto al fatto che le somiglio», ed effettivamente era in parte così. La giovane Velkov aveva da poco compiuto ventuno anni e crescendo la sua somiglianza con la Sankta era divenuta impressionante. Stessa pelle del colore della porcellana e una lunga e folta chioma rossa. L'unica nota stonante erano gli occhi: i suoi erano azzurri come quelli di sua madre, invece, quelli della Patrona degli Infermi invece erano verdi, stando alle scritture religiose. Quel momento di brio venne interrotto da un applauso. I Velkov e il resto della compagnia si girarono e non appena videro chi li aveva interrotti la gioia scomparve dai loro volti. Pekka Rollins avanzò con sorriso sornione sulle labbra e con ben cinque Centesimi di Leone alle sue spalle. Maksim si sporse dinanzi alla moglie e alla figlia, come a volerle proteggere fisicamente. «Cosa vuoi Rollins? Ti ho già detto che non sei il benvenuto qui» «Suvvia Maksim, non essere così scortese, sono venuto ad assistere allo spettacolo» disse il capobanda indugiando con lo sguardo su Ksenyia. Il sangue ribollì nelle vene di quest'ultima. Quell'uomo era l'unica cosa che odiava al mondo. Le aveva tolto tutto, l'aveva privata dell'amore quando ancora non sapeva bene cosa fosse, ed ora era tornato. Ed anche questa volta aveva intenzione di prenderle tutto, di portarle via il Belladonna. Rollins aveva messo gli occhi sullo stabile e infinite volte aveva cercato di convincere i suoi genitori a venderlo. Voleva costruire l'ennesima sala scommesse. Anni prima si era lasciata imbrogliare, era affogata nel dolore della sua perdita e quando cercò vendetta, quest'ultima per poco non la trascinò nel baratro. Ma adesso era maturata e soprattutto aveva ben chiara la differenza tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Questa volta avrebbe affrontato Pekka senza paura e rimanendo fedele ai suoi ideali. Gliel'avrebbe fatta pagare a quel verme. La temperatura nella stanza salì di colpo. Thea guardò la figlia e si accorse che tremava dalla rabbia. Quel calore dipendeva da sua figlia e dall'ira che la consumava dall'interno. «Fiorellino mio calmati o finirai nei guai» le sussurrò dolcemente all'orecchio per poi stringerle la mano. La giovane dai capelli rossi guardò la madre e poi annuì. La temperatura nella stanza tornò alla normalità. «Te lo ripeto un'ultima volta: il Belladonna non è in vendita. Ora sparisci. Nel mio teatro può entrare solo gente rispettabile» sentenziò Maksim in tono sprezzante, gli occhi fissi in quelli del suo aguzzino. Pekka Rollins guardò prima i suoi uomini ridendo sguaiatamente, poi con un gesto impetuoso sì giro e afferrò Maksim per il colletto della camicia. «Ascoltami bene Velkov, il tempo degli affari è finito. Non sono più interessato a comprare questo posto e sai perché? Perché me lo prenderò lo stesso, anche senza il tuo consenso. Avete una settimana per smantellare questa merda e lasciarmi lo stabile vuoto. Fa come ti ho detto o farò in modo di farti marcire in una cava. Per quanto riguarda tua moglie e tua figlia, beh... Potrei piazzarle al Serraglio. La loro è una mercanzia interessante». Il capobanda lasciò la camicia del teatrante e con nonchalance voltò i tacchi, pronto ad andarsene e incurante del fatto che qualcuno stava per aggredirlo. Ksenyia sapeva che quella era un'idea terribile, ma non poteva lasciarlo impunito, non dopo che aveva minacciato i suoi genitori e lei. Afferrò un vaso contente dei fiori appassiti e corse alle spalle dell'uomo, pronta a sferrargli il colpo. Ma non fu abbastanza veloce. Uno dei Centesimi di Leone capì le sue intenzioni e le strappò il vaso di mano, scaraventandolo contro la parete, poi le sferrò uno schiaffo così forte da farle perdere l'equilibrio, facendola cadere al suolo. Un dolore lancinante si diffuse sul volto della giovane. Dorathea prima assestò un pugno sul naso dell'uomo e poi si chinò a soccorrere la figlia, il marito invece, continuava ad inveire contro Rollins, il quale non li degnò nemmeno di uno sguardo e ordinò ai suoi uomini di seguirlo. Il teatro si svuotò, avvolto dal silenzio e dalla paura e la compagnia si dileguò con l'animo pesante e la consapevolezza che da lì a pochi giorni avrebbero perso il lavoro. Ksenyia invece, dopo essersi ripresa dallo stordimento dello schiaffo e ancora con il segno sul volto, decise di salire al piano superiore, a casa sua, e di indossare uno dei suoi abiti. La sua pazienza aveva un limite. Lei e i suoi genitori avevano provato a in ogni modo ad opporsi a Pekka e alle sue mire sul Belladonna, ma era stato tutto inutile. Avevano anche provato, ingenuamente, a rivolgersi alla Stadwatch, ma era stato solo un altro buco nell'acqua. Doveva agire, anche se questo implicava coinvolgere l'unica persona dalla quale si era sempre raccomandata dal non avere più contatti. Non le piaceva l'idea, ma quella sera aveva già fatto troppi danni, dunque uno in più o uno in meno non avrebbe fatto differenza, almeno sperava. La ragazza dai capelli rossi infilò un mantello e si diresse verso la porta, ma la presenza dei suoi genitori sull'uscio bloccò la sua fuga. «Dove stai andando Nya?» chiese sua madre, accarezzandole delicatamente il volto. La donna aveva ancora le nocche arrossate per via del pugno. «A risolvere il problema» sentenziò cercando di farsi largo, ma suo padre le afferrò il polso, costringendola ad indietreggiare. «Tu non vai da nessuna parte. Hai già fatto abbastanza per questa sera» «Mi dispiace papà ma non mi arrenderò così facilmente, non quando tu non sembri disposto a difendere ciò che ti appartiene» «Ksenyia tu non capisci. Io devo proteggere te e la mamma, non posso mettermi contro Rollins» disse Maksim alzando la voce. «Il Belladonna è tutto quello che abbiamo. È la vostra creatura... Avete faticato tanto per averlo, non potete arrendervi così! Mi avete cresciuta tra queste mura, e mi avete promesso che un giorno sarebbe stato mio, non potete aspettarvi che vi rinunci» ribattè Ksenyia. La sua agitazione provocò una forte folata di vento che scosse la stanza così prepotentemente da far cadere dei libri e rovesciare le sedie. I tre rimasero sbalorditi da quella manifestazione di potere. La giovane Velkov aveva sempre praticato la piccola scienza per evitare che il non utilizzo dei suoi poteri la indebolisse, ma non li conosceva appieno. Non sapeva quali fossero le sue reali capacità e quali i suoi limiti. «Non preoccupatevi per me, so quello che faccio» mormorò ancora frastornata dagli eventi, poi uscì dalla stanza, lasciando i suoi genitori nello sconforto più totale.


𝐈𝐥 𝐌𝐢𝐫𝐚𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐁𝐚𝐫𝐢𝐥𝐞 // 𝐒𝐡𝐚𝐝𝐨𝐰 𝐚𝐧𝐝 𝐁𝐨𝐧𝐞Where stories live. Discover now